12 luglio 2016

Perché in Italia è tanto difficile pronunciare le parole "fascista" e "razzista"

A Emmanuel hanno ormai fatto il funerale, la povera Chimiary non si da ancora pace per aver perso il marito in un modo così assurdo, quel marito che l'ha voluta proteggere da insulti xenofobi, insulti che, per noi "gente di colore", ci arrivano alle orecchie con cadenza quotidiana.

Chimiary
Primo tempo .. Quando lessi la notizia dell’uccisione di Emmanuel Chidi Namdi, la prima cosa che mi saltò all'occhio è che l’aggressore era un fantomatico "ultras"

Lo indicarono da subito nel titolo tutte le testate online, ribadendo il concetto nelle versioni cartacee dei quotidiani. Come se fosse quella la vera discriminante, come se quella qualifica (ultras) fosse sufficiente di per sé a motivare l’orrendo crimine di cui è stato vittima il 36enne richiedente asilo nigeriano.

Ucciso da un ultras”, titolarono in prima pagina l’Avvenire, il Corriere della Sera e Repubblica. Solo approfondendo la notizia si scopre che l'aggressore era "noto da tempo alle forze dell’ordine come elementi della destra fascista", altri come il Fatto Quotidiano nell'articolo spiegarono che ad aggredire i due nigeriani è stato "un gruppo di estremisti di destra, probabilmente ultras della squadra locale di calcio della Fermana". Il primo elemento (l’appartenenza all'estremismo di destra) viene data come una certezza, il secondo (l’adesione alla tifoseria organizzata locale) solo come una probabilità. Eppure nel titolo si parla "ultras" e basta.

Alla fine, il collocamento politico dell’assassino, la sua prossimità a quelle formazioni politiche che da sempre indirizzano il malessere sociale contro gli ultimi arrivati, quegli stessi immigrati eletti oggi a emblema di ogni male è a bersaglio privilegiato del rancore sociale, viene evidentemente ritenuto di poco conto.

Sicuramente il fatto di essere "fascista" è ritenuto meno importante del fatto di fare parte della tifoseria organizzata di una squadra di quarta serie. Evidentemente, in virtù un processo di rimozione collettivo, si preferisce non chiamare le cose col loro nome, non dire le cose come stanno: a uccidere Emmanuel Chidi Namdi non è stato un ultras, è stato un fascista.

Emmanuel e Chimiary
Secondo tempo .. Il tentativo di rimozione collettiva, di minimizzare l'episodio. Già inizialmente una certa destra ha pensato di far passare Emmanuel come colui che ha reagito ad un semplice insulto, una tesi portata avanti dal senatore Carlo Giovanardi durante un dibattito parlamentare proprio sul caso, come se la colpa fosse del morto, e non di chi ha sferrato il quel pugno assassino.

Fermo, una città che si è divisa, che non vuole sentirsi dire che è "razzista". E allora si va dicendo che, si l'assassino di Emmanuel (reo confesso), in fondo è un bravo ragazzo, solo un po' violento. Una città che però si è dimenticata che ben 4 chiese in pochi mesi sono state prese di mira con bombe proprio perché davano ospitalità agli immigrati.

I politici di destra che cercano di ribaltare la "frittata" dicendo che se fosse stato un immigrato ad uccidere un italiano non ci sarebbe stato tutto questo clamore "mediatico" e tutta questa mobilitazione. Eppure di episodi di immigrati assassini in passato ce ne sono stati, e io ricordo che il clamore mediatico ci fu, e fu tanto grande che i "razzisti" ci sguazzarono dentro a piene mani.

Lo stesso "assassino" ha confessato sia la frase razzista, sia il pugno che ha causato la morte di Emmanuel. Un assassino che però nega di essere "fascista", o "razzista" (nonostante le sue frequentazioni), un uomo notoriamente violento che cerca di alleggerire la sua posizione giudiziaria con quell'accusa di omicidio aggravata dalla "finalità razziale", è arrivato perfino a dire che è pronto a dare in eredità i suoi beni alla vedova di chi ha assassinato.

Il web, facebook, twitter si sono divisi, tanta solidarietà per Chimiary ed Emmanuel ma anche troppe giustificazioni e tentativi di minimizzare l'accaduto.

"Una ferita che sanguina fa male ma guarisce, ma una parola che ferisce fa male per sempre", e io e altri neri come me purtroppo le sentiamo tutti i giorni quelle parole che "feriscono" dette da chi ti passa accanto, mentre sei in coda alla posta o in altri uffici pubblici, nei commenti su facebook o nei messaggi personali .. piccole cose, solo piccole cose, già solo piccole cose. In fondo in Italia nessuno è razzista, o fascista, due parole che nessuno può pronunciare.



Chi erano Chimiary ed Emmanuel .. Nigeriani cristiani perseguitati da Boko Haram, ecco chi erano Chimiary ed Emmanuel. Stavano per sposarsi quando durante l'ennesimo assalto delle milizie islamiche al loro villaggio hanno perso la casa, i loro genitori e la loro unica figlia. Improvvisamente avevano perso tutto e così si sono affidati ai trafficanti di uomini per raggiungere il "mondo migliore", l'Europa, l'Italia.

