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24 maggio 2018

Cara di Mineo. Lo scempio delle ragazze nigeriane sfruttate nell'indifferenza delle istituzioni

Prostituzione e sfruttamento alla luce del sole al Cara di Mineo in provincia di Catania, il più grande centro di accoglienza d'Europa e che ospita, a seconda dei periodi, dai 2.500 ai 3.500 migranti.


Lo avevamo già denunciato nei nostri articoli, ma lo "scempio" continua

Da tempo gli occhi della magistratura sono puntati sul Cara di Mineo
Intervenendo lo scorso anno alla Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema di accoglienza, di identificazione ed espulsione, il presidente dell'Autorità nazionale anti-corruzione (Anac), Raffaele Cantone, ha preso la struttura a esempio della cattiva gestione dell'emergenza immigrazione.

"Quello di Mineo risultò essere il classico bando su misura, scritto in modo tale da escludere la concorrenza, escludendo la divisione in lotti: mancava solo che fosse indicato anche il nome del vincitore"

Quindi ha ricordato Cantone, "La vicenda ci colpì molto, contro il nostro provvedimento ci furono un vero e proprio fuoco di sbarramento e attacchi anche in qualche audizione parlamentare, mentre il Cara si rifiutò di revocare l'atto nonostante quanto oggettivamente emerso"

Ma non si tratta solo di corruzione, c'è anche la violenza contro le donne ospiti
Sia le autorità preposte alla sorveglianza della struttura, sia le varie cooperative che gestiscono gli appalti all'interno del Cara di Mineo, "vedono" le violenze, "vedono" gli stupri di ragazze sempre più frequenti, e soprattutto "vedono" lo sfruttamento a cui sono sottoposte le ragazze nigeriane, ma tacciono, e stanno zitti consapevolmente.

Lui entra nella stanza di lei sfondando la porta, poi la picchia, la spoglia e si getta su di lei per abusarla sessualmente. La violenza è interrotta da un migrante che vive nella stessa palazzina. Sarebbe una scena di «ordinario stupro» nel Centro accoglienza richiedenti asilo di Mineo quello che si è verificato due giorni fa nella struttura secondo il procuratore di Caltagirone Giuseppe Verzera che gestisce tutte le inchieste sul Cara di Mineo. Che ribadisce l’allarme: «è ingestibile, ed è un enorme problema di ordine pubblico»

E va oltre, «sono numerosi i casi di violenze sessuali registrate nel Cara di Mineo, e non tutti sono denunciati, per paura». Il magistrato è certo che nel centro ci sono «molte donne che vivono con la paura di essere stuprate»

«È ingestibile ed è un serio problema per l’ordine pubblico»


Volevano chiuderlo tutti ma è ancora aperto
Il C.A.R.A. di Mineo va chiuso perché perpetua una gestione securitaria, poliziesca, segregativa e non garantisce la realizzazione di alcuna quotidianità ai nuclei familiari, a chi vuol ricongiungersi o costruirsi la propria vita.

Volevano chiuderlo tutti, anche quel Salvini Matteo, che oggi assieme ai Cinque Stelle si appresta a governare l'Italia. Lo hanno detto tutti che quella struttura andava chiusa, politici di destra e di sinistra, gli unici a non volerla chiudere sono proprio i siciliani, dai politici alle cooperative che gestiscono gli appalti, dagli agricoltori che fruttano i migranti nelle campagne (per esempio nella raccolta di agrumi) e soprattutto per la mafia, quella siciliana, ma anche quella nigeriana. Per la Sicilia quel Centro di accoglienza è un business, il business delle vergogne inconfessabili sulla pelle di migliaia di immigrati.

375 dipendenti e un indotto che genera profitti milionari alle spalle dei migranti ospitati. Difficile chiuderlo, troppi interessi locali in ballo

Prostituzione alla luce del sole
All'inizio dell'anno dentro il Cara di Mineo una ragazza fu uccisa a coltellate, poche righe sui giornali e tutto è finito lì, nessuno si è scandalizzato.

Prostituzione alla luce del sole.
Se ne occupò anche la trasmissione "L'Aria che tira" de La7


Una situazione drammatica per le "ospiti" nigeriane del Cara di Mineo costrette a prostituirsi nei weekend in case in varie città della Sicilia, e durante la settimana addirittura intorno alla stessa struttura di accoglienza o sulla superstrada SS385, meglio conosciuta come la Catania-Gela.

Mai una sola visita da parte di un’organizzazione internazionale o di qualche associazione di volontariato. Solo Suor Chiara del progetto Migranti di UISP va a visitarle, a piedi nudi, in strada una volta alla settimana fornendo loro beni di conforto e vestiti.


Dall'interno del Cara di Mineo riceviamo in continuazione testimonianze via social e via whatsapp. Ecco le più recenti. Certo sono in un italiano stentato ma danno l'idea di quello che succede tutti i giorni, ogni giorno.

NON È SOLO QUESTO CHE TI HO SCRITTO, È CHE ALL'INTERNO DELLE CASE IN DOTAZIONE SONO SOGGETTE DURANTE IL WEEKEND A TARDA SERA VENGONO USATE PER INCONTRI DI SESSO FRA UOMINI LOCALI DEL PAESE. COSTRETTE DAGLI STESSI NIGERIANI OSPITI RICHIDENTI ASILO CHE CONSTRINGONO LE RAGAZZE A PROSTITUIRSI OK.

POI CI SONO LE CENE E I FESTINI IN CASE PRIVATE DOVE LE RAGAZZE SONO "INVITATE" PER FARE SESSO CON GLI OSPITI.

UNA RAGAZZA CHE AVRÀ FRA 16/17 ANNI CHE TUTTE LE MATTINE QUANDO LEI VIENE FUORI DAL CARA SARANNO LE 08 DEL MATTINO DEVE INCONTRASI IN UNA CASA ABBANDONATA NON LONTANO PIÙ DI 400 METRI DAL CARA A FARE SESSO IN MACCHINA. E IL RAGAZZO CHE LA SFRUTTA L'ASPETTA X POI FARSI DARE I SOLDI.

QUESTO E QUELLO CHE SUCCEDE POI DURANTE LA GIORNATA NON DISTANTE 100 METRI SI RADUNANO GRUPPI FRA DONNE E UOMINI CHE SI METTONO LI A FAR CAPIRE CHE PARLANO MA INVECE LE RAGAZZE ASPETTANO CHE IL CLIENTE VENGA A PRENDERLA CONTATTATO TRAMITE WHATSAPP OK.

MI SONO SPIEGATO MARIS QUESTE SONO LE NOVITA E NON È FINITA. OK CIAO
COME SEMPRE QUI AL CAMPO LE RAGAZZE FANNO IL LORO WEEKD DA DONNE USATE, È UNO SCHIFO VEDERE BAMBINE MANDATE FARE LE PROSTITUTE TUTTI LO SANNO MA NESSUNO FA NIENTE IO OH AVUTO DIVERSI SCONTRI MA MI È STATO DETTO DALLA MAFIA NIGERIANA DI FARMI GLI AFFARI MIEI, CHE SONO LORO STESSI OSPITI DEL CAMPO CHE SONO DELLA MAFIA NIGERIANA SONO LORO CHE GESTICONO TUTTO FRA DROGA CONTRABANDO E PROSTITUZIONE OK MARIS
IO LO SO IO LO VEDO TUTTI I GIORNI LE RAGAZZE CHE TUTTE LE MATTINE VANNO A LAVORARE MA LE ISTITUZZIONI STANNO A GUARDARE E I MILITARI CHE SONO A GUARDIA DEL CAMPO CONTROLLANO SOLO IL PERIMTRO DEL CAMPO.

