05 gennaio 2024

In Nigeria non si può più essere cristiani

Bambini e neonati uccisi, donne e disabili massacrati, case incendiate. Racconto della strage di Natale per mano dei pastori Fulani, di origine islamica. Lettera da un Paese crocifisso
Un vero e proprio genocidio in atto nel nord della Nigeria nell'indifferenza del Mondo

Nei giorni di Natale c’è stata l’ennesima strage di cristiani nello Stato di Plateau, nel centro-nord della Nigeria: 160 le vittime, oltre trecento i feriti. Pubblichiamo in una nostra traduzione quello che ha scritto per raccontare quanto avvenuto il reverendo Gideon Para-Mallam, missionario, pastore protestante, ambasciatore della Ifes (International Fellowship of Evangelical Students), tutore e portavoce della famiglia di Leah Sharibu.

Villaggio di Chriang: un bambino di 9 anni della scuola elementare, Regard Yusuf, è stato indotto con l’inganno a condurre gli aggressori nel luogo dove si nascondeva sua madre insieme ad altre donne, la vigilia di Natale del 24 dicembre 2023, durante gli attacchi coordinati a Mangur e Bokkos, nello stato di Plateau. Per questo motivo 23 donne sono state massacrate, e con loro il bambino di 9 anni e sua madre. Tra le vittime ci sono anche Veronica Mallan e Godwin Mallan, di 9 mesi. Mentendo, gli assassini avevano promesso al bambino che non sarebbe stato ucciso, ma hanno fatto l’esatto contrario, condannandolo a una morte prematura. Un bambino di 9 anni e un neonato di 9 mesi: due giovani vite promettenti tra le 160 persone uccise dalle forze del terrorismo e della perversità. Solo una donna, caduta in un fosso durante la fuga, è sopravvissuta per poter raccontare quanto accaduto.

Villaggio di Tahure: l’onorevole Sabo Abang è stato fatto prigioniero la notte del 24 dicembre e tenuto in ostaggio durante gli attacchi. Tre giorni dopo, è stato sgozzato come un agnello e il suo cadavere ancora fresco è stato gettato vicino alla sua casa. Al Jos University Teaching Hospital (Juth), giace gravemente ferito un bambino di tre anni, colpito da una pallottola a distanza ravvicinata durante l’attacco della vigilia e del giorno di Natale. Sempre al Juth è ricoverata una bambina di 5 anni a cui gli aggressori hanno mozzato una mano.

Non si fa nulla per fermarli

Nello Stato di Plateau è in corso un terrificante genocidio, che però viene raccontato come uno scontro fra agricoltori e pastori. Si tratta invece di una realtà sanguinosa in cui pastori Fulani armati, descritti talvolta come banditi ma in realtà terroristi, attaccano altre etnie in alcune zone dello stato e in gran parte delle comunità della Middlebelt. Purtroppo vengono inventate narrazioni false e fuorvianti mentre continuano a scorrere fiumi di sangue. È un danno per la nazione nigeriana e per l’umanità. Ciò che è successo a Bokkos non è, né uno scontro né una rappresaglia. Si tratta di eliminazione deliberata, mirata, intenzionale e sistematica di intere popolazioni, secondo un modello già messo in pratica in alcune comunità nel nord della Nigeria.

Purtroppo, coloro che da tempo avrebbero dovuto agire con fermezza per porre fine a questo fenomeno non stanno facendo nulla o i passi finora compiuti non stanno dando i risultati sperati: arrestare i colpevoli, porre fine ai massacri e promuovere una pace sostenibile sono passi proattivi di cui si avverte le massima urgenza, adesso e subito. Simili stragi ingiustificate devono finire e solo il governo federale ha il diritto e l’autorità costituzionale per farlo. Ma che invece sembra rimanere indifferente al continuo massacro di cristiani, forse perché al potere c'è un presidente mussulmano.

Ciò che è accaduto a Bokkos appare chiaramente motivato da intenti genocidi, accaparramento di terre, occupazione finalizzata alla conquista. Il governo dello Stato del Plateau dovrebbe continuare a lamentarsi e ad assistere impotente? Il governo federale della Nigeria dovrebbe ridursi a un’entità che si limita a rilasciare dichiarazioni di cordoglio alla stampa senza alcun risultato concreto, mentre la carneficina continua e gli aggressori non vengono mai trovati o perseguiti, finché non si verifica un’altra serie di simili orribili attacchi genocidi?

L’audacia della perversità. Mentre il team presidenziale si recava in visita alla popolazione di Bokkos il 27 dicembre scorso per portare le proprie condoglianze, guidato dal vicepresidente Shettima, due villaggi, Dun e Bodel, sono stati attaccati e diverse case sono state bruciate.