Prima del "viaggio" Chimiary rimane incinta di nuovo, ma loro decidono comunque di affrontare quella fatica, dopo tre mesi raggiungono la Libia. Durante la permanenza in Libia subiscono ogni sorta di violenza e le percosse dei trafficanti fanno perdere il bambino alla donna.

Alla fine dello scorso anno raggiungono l'Italia, a Fermo ritrovano la serenità e in attesa di ricevere lo status di rifugiati rinnovano la loro promessa matrimoniale (vedi il video). Questi erano Emmanuel e Chimiary solo due persone perbene fuggite dagli orrori di Boko Haram e che finalmente in Italia avevano ritrovato la serenità, una serenità stroncata da un pugno "razzista"

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Articolo di
Maris Davis

01 luglio 2016

Mafia Nigeriana in Italia. La tratta delle "Ragazze di Benin City"

Il numero di giovani africane portate in Italia dal racket della prostituzione è in costante aumento. Solo nei primi cinque mesi del 2016 ne sono arrivate duemila, confermando l'incremento del 300% registrato nel 2015. Allo stesso modo si abbassa sempre di più l'eta delle vittime: una su cinque è minorenne. L'Italia è diventata la base di smistamento scelta dagli sfruttatori per distribuire le sue prede sul mercato internazionale, in particolare del Nord Europa.

La metà delle ragazze dirottata verso Nord. Le ultime cifre dicono che nei primi cinque mesi dell’anno siamo oltre quota duemila, in linea con il flusso dell’anno scorso, che aveva già fatto segnare un aumento del 300% negli arrivi di ragazze nigeriane sulle coste italiane. E l’80% di loro è nelle mani della tratta.

Sono cifre drammatiche quelle che, incrociando i dati del Viminale sugli sbarchi di migranti nel nostro paese con quelli segnalati da organizzazioni come OIM (Organizzazione Internazionale delle Migrazioni) e Save the Children, disegnano un fenomeno in vertiginosa quanto tragica crescita: il racket delle sempre più giovani nigeriane che ogni anno vengono schiavizzate dalle organizzazioni internazionali e alimentano un fiorentissimo racket della prostituzione quasi sempre di strada che dall'Italia manda migliaia di ragazze in Francia, Gran Bretagna, Spagna, Austria e persino in Finlandia come hanno documentato alcune recentissime inchieste di Procure italiane che hanno portato ad arresti di trafficanti e mamam.

Un esercito di minorenni. Erano poco più di 400 nel 2013, 1.500 nel 2014 e 5.000 lo scorso anno le ragazze nigeriane arrivate in Italia sui barconi già pronte ad essere recuperate dagli emissari del racket nei centri di accoglienza prima e addirittura negli "hotspot" adesso. E delle 5.000 approdate lo scorso anno, un migliaio almeno sono le minorenni. Con un’età media sempre più bassa, intorno ai 15 anni, visto che sempre più spesso gli uomini delle forze dell'ordine si ritrovano davanti tredicenni, poco più che bambine. I nigeriani, con oltre 22.000 persone, sono in testa nella speciale classifica delle nazionalità dei migranti in arrivo sui barconi che partono dalla Libia e le ragazze sono in percentuale sempre crescente.

Violenze, riti woodoo e gravidanze indesiderate. "In ogni sbarco c'è sempre un nutrito gruppo di ragazze nigeriane, moltissime delle quali minorenni, le riconosci subito perché stanno sempre insieme e sono molto guardinghe. Quando le separi dagli altri migranti, pian piano riesci a parlare con loro e raccontano tutte storie di inaudita violenza, stupri di gruppo sotto la minaccia delle armi. Ho visto molte di loro con lesioni serie, alcune permanenti, moltissime sono incinte a seguito di queste violenze e infatti la prima cosa che fanno è chiedere un test di gravidanza, ma poi sono pochissime quelle che si affidano a noi e chiedono di abortire. La maggior parte, appena mette piede a terra, cambia subito atteggiamento. Tengono gli occhi bassi, non rispondono più neanche ad una domanda, sono terrorizzate, sanno che c’è chi le attende e che se non obbediranno agli ordini i riti woodoo a cui sono state sottoposte prima della partenza porteranno il male nelle loro famiglie"

La filiera dello sfruttamento. Ed effettivamente è cosi che funziona. Le ragazze vengono reclutate nei loro villaggi in Nigeria, nei villaggi del sud, nelle zone devastate da Boko Haram, o addirittura nei campi profughi dove sono ospitate le persone fuggite dalle violenze dell'Islam integralista nigeriano.

Giovani adolescenti adescate con il miraggio di arrivare in Europa e avere a portata di mano la possibilità di migliorare le loro condizioni di vita studiando o lavorando come baby sitter o badante. Le famiglie che hanno qualche soldo da parte pagano, ma la maggior parte contrae con l’organizzazione un debito da 30-40.000 euro che potrà ripagare solo in sette-dieci anni prostituendosi a cifre bassissime, anche venti euro a prestazione.