MA NON DISTANTE DAL CENTRO DI ACCOGLIENZA GIA ALLE 8:00 DEL MATTINA CI SONO RAGAZZE SI PROSTITUISCONO X 10 EURO E FUORI C'È IL COMPAGNIO CHE ASPETTA CHE GLI PORTA I SOLDI.

IO CI PASSO TUTTE LE MATTINE È STRADA PUPPLICA CHE PORTA AL CENTRO DI ACCOGLIENZA, IL RAGAZO LO CONOSCO E UNO CHE È UN RESIDENTE DEL CENTRO DI ACCOGLENZA E SI NOTA DI LATO LE MACCHINE CHE ASPETTONO IL TURNO X ANDARE CON LA RGAZZA.

IL CAMPO È DISTANTE SOLO POCHI MINUTI OK CON QUESTO HO DETTO TUTTO.
IO L'HO SEGNALATO ANCHE AL RESPOSABILE DEL COMUNITA NIGERIANA MA NON FA NULLA COME ULTIMA VOLTA CHE È STATA AGREDITA E STUPRATA LA RAGAZZA AL INTERNO DEL CAMPO SONO STATI VIGILI PER UN PO'.

14 NIGERIANI SONO FINITI IN CARCERE, MA SIAMO ALLE SOLITE LA SERA QUANDO IL SI FA BUIO, GLI SFRUTTATORI LA FANNO DA PADRONI ANCHE DENTRO IL CAMPO.

LE STANZE DELLE RAGAZZE DIVENTANO STANZE DA APPUNTAMENTO CHE I SIGNIORI DAI PAESI VICINI VENGO A FAR "VISITA" ALLE RAGAZZE ACCOPAGNIATI DAGLI STESSI OSPITI DEL CAMPO.

NESSUNO FA NIENTE XCHE CI SONO PURE GLI STESSI OPERATORI CHE VANNO CON LE RAGAZZE OK. IO HO LA MIA PROTETTA CHE STA COME E COSI NESSUNO LA FA PROSTITURE OK.

IO INTERVENGO SE QUALCHE RAGAZZA SI RIBELLA. PIÙ DI QUESTO NON POSSO FARE XCHE C'È LA MAFIA NIGERIANA CHE TU CONOSCI BENE OK CIAO STAMMI BENE
Cara Maris x questo wkeekend sarà molto triste a vedere quello che succede.

Ieri sera ero impotente a vedere le ragazze che si preparavano x andare nei vari paesi e essere portate a prostituirsi io oh segnalato al responsabile della comunità Nigeriana e mi sono sentito rispondere che non può fare nulla x che c'è mafia Nigeriana e che se la avrebbero presa con la sua famiglia e che questa e la sorte che sono soggette le ragazze del campo.

E in Nigeria non è diverso xché li le ragazze x vivere e mangiare nelle famiglie povere è questa la vita che fanno ok. Qui secondo lui la vita è migliore anche se si prostituiscono.

Io sono rimasto senza parole e cosi mi sono preso mia protetta e a malincuore questa mattina le ho viste partire che faranno ritorno solo  martedì e nessuno controlla l'assenza degli ospiti del campo di accoglienza ok Maris ciao fai una buona domenica.
CIAO QUI AL CAMPO LA VITA X LE DONNE NON È FACILE XCHE QUI DANNO 2,50 AL GIORNO PIU UN PACCHETTO DI SIGARETTE E UNA BOTTIGLIA DI ACQUA.

GLI UOMINI POSSONO ANDARE A LAVORARE NELLE CAMPAGNIE MA LE RAGAZZE SONO SOGGETTE AGLI ABUSI DEGLI STESSI RESIDENTI DEL CAMPO E ANCHE DA ALCUNI OPERATORI CHE SI APROFITTANO DELLE RAGAZZE X FARE SESSO CON LORO IN CAMBIO DI QUALCHE EURO GIA.

APPENA CHE ESCONO DAL CENTRO SONO GIA LI CHE LE ASPETTANO I CLIENTI CHE SI METTONO IN CONTATTO TRAMITE WHATSAPP FRA LORO DEGLI UOMINI CHE LE OBLIGANO AFARE LE PROSTITUTE E LO FANNO PIU X PAURA. SE SI RIFITANO VENGONO BASTONATE E NESSUNO LI DENUCIA. XCHE DOVREBBERO ESSERE LE STESSE RAGAZZE A DENUCIARE MA NON LO FANNO X PAURA OK
CIAO COME TUTTI I WEEKEND IO SONO IN GIRO X LE STRADE DOVE CI SONO LE RAGAZZE DOVE SONO COSTRETTE A LAVORARE. IO NEL MIO PICCOLO LE PORTO ALL'ORA DI PRANZO UN PO' DA MANGIARE AFRICANO E DA BEVE. CIAO E FAI UNA BUONA DOMENICA
MARIS PER ME SARA UN LUNGO WEEKEND X CHE QUI A MINEO X LE RAGAZZE SONO I TRE GIORNNI IN CUI VENGONO TRASLOCCATE (portate) IN VARI PAESI. A CATAGIRONE, PALERMO, ENNA E VIA DI SEGUITO OK MESSE LI DALLA MATTINA ALLA SERA CON UN PANINO E UNA BOTTIGLIA DI ACQUA X 12 ORE A FARE SESSO. OK CIAO

E per finire, l'ultimo aggiornamento
"Ho letto il tuo articolo nel blog e tu hai letto il mio ultimo messaggio ?? In cui in cui ti dico che ce pure la strada che va dall'aereoporto di Catania lungo la strada x Scordia. È lunga circa 5 kilometri piena di ragazze nigeriane sia destra che a sinistra.

Ma il problema è alla sera perché non è illuminata ed è molto pericolosa. Per questo le ragazze si vedono appena. Ma loro accendono i fuochi x essere viste. Ok ciao, fai un buon weekend io sono qui al campo, ok ciao"





Articolo di
Maris Davis

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14 ottobre 2017

Cara di Mineo, la nostra denuncia. Non è più possibile tacere

Il Cara di Mineo in provincia di Catania è la più grande struttura di accoglienza per migranti presente in Europa. Attualmente ospita circa tremila richiedenti asilo, ma può ospitarne fino a 4.500. Più volte al centro di polemiche politiche per le condizioni di vita al suo interno o perché fonte di guadagni illeciti da parte di politici e cooperative.


Attualmente è in corso un processo contro 25 persone per appalti illeciti dal 2011 al 2014 (turbativa d'asta e falso) in cui è coinvolto anche l'attuale sottosegretario alle politiche agricole Giuseppe Castiglione (per fatti che riguardano l'epoca in cui era presidente della provincia di Catania). Prima udienza rinviata al 25 gennaio prossimo. Una struttura entrata anche nell'inchiesta di Roma su Mafia Capitale (Luca Odevaine)

Oggi il centro è sotto gestione commissariale. Il presidente del Consorzio “Nuovo Cara Mineo”, è Giuseppe Caruso, docente universitario di Economia a Catania, supportato da Giuseppe Di Natale, amministratore delegato del consorzio. A loro si è arrivati dopo una serie di nomine e contro-nomine e di intricatissime vicende. Il Consorzio “Casa della Solidarietà” e la coop “La Cascina”, capofila della RTI vincitrice dell’appalto milionario, finiti nella bufera di Mafia Capitale, furono commissariati il 23 giugno 2015, su proposta del presidente dell'Anti-Mafia Raffaele Cantone e del Prefetto di Catania Maria Guia Federico.

I “BUCHI” DEL CARA. Il 30 novembre 2015, al Cara di Mineo, si è insediata una “Struttura di missione” per la gestione diretta del Cara di Mineo, con il compito di supportare la prefettura nell'attività di controllo e monitoraggio della gestione del centro e, aspetto di particolare interesse, nella predisposizione del nuovo bando di gara.