Una missione genocida

Quello che sta accadendo nel Plateau è un ciclo ricorrente di violenza unilaterale, pastori fulani (mussulmani, pastori nomadi per definizione, ma terroristi di fatto), boko-haram (terroristi integralisti che hanno insanguinato la Nigeria per due decenni). Cosa c’è che non va nella mia Nigeria? Perché ci siamo ritrovati con leader che trascurano crimini clamorosi e favoriscono un sistema che avversa la libertà di religione e di credo? Perché la comunità internazionale rimane in silenzio mentre in Nigeria si commettono crimini contro l’umanità senza alcuna remora? Perché i nigeriani non sono uniti nella condanna e in un’azione comune che metta fine al terrorismo in atto nella Middlebelt? Perché la comunità globale è costantemente impegnata a voltarsi dall’altra parte mentre donne e bambini innocenti vengono massacrati, e i colpevoli non vengono accusati e perseguiti e il governo non ha ancora intrapreso passi decisivi per interrompere la carneficina?

La presidenza nigeriana non deve lasciarsi ingannare e credere che quanto sta accadendo nello stato di Plateau sia una situazione “occhio per occhio”. Non lo è! Crederlo significa seguire una narrazione fuorviante che non porterà a nessuna soluzione pacifica radicata nella verità e nella giustizia sociale. La popolazione di Bokkos ha cercato di difendere la propria città, ma è stata sopraffatta da una forza di combattimento che si è presentata con l’intenzione di compiere una missione genocida. Le armi sofisticate utilizzate dovrebbero far preoccupare il governo federale. Come mai armi così micidiali sono arrivate nelle mani di questi assassini che continuano a uccidere senza alcuno scrupolo?

Le forze dell'oscurità

In base ai fatti e alle statistiche disponibili ecco il dettaglio delle persone uccise negli attacchi nei distretti: a Butura 32, una persona ancora dispersa; a Mbar 29, a Mangor 44 con 50 feriti e tre persone ancora disperse; a Mazat 10; a Bokkos 29, a Tangur 6, a Mushere 2. Il numero totale di persone massacrate a sangue freddo la vigilia e il giorno di Natale è attualmente di circa 160 e i conti non sono finiti. Si stima che gli sfollati interni siano circa 5 mila. Otto chiese sono state date alle fiamme. Il dettaglio disponibile indica che sono stati uccisi nelle loro abitazioni 37 donne, 10 bambini e 3 persone con handicap fisici poiché non erano in grado di correre, 110 gli uomini assassinati. In totale sono stati attaccati 25 villaggi con un assalto coordinato in pieno stile militare.

Nel 2019, durante un attacco al villaggio di Waren, nella local goverment area di Barkin Ladi, i pastori Fulani armati avevano minacciato che sarebbe venuto un tempo in cui ai cristiani non sarebbe stato più permesso di celebrare il Natale. Questo caso è forse la prova che stanno realizzando ciò che minacciavano? È necessario indagare in modo accurato e imparziale nella ricerca di una pace e di una giustizia sostenibili come soluzioni per mettere fine a questa insensata carneficina. La Middlebelt sta sanguinando. Può esistere una Nigeria senza la Middlebelt? Può forse Bokkos rappresentare un punto di svolta che consenta alle forze della pace di sconfiggere le forze dell’oscurità in Nigeria? Foundation for Africa continua a sperare che la pace sia possibile non solo nello Stato di Plateau, ma in tutto il paese. Se al mondo interessa interrompere le stragi in Nigeria, faccia sì che gli attacchi dolorosi e ingiustificati contro innocenti e indifesi, come a Bokkos nel giorno di questo Natale appena passato, servano a risvegliare le coscienze per unirsi e salvare vite umane.


28 novembre 2022

La Cina continua a conquistare pezzi di Nigeria (e di Africa)

La Nigeria è sempre più indebitata con la Cina

C’è grande preoccupazione in Nigeria in relazione all’indebitamento del Paese con la Cina. Dai dati pubblicati dall’Ufficio Gestione del Debito (Dmo) e riportati dai giornali risulta che l’amministrazione guidata da Muhammed Buhari, dal 2015, ha preso in prestito dalla Cina una somma pari a 2,02 miliardi di dollari. Al 30 giugno 2015 il debito complessivi della Nigeria dalla Cina era di 1,38 miliardi di dollari. Tuttavia, al 31 marzo 2020, il portafoglio del debito risultava salito a 3,40 miliardi di dollari.