A legarle a doppio filo all'organizzazione, che ne cura il trasferimento in Libia attraverso il Niger e poi in Italia sui barconi e il loro recupero una volta arrivate in Italia, c’e soprattutto il terrore per i riti woodoo a cui sono sottoposte, un taglio di ciocche di capelli, di peli di pube e di unghie che i reclutatori nigeriani tengono con loro insieme ad una foto delle ragazze, una sorta di pegno per il "patto di sangue"

Un racket spietato. E poi finiscono sulla strada, costrette a prostituirsi per otto-dieci ore, giorno e notte, al soldo di mamam che altro non sono che ragazze come loro, appena più grandi, che arrivate in Italia da qualche anno hanno accettato di entrare nel "business" della tratta e diventando al loro volta della "maitresse" alle nuove arrivate, secondo il principio secondo il quale "quello che è accaduto a me ora lo faccio ad altre ragazze". Si calcola che una ragazza nigeriana (ex-prostituta) su venti, una volta finito di pagare il suo debito, potrebbe a sua volta diventare una mamam, e con 3-4.000 euro "acquistare" e mettere sotto la sua ala protettrice una nuova ragazza appena arrivata dalla Nigeria.

In Italia le zone dove il racket piazza il maggior numero di vittime sono il Veneto, la Lombardia e il Piemonte, ma il "mercato" è in grande espansione soprattutto all'estero. Molte indagini hanno portato alla luce come almeno la meta delle ragazzine che arriva in Italia venga dirottato rapidamente all'estero, soprattutto in Francia, Gran Bretagna e Spagna, e più di recente anche nei paesi nordici come la Finlandia, o nei paesi arabi. Scoperta recentemente una pista che porta le ragazze nigeriane a Dubai.

La protezione anti-tratta. In Italia, la cosiddetta legge anti-tratta prevede che le ragazze che decidano di sfuggire a questo destino e accettino di collaborare e indicare mamam e trafficanti vengano ospitate in apposite comunità di accoglienza, seguite in un difficile percorso di affrancamento psicologico e indirizzate verso un’occupazione legale naturalmente potendo usufruire di un particolare permesso di soggiorno.

L’anno scorso sono stati 915 i permessi di soggiorno per motivi umanitari rilasciati dalle questure italiane, 178 da gennaio a maggio 2016 stando ai dati forniti dalla Direzione centrale servizi civili dell’immigrazione e dell’asilo del Viminale. Ma i posti disponibili nelle residenze dedicate all'ospitalità di queste ragazze, soprattutto se minorenni, sono assolutamente insufficienti anche se proprio nei giorni scorsi è partito il primo bando per il finanziamento di progetti anti-tratta. Complessivamente sono 13 i milioni di euro messi a disposizione per i prossimi 15 mesi dal ministero delle Pari opportunità.

"Mesi di violenze, poi l'imbarco per la Sicilia" .. Ethis oggi lavora felice in una pizzeria del Ragusano. Ha 17 anni appena compiuti e, se non fosse stato per quella ragazza nigeriana come lei, solo un po’ più grande, arrivata come lei su un barcone e oggi diventata interprete nel "pool sbarchi" della polizia di Ragusa, oggi sarebbe per strada a prostituirsi.

Come Precious, o Janet, due delle ragazzine tutte minorenni reclutate dagli uomini della tratta in uno sperduto villaggio della Nigeria, sottoposte a rito woodoo e a violenze di ogni genere e spedite su un barcone in Italia, pronte per entrare a far parte della grande "batteria" del racket della prostituzione. Quel giorno di luglio 2015, quando sbarcò a Pozzallo, Ethis invece decise di collaborare con la polizia, diede il numero di telefono della mamam che avrebbe dovuto recuperarla in Sicilia e sparì in uno dei centri riservati in cui la legge anti-tratta garantisce protezione e accoglienza alle ragazze che denunciano i loro sfruttatori.

Le false promesse. E così oggi che la sua testimonianza ha portato all'arresto di cinque dei suoi aguzzini, dopo un lungo viaggio che di certo non l’avrebbe portata in Europa a lavorare come baby sitter o badante come le avevano promesso ma su un marciapiede di una delle tante città dove è attivo il racket, Ethis racconta la sua storia fatta di estrema povertà, violenza e di abusi sessuali subiti in casa sin dall'età di otto anni quando rimase orfana di entrambi i genitori.