Responsabile della Struttura è il Viceprefetto Giuseppa Di Raimondo, supportata dal Viceprefetto aggiunto Francesco Milio. Una task force composta dai due prefettizi competenti sulla Struttura, più altre cinque figure, che ha rilevato non poche criticità: sul controllo delle presenze al centro, ad esempio, è stato finalmente ottenuto, dopo un paio di mesi, di regolare l’uscita degli ospiti.

Nei fatti dal Cara di Mineo si esce e si entra a piacimento, anche oggi e senza controlli stringenti


Per regolamento gli ospiti possono uscire (regolamento uguale per tutti i centri d’accoglienza d’Italia) dalle 8 alle 20. Di fatto, però, non c’era alla porta h24 un operatore, che rilevasse tramite badge l’uscita e l’entrata. Ma ha ammesso la Di Raimondo, audita dalla Commissione Migranti presso la Prefettura di Catania, l’8 luglio 2016, resta il problema di «una rete fatiscente, perché questo è un CARA che è stato fatto per il villaggio degli americani. Ci sono 3.000 persone e c’è chi entra e chi esce anche dalle reti. Questo esiste»

Gli orari di entrata e uscita più stringenti hanno, in qualche modo contenuto, ma non eliminato, il fenomeno del caporalato, «su cui, confessa la Di Raimondo, non so rispondere, perché non faccio parte delle forze dell’ordine. Indubbiamente però esiste. Ce ne accorgiamo. Prima non c’era il divieto di uscire prima delle 8 e alle 6 c’erano già persone che uscivano e andavano a lavorare in nero nei campi. Oggi ci sono macchine che li aspettano alle 8.00-8.30. Indubbiamente questo problema del lavoro in nero c’è. Ci saranno duecento o trecento persone che vanno a lavorare nei campi ci saranno»

I buchi non sono solo fisicamente nella rete. È tutto il sistema di controlli un colabrodo. La task force ha chiesto l’elenco dei fornitori: «Nessuno l’aveva mai chiesto, ammette sconsolata Di Raimondo. A noi hanno fornito l’elenco per tutte le imprese e i vari settori di erogazione di servizi, manutenzione, mensa, Croce Rossa, assistenza e via continuando. Ce l’hanno mandato e noi l’abbiamo mandato alla prefettura per una verifica a campione»

375 dipendenti e un indotto che genera profitti milionari alle spalle dei migranti ospitati. Difficile chiuderlo, troppi interessi locali in ballo

Dal 2015 denunciamo l'insopportabile situazione che si è creata all'interno del Cara di Mineo ormai "preda" di sfruttatori e mafie e dove decine e decine di ragazze (soprattutto nigeriane) sono costrette a prostituirsi, nelle strade adiacenti, a Catania, a Messina, o in altre città dove vengono portate nei weekend ospitate in ville, in festini a base di sesso organizzati da boss locali.


Cara di Mineo, terra di nessuno alla mercé di sfruttatori e mafie
- Vai all'articolo -

Viaggio tra i richienti asilo del Cara di Mineo, inferno di Stato
- Vai all'articolo -

Tratta delle prostitute africane e caporalato al Cara di Mineo
- Vai all'articolo -

Ci pervengono in continuazione denunce dall'intero sulla degradante situazione della ragazze nigeriane ospiti della struttura di accoglienza siciliana, costrette a prostituirsi perfino al suo interno.

Questa che vi segnaliamo è solo l'ultima, pervenutaci proprio ieri. Una "richiesta di aiuto drammatica" dall'interno della struttura di accoglienza che di seguito trascriviamo così come ci è pervenuta. È in un italiano stentato, ma esplicito nella sostanza.

MARIS PER ME SARA UN LUNGO WEEKEND X CHE QUI A MINEO X LE RAGAZZE SONO I TRE GIORNNI IN CUI VENGONO TRASLOCCATE (portate) IN VARI PAESI XCATAGIRONE,PALERMO ENNA E VIA DI SEGUITO OK MESSE LI DALLA MATTINA ALLA SERA CON UN PANINO E UNA BOTTIGLI ACQUA X 12 ORE OK CIAO

NON E SOLO QUESTO CHE TI O SCRITTO E CHE AL INTERNO DEL CASE IN DOTAZIONE SONO SOGGETTE DURANTE IL WEEKEND A TARDA SERA VENGONO USATE PER INCONTRI DI SESSO FRA UOMINI LOCALI DEL PAESE DA PARTE DEGLI STESSI UOMINI OSPITI RICHIDENTI A SILO CHE CONSTRINGO LE RAGAZZE A PROSTITUIRSI OK POI CENE UNA RAGAZZA CHE AVRA FRA 16/17 ANNI CHE TUTTE LE MATTINE QUANDO LEI VIENE FUORI DAL CARA SARANNO LE 08 DEL MATTINO DEVE INCONTRASI IN UNA CASA ABBANDONATA NON LONTANO DI 400 METRI DAL CARA A FARE SESSO IN MACCHINA E IL RAGAZZO CHE LA ASPETTA X POI FARSI DARE I SOLDI QUESTO E QUELLO CHE SUCCEDE POI DURANTE LA GIORNATA NON DISTANTE 100 METRI SI RADUNANO GRUPPI FRA DONNE E UOMINI CHE SI METTONO LI A FAR CAPIRE CHE PARLANO MA IN VECE LE RAGAZZE ASPETTO CHE IL CLIENTE VENGA A PRENDERLA CONTATTATO TRAMITE WHATSAPP OK MI SONO SPIEGATO MARIS QUESTE SONO LE NOVITA IN VERNALI ORMA L'ESTATE E FINITA OK CIAO

(chi ci scrive è un amico straniero che vive nella struttura di accoglienza e di cui non facciamo il nome per ovvi motivi di riservatezza)

- fai girare la nostra denuncia su facebook -

Risulta chiaro che proprio adesso dentro e fuori il Cara di Mineo esiste un'organizzazione (non sta a me dire chi e come, anche se lo posso immaginare) che costringe le ragazze nigeriane a offrire sesso a pagamento.


Una situazione drammatica per le "ospiti" nigeriane del Cara di Mineo costrette a prostituirsi nei weekend in case in varie città della Sicilia, e durante la settimana addirittura intorno alla stessa struttura di accoglienza. Una situazione che, nonostante i nostri appelli e quelli di altre associazioni, sembra che nulla sia cambiato. Anzi è sempre peggio.

Ci chiediamo che fanno le forze dell'ordine che presidiano la struttura, la cooperativa che la gestisce e le associazioni che operano all'interno del Cara di Mineo. Hanno per caso gli occhi chiusi e le orecchie spente su ciò che succede intorno a loro ?? O forse sono tutti complici dello sfruttamento ??

Aiutateci a denunciare, il mondo deve sapere. Perché se le denunce formali non bastano è arrivato il momento che la gente perbene sappia ciò che succede in certi centri di accoglienza italiani, soprattutto al sud Italia.

Giovani ragazze che dopo un viaggio allucinate vengono parcheggiate nello "schifo" dei Cara dove sono preda di mafie locali e mafiosi nigeriani anziché essere avviate nel circuito della protezione sociale così come previsto dal Piano Nazionale Anti-tratta del 2016 oppure semplicemente espulse in base al trattato bilaterale Italia-Nigeria firmato a febbraio 2016. Un modo drastico, certo, ma almeno così non vengono ri-consegnate ai trafficanti e alla mafia nigeriana che le gestisce e le ha fatte arrivare in Italia.