"Sono cresciuta in un poverissimo villaggio della Nigeria con mia nonna ed uno zio materno che mi violentava continuamente. Anche per questo, quando mi proposero di partire per l’Europa insieme ad un gruppo di altre ragazze, decisi di fuggire. Ovviamente non avevo soldi per pagare il viaggio, ma Ester, la donna nigeriana che ci ha reclutate, mi disse che avrebbe pagato lei per me e avrei potuto restituire il prestito dopo, una volta arrivata in Italia, dove avrei studiato e trovato lavoro con i bambini o gli anziani"

Debiti e minacce. Trentamila euro. A tanto ammontava il debito che Ethis avrebbe dovuto restituire all'organizzazione. Sarebbe stata una schiava per dieci anni. Che le cose non stavano proprio come le avevano raccontato la ragazzina cominciò a capirlo quando la sottoposero al rito woodoo. "Un mese prima della partenza Ester e altri tre uomini mi portarono vicino Benin City e mi fecero il rito Ju Ju. Mi tagliarono una ciocca di capelli e le unghie e mi dissero che era un patto di sangue, se non lo avessi rispettato avrei causato sciagure a me e alla mia famiglia, mi avrebbero liberato dal rito solo dopo aver estinto il debito"

Giorni d'inferno. L'incubo di Ethis cominciò subito, durante il viaggio che dalla Nigeria l’avrebbe portata prima in Niger in bus e poi in macchina fino a Tripoli. "Steven, l’uomo che ci venne a prendere in Niger, era armato di fucile. Il viaggio in macchina verso la Libia durò una settimana e ogni sera ci costringeva a rapporti sessuali. Anche a Tripoli, nella connection house dove sono stata rinchiusa per quasi un mese insieme a decine di altre persone, noi ragazze nigeriane venivamo violentate continuamente"

La scelta di denunciare. Poi finalmente, venne la sera del gommone. E la traversata conclusasi con il salvataggio da parte della nave Phoenix. Tra i 217 migranti portati a Pozzallo quel giorno le nigeriane erano 35. Ma solo Ethis, cogliendo al volo lo sguardo e le poche parole sussurratele all'orecchio da un’interprete, decise di raccontare tutto e di non seguire le indicazioni che le erano state date da coloro che la fecero arrivare in Italia. Avrebbe dovuto chiamare Ester, la donna che l’aveva reclutata in Nigeria, e comunicarle il centro di accoglienza in cui l’avevano portata. Poi avrebbe dovuto aspettare lì che la venissero a prendere per portarla alla sua destinazione finale. Francia o Finlandia, stando alle conversazioni tra i trafficanti intercettate dagli investigatori della squadra mobile di Ragusa che hanno salvato Ethis dal suo drammatico destino.



Clan cauti e feroci che puntano in alto 

Per l'FBI non ci sono dubbi: quella nigeriana è l'unica organizzazione criminale africana che sta diventando simile alla mafia. Ed infatti è il solo clan non europeo ad avere messo stabili radici nel "Vecchio Continente": sono attivi in Inghilterra, Francia, Italia, Belgio e Germania ma continuano ad espandersi. In realtà, non si tratta di un'unica mafia ma di una confederazione di gruppi spesso divisi in patria ma pronti a coalizzarsi per gestire traffici internazionali. A partire da quello della prostituzione, con proventi che vengono sempre più spesso investiti nel commercio della droga.

La loro forza nasce da un duplice segreto. Il primo è la violenza innervata di significati magico-religiosi, una caratteristica comune a molte realtà criminali o eversive dell'Africa: il woodoo abbinato all'efferatezza degli associati, che non esitano a commettere omicidi rituali con la mutilazione delle vittime, costruisce una profonda omertà all'interno dei clan. Non ci sono pentiti, raramente le indagini aperte in Europa vengono sostenute da rivelazioni di membri dei gruppi e persino le ragazze sfruttate sono così terrorizzate da rimanere fedeli ai loro aguzzini.

C'è poi la flessibilità nell'inserimento sui mercati clandestini, evitando lo scontro con chi controlla il territorio: puntano sulla fascia più bassa della prostituzione, quella che non interessa ai mafiosi albanesi o alle bande dell'Europa orientale. Un settore dove le cosche italiane non sono più attive da decenni o, come nel caso di Cosa Nostra, per tradizione non hanno mai operato. La droga finora viene rivenduta all'interno della comunità, anche se da Londra arrivano segnali allarmanti su un ruolo dei nigeriani nell'importazione e nello spaccio di cocaina.

L'Africa occidentale infatti sin dagli anni Novanta è diventata un terminal della "neve" prodotta in Colombia, che da lì poi viene smistata verso l'Europa e l'Asia: una rotta secondaria rispetto alla maggioranza dei flussi che attraversano l'Atlantico, perché se l'instabilità dei paesi di approdo facilita lo sbarco allo stesso tempo non offre garanzie sulla sicurezza dei carichi.

In questo business i clan locali finora hanno avuto mansioni ancillari rispetto ai narcos, limitandosi a intascare mazzette o aiutarli nel trasferimento delle partite. Ma sono in aumento le informative di intelligence che pronosticano l'ingresso della mafia nigeriana nell'affare, unica formazione con risorse economiche e reti internazionali tali da permettergli di assumere una posizione da protagonista.

Per questo i dati sull'aumento delle schiave nigeriane che sbarcano sulle coste europee richiedono una risposta rapida da parte delle autorità: ognuna di queste donne va ad aumentare il potere e la ricchezza di boss che stanno cercando nuovi spazi. Presto potrebbero diventare così forti da inserirsi in prima persona nella gestione delle attività criminali.