Articolo a cura di
Maris Davis

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27 settembre 2017

Immigrazione. I Centri di Accoglienza sempre più serbatoio di "nuovi schiavi"

'Chiedevamo protezione, ora siamo schiavi'. Dalla Toscana alla Sicilia, molti Centri di accoglienza sono diventati un serbatoio di manodopera a basso costo. Lì vanno a rifornirsi caporali e imprenditori senza scrupoli, nonché protettori e mafie che avviano le ragazze alla prostituzione. Per l’opinione pubblica, però, i migranti sono ancora “parassiti che mangiano e dormono


Un ragazzo del Gambia è seduto su una vecchia sedia girevole. Siamo in mezzo a una baraccopoli nei pressi di Mazara del Vallo, tra casette di cartone e lamiera. “Un giorno avrò la mia chance”, dice. Aspetta una risposta alla richiesta d’asilo e qualcuno che lo chiami a giornata per raccogliere olive.

Come lui centinaia di migranti ospiti dei centri d’accoglienza lavorano nelle campagne da Nord a Sud. In Toscana per la vendemmia del Chianti, in Calabria per le patate della Sila, in ogni angolo della Sicilia per raccogliere pomodori, arance e olive. Almeno tre inchieste della magistratura raccontano di migranti arrivati in Italia per chiedere protezione e finiti in schiavitù. Decine di testimonianze lasciano intravedere un fenomeno molto ampio. Cresciuto proprio mentre l’opinione pubblica si accaniva sui parassiti che “mangiano e dormono negli hotel a cinque stelle

I “Cas” (Centri di accoglienza straordinari) sono strutture d’emergenza, gestiti da privati ma autorizzati e controllati dalle prefetture, quindi dal governo. Il Cas può essere un piccolo albergo, un centro anziani riadattato o un casolare nel nulla. I tempi di permanenza, decisi dalla burocrazia statale, vanno dai sei mesi ai quattro anni. Il migrante presenta richiesta d’asilo e aspetta. Ma nel frattempo cosa fa?

Quelli dei Cas
Benvenuti nella città del sale e dell’accoglienza”. All'ingresso di Trapani i cartelli stradali ricordano il business del passato e quello del presente. In provincia ci sono una trentina di Cas. In un territorio prevalentemente agricolo, i migranti in attesa sono una manna dal cielo per l’agricoltura in crisi. Ad Alcamo, durante la vendemmia, molti dormono in una piazza del centro. Accampati con sacchi a pelo, cucinano sull'asfalto mentre accanto i vecchietti del paese giocano a carte. Al mattino si metteranno in fila per essere caricati sui furgoncini.

In Sicilia si è prodotta una stratificazione. Tunisini coi capelli grigi, da venti anni in Italia, si affiancano a giovani sub-sahariani sbarcati da pochi mesi. “Sono quelli dei Cas”, li indicano. Quei giovani che non parlano italiano sono concorrenti temibili. “Tanto lo Stato ti dà da mangiare e dormire”, dicono i padroni dei campi. E pagano il meno possibile.

Cinquanta euro ai tunisini, 25 ai romeni, da 15 a 7 per gli ospiti dei Cas. A Vittoria, provincia di Ragusa, il salario di un bracciante a giornata è precipitato. Nelle campagne, al tramonto, decine di africani in bicicletta tornano dalle serre ai centri di accoglienza. In tasca hanno una manciata di monete, il misero compenso di dieci ore di lavoro.

Il caporalato da queste parti non c’era. Da poco si sono formate le prime reti. Tre mesi fa la polizia arrestava alcuni imprenditori. L’accusa? Utilizzavano operai gravemente sfruttati: 19 richiedenti asilo, due tunisini e cinque romeni. Questi ultimi vivevano in casolari fatiscenti nei pressi dell’azienda, gli altri tornavano a dormire nei Cas. Si tratta di una delle prime applicazioni dalla legge anti-caporalato, che punisce il grave sfruttamento sul lavoro.

Come in gabbia
Le testimonianze su casi analoghi rimbalzano da un angolo all'altro della Sicilia. L’associazione Borderline Sicilia si occupa di monitorare l’accoglienza. Racconta per esempio di un centro anziani a Canicattì che ha aggiunto alla ragione sociale l’ospitalità dei profughi. “Alle 4,30 del mattino si va nel punto di raccolta e si aspetta il contadino che passa con il suo camioncino e sceglie fra adulti italiani, africani e rumeni. Ma anche tanti minori, che non si perdono nella depressione dell'inattività, ritrovandosi a farsi sfruttare per qualche euro in tasca

Nel centro sarebbero presenti persone che stanno lì “posteggiate” da tre anni, neo-maggiorenni fuoriusciti dalle comunità per minori, migranti in transito per altri centri


Non va meglio nel Cara di Mineo, nei pressi di Catania: una mega-struttura che al momento ospita poco meno di tremila persone. Il centro è un’isola in un mare di aranceti. La stagione agrumicola sta per iniziare. Tutti hanno bisogno di braccia. I padroni senza scrupoli scelgono quelle a basso costo.

Ho comprato una bicicletta per 25 euro. Ogni giorno, aspettiamo le otto. È l’orario di apertura, prima non si può. Stiamo dietro i cancelli, come in gabbia. Poi le porte si aprono e cerchiamo qualcuno che ci dia lavoro per la giornata

Pecore e patate
Come si comportano i responsabili dei centri di accoglienza quando vedono strani movimenti intorno ai loro ospiti? Alcuni aiutano a denunciare. La maggior parte fa finta di niente. Qualcuno si trasforma in caporale.

È il caso di due Cas nella Sila cosentina. Tutto inizia con la denuncia di un migrante, percosso e minacciato solo perché rallenta la raccolta. La magistratura interviene contro quattordici persone accusate di “intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro”. Era l’operazione “Accoglienza” dello scorso maggio, prima applicazione assoluta della legge anti-caporalato.

Un episodio svela la certezza di impunità nella zona. Durante la notifica del provvedimento, uno degli agricoltori continuava a impartire ordini agli africani, lamentandosi con i carabinieri per il tempo che perdeva (“le fragole si rovinano”)

Ma i migranti erano sfruttati due volte: nei campi e come mezzo per ottenere finanziamenti. I famosi “35 euro” finivano tutti in tasca ai gestori, che rendicontavano attività di “integrazione” mai svolte. Invece i rifugiati senegalesi, nigeriani e somali lasciavano i centri alle sei del mattino per lavorare nei campi di patate o per fare i pastori. Il compenso? Poco più di un euro l’ora.

Il vino del Chianti
L’inchiesta si chiama “Numbar Dar” (“Capo villaggio”) e risale alla vendemmia di un anno fa. Dimostra che il problema non è solo del Sud o di territori in crisi.

Tra fattorie storiche nate negli anni ’20, vigneti e colline le aziende del Chianti ricorrevano alla manodopera a basso costo dei centri di accoglienza. Il caporale pachistano, i consulenti di Prato, quelli che falsificavano le buste paga, e i titolari delle aziende vinicole erano i cardini del sistema.

Circa 160 migranti sono rimasti incastrati nel sistema. Lavoravano fino a dodici ore al giorno per quattro euro l’ora e venivano spesso picchiati. Nelle giornate di picco della raccolta dell’uva, i viaggi da Prato a Tavarnelle Val di Pesa erano due al giorno. I caporali privilegiavano i connazionali pakistani: solo a loro era concesso del cibo e un po’ di acqua. Se occorrevano altre braccia, venivano chiamati a lavorare a giornata anche richiedenti asilo africani, vittime di maggiori soprusi. I “negri” non avevano il diritto di bere né di avere scarpe: lavoravano a piedi nudi nei campi.

Cara di Foggia, migranti costretti a dormire con i materassi a terra
Cara di Foggia, lager di Stato

In tutta Italia, ci sono centri di accoglienza gestiti con professionalità e personale che ci crede. Ma negli ultimi anni le lentezze burocratiche hanno creato una situazione drammatica. I documenti in Questura, l’esame alla commissione asilo e il ricorso al Tribunale possono richiedere anni. Nel frattempo le famiglie in Africa pressano per ricevere soldi. Così i migranti trovano in Europa un incubo simile a quello che avevano lasciato.
(da un'inchiesta dell'Espresso)

È evidente a tutti che così com'è l'accoglienza NON funziona, e tanto meno NON funziona l'integrazione. Lodevoli le iniziative come il sistema Sprar e la così detta "accoglienza diffusa", ma è solo una goccia nel mare dell'ipocrisia. Uno, due, forse tre su cento sono gli immigrati che in questo modo riescono ad integrarsi veramente. E tutti gli altri ??