Una minaccia che si può ancora prevenire, partendo dall'impegno per liberare queste ragazze senza futuro dal ricatto dei trafficanti. Alcuni esperti sostengono che il contrasto dovrebbe partire dal momento dello sbarco, isolando le ragazze nigeriane attraverso colloqui mirati condotti da un pool specializzato e inserendole in un percorso differenziato per la richiesta di asilo: un meccanismo che possa conquistarne la fiducia e spingerle a rompere il vincolo di terrore intriso di woodoo che le imprigiona. Sarebbe una grande operazione umanitaria, capace di assestare un colpo micidiale alla nuova mafia africana.
(da un'inchiesta di Repubblica)



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Articolo a cura di
Maris Davis

26 giugno 2016

Nigeria, il marchio dell'orrore. Fuggiti dai massacri di Boko Haram ora muoiono di fame

Un inferno nell'inferno. È bastata qualche ora a Bama, cittadina dello Stato del Borno, nel nord-est della Nigeria, affinché una squadra dell’organizzazione Medici senza Frontiere (MSF) si rendesse conto della "emergenza catastrofica" in corso, dal 23 maggio sono morte almeno 200 persone» nello stesso campo profughi. Sei al giorno. Uccise soprattutto da malnutrizione e dissenteria.

Gli sfollati sono vittime delle violenze di Boko Haram e delle conseguenti operazioni di sicurezza lanciate dall'esercito nigeriano. In quella zona sono almeno 24mila i civili abbandonati al proprio destino.

Medici senza Frontiere è arrivato per la prima volta a Bama. "È la prima volta che siamo riusciti ad accedere a Bama. Stiamo trattando bambini malnutriti che hanno visto e sono sopravvissuti a tanto orrore. Bama è una località estremamente isolata. Ci hanno detto che molte persone, compresi tanti minorenni, sono morte di fame. Nuove tombe compaiono quotidianamente poiché in un solo giorno possono morire anche 30 persone per fame e malattia"

Per diversi mesi, a partire da settembre 2014, Bama è stata sinonimo di combattimenti e sofferenza. I ribelli di Boko Haram si sono infatti spesso scontrati con i soldati nigeriani, trasformando la località in una città fantasma. Solo nel marzo del 2015, grazie all'intervento degli eserciti dei paesi confinanti (Niger, Ciad, Camerun), il governo nigeriano ha potuto annunciare la "liberazione" della cittadina da Boko Haram. Un anno dopo, però, le condizioni di vita rimangono gravissime

Almeno 15mila bambini, di cui 4.500 hanno meno di cinque anni, sono ospitati nei giardini di un ospedale in attesa di essere messi in salvo. Alcuni di loro gravemente malnutriti sono stati trasferiti nel centro nutrizionale di MSF a Maiduguri. "Su più di 800 bambini, il 19% soffriva di malnutrizione severa acuta, la forma più mortale"

Tra il 13 e il 15 giugno, le autorità nigeriane, appoggiate da un’organizzazione locale, hanno eseguito l’evacuazione di oltre mille persone che avevano bisogno di urgenti cure mediche. Bama, però, non è l’unico luogo in cui il dramma dei profughi si consuma nel silenzio giorno dopo giorno. Nel resto dell’area presa di mira da Boko Haram, le agenzie umanitarie stanno registrando contesti molto simili.

Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha infatti lanciato un appello il mese scorso per la "fine immediata delle violenze nel bacino del Lago Ciad", dove gli insorti islamici hanno una presenza sempre più massiccia. È qui che gli operatori hanno detto di aver riconosciuto "atti che potrebbero essere definiti come crimini contro l’umanità e crimini di guerra"

Ogni settimana centinaia di persone scappano, a volte intenzionati a raggiungere l’Europa. I più disperati tentano infatti di attraversare il deserto del Sahara, ma soccombono al calore e alla sete. "I corpi di 34 persone, tra cui 20 bambini, sono stati trovati nel nord del Paese vicino al confine con l’Algeria. Quasi tutte le vittime sono nigeriane"

Secondo l’Organizzazione internazionale delle migrazioni (OIM), sono almeno "120mila i migranti nigeriani passati l’anno scorso dal Niger per raggiungere il Nordafrica". Centinaia di essi, però, continuano a morire ogni mese nel deserto. Molti di più di quelli che muoiono attraversando il mediterraneo.

E quando i nigeriani, o le nigeriane arrivano in Italia, rischiano di essere espulsi solo perché secondo l'Europa e il mondo intero la Nigeria NON è un paese in guerra e la quindi per la legge italiana, la famigerata Bossi-Fini, per questo vanno "respinti". E tutto questo accade solo perché l'Europa continua a costruire moschee per chi nella mia Africa distrugge le Chiese, brucia villaggi, rapisce ragazze, e provocate orrore in nome di un "Dio" che si chiama "Allah"

Il campo profughi a Bama. Quello toccato a circa 200 rifugiati nigeriani fuggiti dalla violenza di Boko Haram e alloggiati in condizioni terribili in un campo profughi a Bama, nello Stato del Borno, è infatti un destino di sete e malnutrizione, a meno che non si adottino misure straordinarie in aiuto della popolazione. L'emergenza umanitaria che sta colpendo uno dei 36 stati della Nigeria, situato nel nord-est del Paese, ha messo in ginocchio ogni risorsa e lasciato attoniti gli stessi volontari. Al momento sono migliaia le vite sospese tra la vita e la morte, costrette in questo campo per persone sfollate ricavato all'interno del compound di un ospedale. E la sfida più dura, come al solito, tocca ai bambini.