L'attuale legge che regola l'immigrazione e l'accoglienza (Legge 30 luglio 2002, n. 189 Bossi-Fini) NON funziona più, desueta e perfino razzista. Un legge approvata da quelle destre che adesso protestano, diffondono paure pur di avere visibilità e forse qualche voto in più. È questa una delle cause di una più ampia diffusione di progetti Sprar nei singoli comuni italiani.

Una legge, la Bossi-Fini, che ha permesso in passato la creazioni di grandi centri di accoglienza (Cara di Mineo, Cara di Foggia, Cara di Isola Capo Rizzuto, ecc..) diventati ormai dei veri e propri "parcheggi per immigrati in attesa", lager di stato, fonte di guadagni privati con denaro pubblico per le cooperative che li gestiscono, serbatoi infiniti di manodopera a buon mercato per mafie, caporali e sfruttatori.

E nell'attuale emergenza di inseriscono tutti, ma proprio tutti, perfino i privati, pur di far diventare le loro strutture alberghiere, case di riposo, casolari dismessi centri di accoglienza straordinari (i così detti CAS) e quindi prendersi quei 35 euro al giorno per ogni immigrato "ospitato", e più immigrati ci sono e più a lungo rimangono, e più si guadagna. Certo tra i tanti che si propongono ad ospitare stranieri ci sono anche coloro cho lo fa davvero con lo spirito del buon samaritano, ma questi casi temo non siano molti.

E poi c'è l'attesa degli immigrati, l'attesa di una risposta da parte della burocrazia italiana, una risposta che arriva dopo mesi (quando va bene) o dopo anni (anche più di due) se sei sfortunato o fai la tua domanda di asilo nella provincia sbagliata.

Si cerca di arginare gli ingressi facendo accordi con i libici e con i paesi di partenza dei migranti, chiedendo all'Europa una la redistribuzione equa e solidale, e maggiori risorse per gestire la prima accoglienza o per aiutare i paesi dell'Africa. Tutte cose di per se giuste, ma ci si è dimenticati di dire che tutto questo viene fatto nella cornice di una legge che NON funziona più, una legge che, lo ricordo di nuovo, approvata dalle destre (governo Berlusconi 2002)

Per tutto questo noi di Foundation for Africa abbiano deciso di aderire alla campagna "Ero Straniero, l'umanità che fa bene", con l'obiettivo di portare in Parlamento un proposta di legge per modificare la Bossi-Fini.



Articolo a cura di
Maris Davis

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15 settembre 2016

Cara di Foggia, un lager di Stato.

Prostituzione, caporalato e mafia nigeriana alla luce del sole, sotto gli occhi di poliziotti, carabinieri e i militari che dovrebbero sorvegliare il centro di accoglienza per richiedenti asilo

Cara di Foggia
Sette giorni all'inferno, il diario di un finto rifugiato nel ghetto di Stato. Dormitori stracolmi. Dove la legge non esiste. Fabrizio Gatti, giornalista de "L'Espresso" è entrato clandestinamente, nel Cara di Foggia. Dove oltre mille esseri umani sono tenuti come bestie. E per ciascun immigrato presente le coop che lo gestiscono prendono 22 euro al giorno.

Da sempre noi di Foundation for Africa denunciamo lo sfruttamento e il business che c'è attorno alla gestione dell'accoglienza, soldi di stato che entrano nelle tasche di allegre cooperative che gestiscono i Centri di prima accoglienza, CARA e i CIE in Italia, un affare milionario in cui sono coinvolte anche mafie locali, politici corrotti e cooperative disoneste, e tutto sulla pelle degli immigrati.

Ecco il racconto di Fabrizio Gatti. La quinta notte apro la porta sull'inferno. Dal buio dello stanzone esce un alito di aria intensa e arroventata che impasta la gola. Si accende un lumino e rischiara una distesa di decine di persone, ammassate come stracci su tranci di gommapiuma. Niente lenzuola, a volte solo un asciugamano fradicio di sudore sotto le coperte di lana. Nemmeno un armadietto hanno messo a disposizione, ciabatte e scarpe sono sparse sul pavimento, i vestiti di ricambio dentro sacchetti di carta. Rischio di calpestare una serpentina incandescente, collegata alla presa elettrica da due fili volanti. Qualcuno sta preparando la colazione per poi andare a lavorare nei campi. Cucinano per terra. Se scoppia un incendio, è una strage.

No, questa non è una bidonville, è un ghetto di Stato. Il Cara di Borgo Mezzanone vicino a Foggia, il Centro d’accoglienza per richiedenti asilo, il terzo per dimensioni in Italia. Ce ne sono molti altri di stanzoni ricoperti di corpi. I ragazzi africani vengono sfruttati anche quando dormono. Per trattarli così, il consorzio “Sisifo” della Lega delle cooperative, e la sua consorziata “Senis Hospes”, amministrata da manager cresciuti sotto l’ombrello di Comunione e liberazione, incassano dal governo una fortuna, ventidue euro al giorno a persona, quattordicimila euro ogni ventiquattro ore, oltre quindici milioni d’appalto in tre anni. Più eventuali compensi straordinari, secondo le emergenze del momento.

La quinta notte rinchiuso qui dentro ho già visto i gangster nigeriani entrare nel Cara a prelevare le ragazzine da far prostituire. I cani randagi urinare sulle scarpe degli ospiti messe all'aria ad asciugare. E perfino i trafficanti afghani offrire viaggi nei camion per l’Inghilterra. Mi hanno anche interrogato. Un picciotto dei nigeriani, non la polizia.

Agenti e soldati di guardia non si muovono dal piazzale asettico del cancello di ingresso. In una settimana, mai incontrati. Nessuno protegge i 636 ospiti dichiarati nel contratto d’appalto. Ma siamo sicuramente più di mille. Contando gli abusivi, forse millecinquecento. Perché da quattro buchi nella recinzione, chiunque può passare. E da lì sono entrato anch'io. Un nome falso, una storia personale inventata. Da lunedì 15 a domenica 21 agosto. Una settimana come tante. Nulla è cambiato, nemmeno oggi. Quello che segue è il mio diario da finto rifugiato nel Ghetto di Stato.

Telecamere e buchi nella rete. Dentro il Cara di Borgo Mezzanone il giorno non tramonta mai. Una costellazione di fari abbaglianti splende non appena fa buio sul Tavoliere, la grande pianura ai piedi del Gargano. La cupola di luce appare a chilometri di distanza. Bisogna arrivare alla rete arrugginita di un aeroporto militare dismesso. C’è un varco a est, dopo una lunga camminata nei campi. Ma a ovest entrano addirittura le macchine e i furgoni dei caporali, carichi di schiavi di ritorno dalla giornata di lavoro.

Sono quasi le dieci di sera. Le prime casupole lungo la pista di decollo formano la baraccopoli abitata da quanti negli anni sono usciti dal centro d’accoglienza, con o senza permesso di soggiorno. Una stratificazione di sbarchi dal Mediterraneo e di sfruttamento da parte degli agricoltori foggiani. Da qualche mese però la bidonville si sta allargando.