Il dramma della malnutrizione. Ma andiamo con ordine e vediamo cosa è accaduto in questa parte della Nigeria nelle ultime settimane. Tra il 13 e il 15 giugno, le autorità locali e Medici senza Frontiere hanno organizzato l'evacuazione di 1192 persone che avevano bisogno di cure mediche. Questo gruppo, composto in gran parte da donne e bambini, è stato portato nel campo sfollati "Camp nursing" e, dei 466 bambini visitati qui dalle équipe di MSF, il 66% è risultato affetto da malnutrizione, per il 39% in forma grave, e 78 sono stati immediatamente ricoverati nel centro nutrizionale di MSF, che ha una capacità di 86 posti letto.

Migliaia di bambini in pericolo di vita. Lo scorso 21 giugno l'orrore. Un'équipe medica di MSF, che ha appunto lo scopo di portare soccorso sanitario e assistenza medica nelle zone del mondo in cui il diritto alla cura non è garantito, e che a Maiduguri supporta ben due ospedali, due cliniche e due centri medici nei campi dove le persone sfollate possono essere visitate gratis, ha fatto visita per diverse ore alla città di Bama, nel nord-est del Paese, dove 24mila persone, tra cui 15mila bambini (4.500 sotto i cinque anni), hanno trovato rifugio all'interno del campo.

Lo spettacolo allucinante che i medici si sono trovati ad affrontare è andato oltre ogni più nefasta aspettativa. "Una vera e propria emergenza sanitaria. Sedici bambini gravemente malnutriti, in imminente pericolo di morte, sono stati trasferiti al centro nutrizionale che l'organizzazione gestisce a Maiduguri: a seguito di un rapido screening su oltre 800 minori, è emerso che il 19% di loro soffre di malnutrizione severa acuta, la forma più mortale"

Sei morti al giorno, migliaia di sepolture. Durante la visita a Bama, l'équipe di Medici senza Frontiere ha contato 1.233 sepolture scavate vicino al campo nell'ultimo anno, molte delle quali, 480, di bambini. "Bama è una località estremamente isolata e ci hanno detto che tante persone, compresi i più piccoli, sono morte di fame. Stando ai racconti fatti dagli sfollati alle nostre équipe, tombe nuove compaiono ogni giorno: in un solo giorno possono morire anche 30 persone per fame e malattia". Dal 23 maggio sono decedute nel campo almeno 188 persone, circa sei al giorno a causa della malnutrizione e della mancanza di acqua pulita.

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Maris Davis

22 giugno 2016

Sud Sudan, l'ONU proroga le sanzioni ma non riesce a fermare la fame

Sud Sudan, l'Onu proroga le sanzioni fino al 31 maggio 2017. La risoluzione delle Nazioni Unite chiede che i leader del Sud Sudan pienamente e immediatamente aderiscano al cessate il fuoco permanente.

Restrizioni economiche ed embargo totale sulle armi nei confronti delle fazioni in lotta nel governo del Sud Sudan sono state prorogate fino al 31 maggio 2017, in base a una risoluzione unanime approvata dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

Dopo l'indipendenza dal Sudan nel 2011, il Sud Sudan è piombato in una guerra civile che dal 2013 provoca morte e distruzione, e violenza feroce. Le forze fedeli al presidente Salva Kiir combattono contro quelle del leader rivale Riek Machar. Un guerra combattuta sia per motivi etnici, ma soprattutto per mettere le mani sul petrolio di cui il paese è ricco.

Nel mese di aprile, le parti in conflitto hanno accettato un accordo mediato a livello internazionale che ha restituito la vicepresidenza della nazione di Riek Machar in un governo di unità nazionale. La risoluzione chiede che i leader del Sud Sudan pienamente e immediatamente aderiscano al cessate il fuoco permanente, in conformità con i loro obblighi derivanti dal contratto. Inoltre, la risoluzione chiede che il "Sud Sudan consenta un pieno, sicuro e senza ostacoli accesso umanitario per contribuire a garantire la puntualità nella consegna di aiuti umanitari a tutti coloro che ne hanno bisogno"

In tre anni di guerra civile sono stati firmati decine di accordi per il cessate il fuoco tra le due fazioni rivali. Tutti gli accordi sono sempre stati disattesi.

Il Sud Sudan ai confini della fame estrema. Nello Stato di Unity 40.000 persone alla fame e 2.790.000 sud-sudanesi sono in "crisi" o "emergenza"

La guerra in Siria ha fatto sparire dalle TV e dalle pagine dei giornali un’altra guerra civile petrolifera che sconvolge lo Stato più giovane del mondo: il Sud Sudan. Secondo l’Integrated Food Security Phase Classification (IPC), un partenariato globale per la sicurezza alimentare, in alcune aree dello Stato di Unity la situazione è davvero terribile. Una situazione che è destinata a peggiorare. Ma la carenza di informazioni su quel che sta succedendo in Sud Sudan rende impossibile sapere se si è ormai giunti al punto di quella che l’IPC definisce tecnicamente una carestia.