Da Napoli è arrivata la mafia nigeriana e si è presa metà pista. Nelle baracche hanno aperto bar, due ristoranti, una discoteca che con la musica assorda ogni notte il riposo dei braccianti. Da Bari sono venuti alcuni afghani piuttosto integralisti e ora controllano l’altra metà. Hanno allestito un negozio che vende di tutto e una misteriosa moschea. Questa è la zona chiamata Pista, appunto. Ancora qualche centinaio di metri e si può toccare la recinzione del "Ghetto di Stato"

I fari sono puntati a terra e le telecamere inquadrano tutto il perimetro. Il Cara è diviso in due settori. Il primo, proprio qui davanti, è composto da diciotto moduli prefabbricati. Quattro abitazioni per modulo. Ogni abitazione ha tre stanzette, due metri per due, una finestra, lo spazio per due brande, raramente quattro a castello. Ciascun modulo ospita così tra le 24 e le 48 persone. Oppure, per dirla brutalmente, rende ai gestori tra i 528 e i 1.056 euro al giorno. La piazza centrale è un campetto di calcio, davanti al capannone con la mensa, la moschea e i pavimenti di tre camerate ricoperti di materassi.

Anche il secondo capannone accanto è un dormitorio stracolmo. I bagni sono distribuiti in una dozzina di casupole: sei rubinetti ciascuno, sei turche, sei docce malridotte, alcune con l’acqua calda. Il secondo settore è invece rinchiuso dietro cancellate alte cinque metri. Due fabbricati illuminati a giorno sotto un’altra schiera di telecamere. È il vecchio CIE per le espulsioni, una prigione. Lo usano per l’accoglienza. I rapporti sulle visite ufficiali sostengono che il secondo settore sia la parte dove si sta meglio. Oltre non bisogna andare. Lì vigila, si fa per dire, il personale di guardia. I buchi nella recinzione del Cara sono quattro, proprio sotto le telecamere.

I fantasmi respinti. Una voce sguaiata al megafono della moschea ricorda all'improvviso che Allah è il più grande. È l’ora della preghiera che precede l’aurora. Sono le quattro e diciannove. Addio sonno. Fino alle tre e mezzo avevamo il tormento della musica afro dalla baracca appena fuori il recinto, lì dove i gangster nigeriani fanno prostituire le ragazzine. Poi due auto si sono sfidate con frenate e sgommate lungo la Pista. Quindi un ragazzo ha telefonato al fratello in Africa e parlava così forte che sembrava volesse farsi sentire direttamente. Adesso chiamano alla preghiera anche dalla misteriosa moschea degli afghani. Le voci dei muezzin erano scomparse da questo cielo il 15 agosto del 1300, giorno d’inizio del massacro dei musulmani a Lucera. Migliaia di morti, i sopravvissuti venduti come schiavi: le radici europee del cristianesimo non sono più pacifiche di certi fanatici islamisti di oggi.

Ogni angolo protetto dalla luce dei fari è occupato da qualcuno che prova a dormire all'aperto. Un po’ per il caldo asfissiante. Un po’ perché dentro non c’è posto. Lo sanno anche le zanzare. Quando il sole è ormai a picco, Suleman, 24 anni, nel Cara da tre mesi, esce a raccogliere babbaluci, le lumache aggrappate agli arbusti. "Al mercato di Foggia gli italiani le comprano a tre euro al chilo". Già, e poi le rivendono su Internet a sette. Ma servono ore a mettere insieme un chilo.

Da dove vieni? "Dal Ghana, ho chiesto asilo", rivela Suleman. Il Ghana è una Repubblica. Forse è un oppositore perseguitato. Alla domanda, lui guarda stupito, "No, spero di ottenere i documenti e trovare un lavoro qualsiasi in Italia o in Europa. Dove non lo so. E tu?". Meglio non dire la verità, l’inchiesta è ancora lunga. È il momento di collaudare il nome preso in prestito da Steve Biko, l’eroe sudafricano della lotta contro l’apartheid, "Sono senza documenti e voglio raggiungere mia sorella a Londra". Lui non capisce subito. "Sono un sudafricano bianco. La terra di Mandela. Conosci Nelson Mandela?". "No Steve, who is this man, chi è quest’uomo? Ma hai il tesserino da rifugiato?", vuol sapere Suleman. No. "Allora non hai mangiato Steve, hai fame?", chiede con apprensione. No, grazie. "Però non dormire qui fuori. È pericoloso. Dentro nessuno controlla. Puoi anche mangiare. Stasera mi trovi dopo la preghiera quando distribuiscono la cena. Tu vieni in moschea?"

Sotto il caldo del pomeriggio ci si va a riparare nei pochi metri d’ombra. Quanti attraversano il Sahara e il mare per sfuggire alla povertà meritano totale rispetto. Ma il diritto internazionale protegge soltanto chi scappa da dittature e guerre, come accade per eritrei, somali e maliani che dormono nei due grandi capannoni. La domanda di asilo di Suleman verrà comprensibilmente respinta. E anche lui si aggiungerà alle migliaia di fantasmi che riempiono le bidonville. Come la Pista, là fuori.

Gli schiavi in bicicletta. Un altro giorno è passato. È la seconda notte qui dentro. I gangster nigeriani hanno appena spento il loro tormento musicale. Sono le tre e alla fontanella della piazza centrale c’è già la coda. Prima di partire i braccianti devono rifornire i loro zaini con le bottigliette di plastica piene. I padroni italiani non regalano più nemmeno l’acqua. I quattro varchi nella recinzione sono una manna per l’agricoltura pugliese. Forse è per questo che non li chiudono.

Centinaia di richiedenti asilo escono che è ancora buio. E ritornano che è già buio. I caporali nigeriani li aspettano su furgoni e auto sgangherate all'inizio della Pista. Per il trasporto ai campi di ortaggi e pomodori, incassano cinque euro al giorno a passeggero e li trattengono dalla paga. I capi-bianchi, gli sgherri italiani, li prendono invece a bordo lungo la strada che porta a Foggia. Così molti ragazzi per evitare il costo del passaggio partono in bici da soli.

Le biciclette nel Cara sono grovigli di manubri e selle parcheggiati a centinaia davanti alle casupole. Qualcuno nelle camerate si è portato la sua in mezzo ai materassi dove dorme. Farsi rubare la bici significa dover consegnare ai caporali 35 euro a settimana, il guadagno di due giornate di lavoro. I braccianti che vivono nel Ghetto di Stato vengono pagati meno dei loro colleghi di fuori, anche 15 euro a giornata, piuttosto che 25. I padroni foggiani decurtano il corrispondente di vitto e alloggio. Tanto sono garantiti dalla prefettura. Uno squilibrio che crea tensione tra la generazione ormai uscita dal centro d’accoglienza e gli ultimi arrivati, disposti a lavorare a meno.

Il muezzin ancora non ha chiamato alla preghiera. E i primi ragazzi venuti a rifornirsi d’acqua alla fontanella sono già in viaggio. Erano tornati ieri sera quasi alle dieci. Si sono fatti la doccia. Hanno lavato e steso gli abiti da lavoro. Poi hanno mangiato la pasta della mensa, tenuta da parte da qualche compagno di stanza. Era mezzanotte passata quando sono andati finalmente a dormire. Dopo appena tre ore di sonno già pedalano silenziosi, uno dietro l’altro, che sembra il via di una tappa a cronometro. Scavalcano bici in spalla il muretto sotto i fari e le telecamere. Poi si dissolvono nel buio come bersaglieri del lavoro, chiamati in prima linea a riempire i nostri piatti.

Lo stesso periodo, subito dopo la richiesta d’asilo, in Germania è dedicato ai corsi obbligatori di tedesco. Chi non frequenta è respinto. Qui dopo un anno di sfruttamento sanno al massimo dire “cumpà”. Compare, in foggiano. E quando li trasferiscono sono spaesati, impreparati, analfabeti. Come appena sbarcati. Nonostante quello che lo Stato versa alla cooperativa di gestione, nessuno ha insegnato loro nulla dell’Italia. E magari, una volta in città, passano la notte a gridare al telefonino. Così dal vicinato si aggiungono nuovi voti alla destra xenofoba.