La guerra che sta devastano il poverissimo Sud Sudan e gli esodi della popolazione civile massacrata sia dalle truppe governative che dai ribelli potrebbero aver già spinto vaste aree del Paese verso un punto di non ritorno, e i mutamenti climatici portati da El Niño in tutta l’Africa orientale potrebbero aver dato il colpo di grazia. Gli Stati più colpiti, con un’insicurezza alimentare acuta che a dicembre 2015 riguardava già almeno il 57% della popolazione, sono Unity, Jonglei e Upper Nile.

Lo Stato dove la situazione è peggiore è l’Unity, il più colpito dai combattimenti tra truppe governative e ribelli e dal quale sono fuggite moltissime persone, perdendo così le loro fonti di sostentamento e che sono state derubate del loro bestiame. Altri 200.000 profughi interni provengono dagli Stati di Northern Bahr El Ghazal, Warrap ed Equatoria. L’insicurezza dell’area sta limitando l’accesso dei profughi all'assistenza umanitaria, aggravando ulteriormente la loro situazione di insicurezza alimentare.

Più della metà delle provincie del Sud Sudan,
colorate in arancione e rosso, sono in una situazione
di carestia grave o estrema
Secondo l’IPC, già a dicembre c’era un aumento complessivo della popolazione che ha bisogno di assistenza umanitaria urgente. "Oltre allo Stato di Unity, alcune delle aree che hanno mostrato un deterioramento sono gli Stati di Northern Bahr El Ghazal e Warrap, che si prevede abbiano almeno un quinto della popolazione che ha bisogno di assistenza umanitaria"

Sulla scala della fame dell’IPC, almeno 40.000 persone dello stato dell’Unity potrebbero già vivere a livello 5, cioè il massimo livello di rischio, la condizione peggiore possibile. Il Sud Sudan è in totale caduta libera e il mondo non si preoccupa perché i rifugiati sud-sudanesi non naufragano sulle coste d’Europa.

Intanto, mentre la guerra civile per il petrolio e il potere in Sud Sudan continua, le stime ufficiali sono già da catastrofe umanitaria: 40.000 persone vivono in uno stato "catastrofico" nell’Unity e almeno 2.790.000 persone subiscono una "crisi" o uno stato di "emergenza" alimentare ed igienico-sanitaria.

Soldato si uccide perché i suoi figli sono morti di fame. Un soldato dell’esercito governativo sì è ucciso perché alcuni dei suoi figli sono morti a causa della carestia e non aveva più speranza di poter provvedere agli altri.

Lo scioccante episodio sarebbe avvenuto in un quartiere periferico di Juba, New Site, dove il militare viveva con la famiglia. L’episodio avrebbe provocato disordini tra le forze di polizia e i familiari del suicida, che accusavano le autorità per la morte dell’uomo. Un collega testimonia che il militare era disperato perché non era in grado di badare alla propria famiglia, dopo tutto quello che aveva fatto per il paese.

Anche i militari senza paga da parecchi mesi. Anche il soldato suicida era da parecchi mesi che non riceveva il salario, come del resto gli altri militari e gli impiegati governativi, per la disastrosa situazione economica del paese a causa della guerra civile e delle politiche monetarie e finanziarie del governo.

L’inflazione è fuori controllo: la moneta sud sudanese ha perso il 90% del suo valore in sei mesi. Di contro, i prezzi delle derrate alimentari di base, in gran parte importate dai paesi vicini, aumentano quotidianamente (il costo dei cereali è quintuplicato rispetto all’anno scorso), così che il loro acquisto è ormai fuori dalla portata della gran parte della popolazione.

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Articolo di
Maris Davis



15 giugno 2016

Schiavi del terzo millennio, in Africa una situazione allarmante

Dal rapporto "Global Slavery Index 2016" emerge per il continente nero una situazione allarmante. in Africa si contano oggi oltre sei milioni di "schiavi moderni", in gran parte donne e bambini. Lavoro minorile, matrimoni forzati, schiavitù sessuale e arruolamento di bambini soldato tra le forme più diffuse di sfruttamento.

Minori sfruttati nella raccolta del cacao in Guinea
Tutti vorremmo seppellire i termini "schiavo" e schiavitù, pratiche abolite (sulla carta) fin dal lontano '800. Ma non possiamo. A ricordarcelo ci ha pensato qualche giorno fa il "Global Slavery Index 2016", che ha snocciolato dati e racconti su 167 Paesi, in 53 lingue, con 42 mila interviste. Insomma, una ricerca imponente che è arrivata a una conclusione: nel mondo si contano qualcosa come 45,8 milioni di schiavi moderni, con un aumento del 28% rispetto alle ultime stime del 2014A pubblicare lo studio è la Walk Free Foundation.

Nell'Africa Sub-Sahariana la stima delle vittime è di 6.245.800 persone, pari a circa il 13,6% della popolazione ridotta in schiavitù nel mondo - clicca quiAll'interno di questa regione, i tassi più alti di uomini e donne schiavizzati in proporzione agli abitanti si registrano nella Repubblica Centrafricana, Repubblica Democratica del Congo, Somalia, Sud Sudan, Sudan e Mauritania (su quest’ultimo paese la fondazione ha preparato anche un approfondimento). In valore assoluto, invece, la Nigeria è il primo Paese dell’Africa (ottava posizione mondiale, con 875.500 vittime), seguita da Repubblica Democratica del Congo (873.100) ed Egitto (572.900). La schiavitù trova terreno fertile in queste aree a causa di precarie condizioni economiche, conflitti e gravi crisi umanitarie e ambientali.

Bambini sfruttati nei campi
per la raccolta del cotone
Le forme più diffuse di sfruttamento. In generale, le violazioni dei diritti più comuni riguardano il lavoro minorile e i matrimoni forzati di bambini. A questo proposito, l’Unicef prevede che la metà delle spose bambine nel mondo saranno africane entro il 2050 e già oggi Madagascar, Malawi, Zambia, Guinea, Sierra Leone ed Eritrea sono tra i primi venti Paesi quanto a bambine e adolescenti che si sposano in età precoce.

Lo sfruttamento di bambini e adolescenti è tra i punti di maggiore preoccupazione, tanto che l’Africa Sub-Sahariana registra la più alta percentuale al mondo di traffico di bambini. In Togo, per esempio, la ricerca sostiene che la povertà e la mancanza di risorse culturali spingono i genitori ad affidare i propri figli ai trafficanti, che di solito sono parenti o amici della vittima. E a questo punto non c’è più molto da fare: i ragazzi sono trasferiti in luoghi di sfruttamento. Per le bambine questo significa spesso abusi sessuali e lavori forzati, mentre per i maschi sono previsti lavori forzati in aziende agricole.

In Guinea-Bissau e nella regione che circonda il Senegal si sfruttano pure le tradizioni locali. In alcuni casi, le famiglie mandano i figli a diventare "talibés", ossia studenti delle scuole coraniche diretti da maestri chiamati "marabout". Ed è in questa situazione, si legge nel rapporto, che accade che i trafficanti prendano i bambini per obbligarli a fare la carità per strada. In Senegal si stima che ci siano oltre 30 mila talibés solo la regione di Dakar.

Bambini Soldato
Anche la questione dei bambini soldato continua a essere una piaga devastante per l’Africa Sub-Sahariana. Nella Repubblica Democratica del Congo, lo scorso anno l’ONU ha documentato che 241 ragazzi sono stati reclutati, 80 uccisi e 92 menomati. Numeri, peraltro, che riguardano solo i casi ufficialmente riconosciuti. Nella Repubblica Centrafricana si stima che ci siano ancora tra i 6 e i 10 mila ragazzini arruolati. In Sud Sudan, dove è in corso una guerra civile, i bambini sono utilizzati abitualmente nel conflitto da ambo gli schieramenti in campo. E si sospetta che la situazione sia simile anche in Ciad, anche se il paese ha ufficialmente interrotto l’uso di bambini soldato tra le proprie forze armate.

In Ghana, invece, le oltre 103 mila persone schiavizzate sono vittime nell’85% dei casi di lavori forzati e nel 15% di matrimoni obbligati. I settori lavorativi in cui si incontrano più spesso situazioni di questo genere nel Paese sono agricoltura e pesca.

In Sudafrica la situazione è un po’ diversa: le vittime si concentrano più nel sesso a pagamento, nell'edilizia, nell'industria manifatturiera e nel traffico di droga.

Schiavitù sessuale, ragazze nigeriane in Italia
La Nigeria, il paese più popoloso dell'Africa, è anche il paese con il numero più alto di "nuovi schiavi" in senso assoluto dell'Africa Sub-Sahariana (875.000 vittime stimate), un dato dovuto alle violenze dell'Islam integralista (Boko Haram) che negli nord-orientali usa i minori anche per compiere attentati, rapisce ragazze per fare di loro schiave sessuali, e poi nelle regioni più povere della Nigeria del Sud esiste anche la schiavitù da "esportazione", decine di migliaia di ragazze nigeriane fatte arrivare in Europa per fare di loro delle "schiave sessuali".

Insomma, di esempi, purtroppo, ce ne sono davvero tanti e ovunque. La Walk Free Foundation ha stilato anche un report regionale su Nord Africa e Medio Oriente, da cui emergono altre 3 milioni di vittime. Le prime posizioni di questa classifica regionale sono tutte occupate da Paesi mediorientali, mentre tra gli Stati africani si incontrano Libia (70.900 schiavi, pari all’1,13% della popolazione), Tunisia (85 mila, 0,766%), Marocco (quasi 220 mila, 0,639%), Algeria (poco meno di 250 mila, 0,626%).

Global Slavery Index 2016

Africa, i nuovi schiavi
(Paese per Paese)

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Articolo a cura di
Maris Davis

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