Le spie dei gangster nigeriani. "Ehi Steve, South Africa, come stai?", chiede in inglese Nazim. Ha 17 anni anche se sul tesserino magnetico gli hanno scritto che è nato nel 1997. Viene da Dacca, Bangladesh, via Libia. Martedì sera ha saputo che non mangiavo dalla notte prima. È tornato con un piatto di plastica sigillato con la pasta della mensa, una scatola di carne, una mela, due panini. "Steve, prendi. Sono piatti avanzati oggi". Vuole raggiungere l’Inghilterra o la Germania. Sa molto poco delle conseguenze di Brexit, delle frontiere europee chiuse. "Adesso vado dai nigeriani là fuori alla festa di un amico di Dacca. Gli hanno riconosciuto l’asilo. Domani parte per Milano. Ha invitato gli amici a bere birra. Portano anche le ragazze. Vieni, Steve?". È l’una di notte. Meglio non esporsi troppo.

Precauzione inutile. La polizia non si è mai fatta vedere. Ma le spie dei nigeriani mi hanno già notato. Sono l’unico bianco con la faccia europea. Sono qui da quattro giorni. Non rispetto gli invisibili confini interni. E ho il doppio dell’età media degli ospiti. Così nel corso della notte provano a sapere di me. Prima con un africano del Mali. Poi con due pakistani. Alla fine con Cumpà, un senegalese alto e grosso.

Sono marcato a zona. Non appena mi sdraio a dormire sulla solita piattaforma di cemento, arriva lui. "Cumpà, che succede?", chiede il picciotto in italiano. Puzza di birra. "Cumpà, di dove sei?". Rispondo in inglese che non capisco. E Cumpà si arrabbia. "Cumpà, vieni a dormire da me perché se arrivano i miei amici nigeriani da fuori, tu passi dei guai". Entra nel suo loculo. Riappare con un materasso sporco. "Cumpà, tu ti sdrai qui e non te ne vai". Ora si sistema sul suo materasso. Siamo sdraiati uno accanto all'altro, sotto il cielo nuvoloso. Lui si gira su un fianco. Cerca di fare l’amicone. "Cumpà, allora mi dici che cosa fai qui?"

I suoi amici nigeriani non scherzano. La notte del 18 aprile hanno rapinato un ospite del Cara e lo hanno trascinato fuori. Lì lo hanno accecato con una latta di gasolio rovesciata negli occhi e bastonato fino a farlo svenire. Qualche giorno prima avevano ferito un connazionale con un machete. A giugno la polizia ha poi arrestato cinque appartenenti agli Arobaga, il clan (della mafia nigeriana) che controlla caporalato e prostituzione lungo la Pista.

"Io non parlo inglese", torna ad arrabbiarsi "Cumpà, ho capito, tu sei un poliziotto. Adesso chiamo gli altri". Si alza e se ne va. Un messaggio parte subito per il telefonino di Carlos, il fotografo nascosto da qualche parte là fuori. "Vai via" seguito da una raffica di punti esclamativi. Steve resta sdraiato sul materasso, con le pulci che gli pizzicano le caviglie. È più sicuro rimanere nel Cara e vedere cosa succede. Cumpà riappare dopo mezz'ora. Solo. Si sdraia. Ronfa come un diesel. Anche i suoi amici saranno ubriachi. Al richiamo del muezzin, un connazionale viene a scuoterlo. "Madou, la preghiera". Non si muove. Al risveglio religioso, stamattina Cumpà preferisce il sonno di Bacco.

L'assalto dei cani randagi. Qualche riga oggi bisogna dedicarla alla pet therapy. È quella prassi secondo cui l’interazione uomo-animale rafforza le terapie tradizionali. Alla prefettura di Foggia, responsabile della fisica e della metafisica di questo "Ghetto di Stato", devono crederci profondamente perché il Cara è infestato di cani, ovunque, perfino dentro le docce. Nessuno fa nulla per tenerli fuori. Quando è ancora buio, subito dopo la preghiera, tre braccianti escono in bicicletta dal buco a Ovest, dove la recinzione è stata smontata. Le loro sagome sfilano nel chiarore della luna. Un cane abbaia e la sua voce richiama un’intera muta che si lancia all'inseguimento dei tre poveretti. Sono una decina di grossi randagi. Corrono. Ringhiano e si mordono. Poi diligentemente tornano a sdraiarsi tra gli ospiti del centro.

Nasrin, 27 anni, afghano di Tora Bora, si tiene alla larga dai cani. Una sera parliamo davanti alla partita di cricket improvvisata dai pakistani, sul piazzale vicino ai rifiuti. Nasrin dice che se ne intende di viaggi fino in Inghilterra. È andato e tornato, rinchiuso nei camion. Un suo conoscente, che dorme alla Pista, conferma più tardi che può trovare i contatti. Deve solo verificare i prezzi. Dopo Brexit sono aumentati. "In Inghilterra i caporali pakistani pagano bene con la raccolta di spinaci e ortaggi, 340 sterline a settimana". Con i documenti? "No, senza. Però si lavora 18 ore al giorno. In sei anni ho messo via ottantamila euro. E in Afghanistan mi sono costruito una bella casa". Allora perché sei qui? "Perché per avere i documenti avevo chiesto asilo in Italia"

Stasera è meglio stare lontani dalla piazza. Una macchina dei carabinieri è ferma lì da un po’. Dicono siano venuti per una notifica. Poco più tardi tre nigeriani entrano a prendere le prostitute. Le ragazzine sono a malapena maggiorenni. Due in particolare. Nessuno sa se siano ospiti o abusive. Dormono nella sezione femminile, dice qualcuno, ricavata nell'ex centro di espulsione. Le portano dalle parti della discoteca, la causa dell’insonnia di molti di noi. Entrano nell'anticamera illuminata a giorno. E scompaiono oltre il separé, nella sala con la musica al massimo, le luci colorate, la palla di specchi al centro del soffitto.

La corrente la rubano dalla rete di illuminazione pubblica. La Pista, anni fa, era un centro d’accoglienza. E molti braccianti, a loro volta ostaggi del caos, abitano là da allora. Bisogna stare molto attenti ai cavi elettrici. Per collegare le nuove baracche appena costruite e in costruzione, li hanno stesi ovunque nell'erba secca del campo tra la bidonville e il Cara. Sono semplici cavi doppi da interni, collegati tra loro da banalissimo nastro adesivo. Quando piove c’è il rischio di prendersi una bella scarica.

Benvenuti all'inferno. Adesso è più difficile girare indisturbati. Trovarsi davanti Cumpà potrebbe essere pericoloso. Un angolo controluce del grande piazzale è il nuovo nascondiglio. I fari puntati negli occhi di chi passa sono lo schermo più sicuro dietro cui proteggersi. Il sottofondo musicale stanotte è dedicato al reggae. Il volume aumenta via via che scorrono le ore. E durante la preghiera sfuma in un fruscio assordante. Una mano sta cambiando canale alla radio. Si ricomincia con la voce di Malika Ayane. Le parole piovono direttamente dal buio "La prima cosa bella che ho avuto dalla vita .."

Parte una fila di braccianti in bicicletta. Attacca un vecchio successo di Luis Miguel "Viviamo nel sogno di poi". Se ne vanno a lavorare altre schiene sui pedali. Vengono tutti dall'ex Cie. Bisogna sfidare le telecamere per avvicinarsi e vedere. Anche lì hanno aperto un buco nella recinzione. Si salta sopra un fossato di fogna putrida a cielo aperto. E si scende agli inferi. Le camerate sono al buio. Hanno appeso stracci e teli alle finestre per tenere fuori la luce dei fari. Non c’è spazio nemmeno per la porta. Si apre a fatica.

L’aria è densa, ma ancora non è chiaro cosa ci sia oltre. Sono quasi le quattro e mezzo. Un ragazzo si sta vestendo e adesso accende la pila. Una scritta incollata alla colonna al centro del salone saluta beffarda "Benvenuti". Un orsacchiotto sotto il cuscino di un adulto sporge la testa e fissa il soffitto. La vita è tutta raccolta nei sacchetti e nelle scatole sotto le brande. Un vecchio televisore trasmette il replay delle Olimpiadi. E rischiara di un poco il suo orizzonte di corpi ammassati. Impossibile contarli tutti.

Quattro sedie separano dall'angolo cottura i tranci di gommapiuma, usati come materassi. Per terra la serpentina elettrica incandescente sta riscaldando due uova, la pasta avanzata ieri sera, una teiera. Un sacchetto di plastica e un rotolo di carta igienica sono pericolosamente vicini al calore. Pentole, un piatto, due bicchieri. Tutto per terra. Non c’è lo spazio per un tavolo.

Nel cortile al centro del Cie, per terra ci dormono pure. Il piccolo loculo di Cumpà al confronto è un lusso. Almeno ha un po’ di riservatezza, l’aria intorno, i vasi con gli oleandri. Perfino l’architettura qui dentro è oscena. È stata progettata e costruita in modo che si possa vedere soltanto uno spicchio di cielo. La mente che l’ha pensata voleva probabilmente umiliare le donne e gli uomini da rinchiudervi. L’effetto è questo, anche ora che è un centro di accoglienza.

Stesse condizioni nelle altre stanze. Non ci sono uscite di sicurezza. Nemmeno maniglioni anti-panico. Molte porte si incastrano prima di aprirsi. E il loro movimento va verso l’interno. Dovevano servire a non far scappare i reclusi, non ad agevolarne la fuga. Se scoppia un incendio, questa è una trappola.

Lo sconto sulla dignità. I bagni e le docce non profumano mai di disinfettante. Hanno perfino sloggiato dei profughi per trasformare le loro stanzette in privatissimi negozi. Ce ne sono cinque tra le casupole statali. Vendono bibite, riso, farina, pane, accessori per telefonini direttamente dalle finestre. Quattro li controllano gli afghani della Pista. Il quinto due ragazzi africani.

Non ci sono cestini per i rifiuti, solo sacchi neri appesi qua e là. Stanotte i cani li hanno strappati e hanno disperso avanzi della cena ovunque. Un favore alla catena alimentare, sì. Perché alla fine anche i ratti hanno un motivo per uscire allo scoperto. Quello che colpisce è la rinuncia totale a spiegare, insegnare, preparare i richiedenti asilo a quello che sarà. Se i gestori lo fanno nei loro uffici, i risultati non si vedono. Qui fuori sembriamo tutti pazienti di un reparto oncologico. In attesa permanente di conoscere la diagnosi. Vivremo da cittadini o moriremo da clandestini?

Forse non ci sono abbastanza soldi per seguire il modello tedesco. Oppure noi italiani siamo troppo furbi, oggi. E contemporaneamente troppo stolti per pensare al domani. Non c’è soltanto la crisi umanitaria internazionale a rendere precario qualsiasi intervento.

La ragione del fallimento si trova già nella gara d’appalto per gestire il Cara. Premiava il "maggior ribasso percentuale sul prezzo a base d’asta, pari a euro 20.892.600". Un cifra di partenza che equivaleva a 30 euro al giorno a persona. E il consorzio “Sisifo” di Palermo si è aggiudicato il contratto con uno sconto di 8 euro.

Ha abbassato la diaria a 22 euro e rinunciato a quasi cinque milioni e mezzo in tre anni. La logica matematica ci suggerisce una sola cosa, o i funzionari della prefettura di Foggia hanno sbagliato a formulare i prezzi, o il consorzio della Lega Coop sapeva di non starci nelle spese. Anche se è davvero difficile pensare che 22 euro al giorno a persona non bastino a fornire il minimo di dignità. Comunque il ministero dell’Interno chiede sempre di aumentare il numero di ospiti di qualche centinaio. E l’emergenza è pagata bene, i soliti 30 euro, ma senza gara. Così perfino lo sconto è rimborsato.

La cooperativa cattolica “Senis Hospes”, che per conto di “Sisifo” gestisce Borgo Mezzanone e altri centri, corre al galoppo. Fatturato in crescita del 400 per cento in due anni, dai 3 milioni del 2012 a 15,2 milioni del 2014, ultimo bilancio disponibile. Dipendenti dichiarati, dai 109 del 2014 ai 518 di quest’anno. "Tali attività", scrive nella relazione annuale Camillo Aceto, 52 anni, presidente di “Senis Hospes”, "rispondono alla missione che la cooperativa si prefigge dedicando l’attenzione alle categorie più bisognose"

Ma qui dentro, nel grande stanzone degli inferi, oggi la luce è accesa alle quattro. È domenica. Alcuni richiedenti asilo sono già partiti per i campi. Altri preparano lo zaino. Sempre sotto quella scritta sulla colonna centrale, che martella la vista "Benvenuti"
(Inchiesta "L'Espresso", di Fabrizio Gatti)


Cara di Foggia, la coop bianca e quei 20 mila euro a Lupi e Berlusconi. La “Senis Hospes”, che gestisce il centro di Borgo Mezzanone, nel 2013 ha sovvenzionato la campagna elettorale del Pdl e del futuro ministro. Con somme relativamente piccole ma indicative della vicinanza alla politica. E non è l’unico caso.

In vista delle elezioni nel 2013 la cooperativa Senis Hospes ha staccato un discreto assegno a favore del Popolo della libertà di Silvio Berlusconi: 15 mila euro, registrati in due tranche fra l’estate e il marzo dell’anno successivo. Una somma relativamente piccola ma indicativa di significative aderenze politiche. E quale fosse il punto di riferimento nel Pdl lo chiarisce il contributo erogato di tasca propria dal presidente della coop Camillo Aceto: 5 mila euro a Maurizio Lupi, che di lì a qualche mese sarebbe diventato ministro delle Infrastrutture con Enrico Letta.

Il sostegno economico non deve sorprendere più di tanto: Aceto è vicino a Comunione e Liberazione, proprio come Lupi, e quello legato a CL è un mondo che dopo l’addio a Berlusconi ha traslocato in gran parte armi e bagagli nel Nuovo centrodestra di Angelino Alfano. E forse non è un caso che una logica simile (finanziamento della coop al partito e del suo rappresentante direttamente al candidato) la abbia seguita in quelle settimane anche un’altra realtà della galassia ciellina alla quale da sempre la Senis Hospes è attigua: La Cascina, i cui dirigenti sono stati poi arrestati nell'inchiesta Mafia Capitale.

Gestione Cara di Foggia, i primi indagati. Tra le ipotesi di reato corruzione, truffa e falso. L'indagine ha subito un'accelerazione subito dopo l'uscita dell'artico de "L'Espresso"

Ci sarebbero i primi indagati nell'indagine della Procura di Foggia sulla gestione del Cara di Borgo Mezzanone. I reati che sarebbero ipotizzati sono corruzione, truffa, falso e falso in bilancio. L'inchiesta è stata avviata dopo che le Forze di polizia, che indagavano sulla piaga del caporalato, hanno notato un'impennata del fenomeno e hanno così constatato che la nuova manovalanza di braccianti arrivava proprio dagli ospiti del Cara di Foggia. Hanno quindi cominciato ad indagare sulle misure di sicurezza interne ed esterne del Centro di accoglienza richiedenti asilo e si sono poi concentrati sulla sua gestione.

Il ministro Alfano ha annunciato verifiche su tutti i centri di accoglienza dei migranti e un programma di interventi strutturali per il Cara di Foggia.
(ANSA)

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Articolo a cura di
Maris Davis

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