Tutti i prestiti contratti con la Cina sono legati a progetti. I progetti (undici al 31 marzo 2020) comprendono il Progetto di modernizzazione delle ferrovie nigeriane (sezione Idu-Kaduna), il progetto di metropolitana leggera di Abuja, il progetto di espansione dei quattro terminal aeroportuali nigeriani (Abuja, Kano, Lagos e Port Harcourt), il progetto di modernizzazione delle ferrovie nigeriane (sezione Lagos-Ibadan) e il progetto di riabilitazione e ammodernamento della strada Abuja-Keffi-Makurdi, a cui ora si aggiunge un nuovo sistema di monitoraggio elettronico satellitare lungo alcuni tratti dei 5.000 chilometri di confine nigeriano che sarà costruito dalla cinese Huawei.

La Cina continua a “conquistare” pezzi di Africa
Huawei costruirà un nuovo sistema di monitoraggio elettronico satellitare lungo alcuni tratti dei 5.000 chilometri di confine nigeriano. Solo uno dei tantissimi esempi di come Pechino e le sue aziende si siano installate nel continente. E c'è un libro che racconta come ha fatto.

Sorveglianza elettronica satellitare 24 ore su 24, 7 giorni su 7. Potremo premere un pulsante per sapere cosa sta succedendo al posto di frontiera di Kamba, al confine di Jibia e anche a Mfum, tra gli altri”. A parlare così è stato Rauf Aregbesola, ministro degli Interni della Nigeria. I dettagli sui nuovi sistemi di sorveglianza al confine del paese africano derivano invece da un accordo che Abuja è “sul punto di stipulare” con la cinese Huawei. Obiettivo della costruzione di un confine digitale: rafforzare i controlli sull'immigrazione e migliorare la sicurezza, contrastando i crimini transfrontalieri. "La Nigeria ha circa 5.000 chilometri di linea di confine. Ciò significa che non è possibile avere un numero sufficiente di uomini che presidiano ogni centimetro o millimetro di quella linea di confine".

Il 5G di Huawei si fa largo in Africa

Si tratta di solamente uno dei casi di penetrazione tecnologica cinese in Africa. La stessa Huawei, mentre soffre ancora gli effetti della "fatwa" lanciata nei suoi confronti dagli Stati Uniti, nel continente continua a trovare nuovi spazi. In Africa, gli operatori locali hanno investito pesantemente in apparecchiature e infrastrutture cinesi, con Pechino che spesso fornisce finanziamenti per la costruzione di infrastrutture informatiche e di telecomunicazioni, tra cui centri dati, cavi in fibra ottica e servizi cloud. A ottobre altri due operatori di telefonia mobile africani hanno lanciato reti 5G alimentate da Huawei. Si tratta della sudafricana Telkom, in parte di proprietà statale, e del principale operatore di telefonia mobile del Kenya, Safaricom. Molte delle società di telecomunicazioni africane, compresa Safaricom, usano più fornitori per evitare le sanzioni statunitensi o evitare di finire nel mirino per la cooperazione con Huawei. Una cooperazione a cui in molti in Africa continuano a dare grande importanza.

Il rapporto si proietta anche verso il futuro. Durante un recente vertice sul 5G svoltosi a Bangkok, l'azienda di Shenzhen ha annunciato nuovi investimenti in Africa per dare impulso alla “terza ondata della digitalizzazione” a partire dal 2023. Le tecnologie Huawei sono spesso più convenienti di quelle offerte dalle controparti occidentali e i paesi africani colgono l'occasione per modernizzare le proprie infrastrutture tecnologiche. Il fatto che l'Africa prosegua a stringere accordi con un'azienda finita nel mirino di Washington e di riflesso dell'Occidente, è sintomatico di una traiettoria precisa dei rapporti tra Cina e Africa. E la vicenda tecnologica è sintomo di una storia più ampia, molto più ampia.

Africa rossa

Una storia che inizia con il tour diplomatico dell'allora primo ministro cinese Zhou Enlai in diversi paesi africani tra il dicembre 1963 e il febbraio 1964. Anzi, ancora prima, con la conferenza di Bandung del 1955 che pone le basi per la cooperazione tra Asia e Africa. “Dal 1991, ogni anno l’Africa si conferma la prima meta intercontinentale del ministro degli Esteri cinese”. Ed è stata anche la seconda meta di Xi Jinping per un viaggio all'estero, subito dopo la Russia, nel 2013. All'alba del suo primo mandato da segretario generale del Partito comunista cinese e presidente della Repubblica Popolare. Dal terzomondismo di Mao Zedong alla retorica attuale della Cina garante di sviluppo e stabilità per i paesi emergenti, l'Africa ha sempre ricoperto un ruolo fondamentale per la diplomazia cinese.

I principi fondamentali della politica estera cinese ben si sposano con le necessità dei governi africani. Rispetto della sovranità e integrità territoriale, non interferenza negli affari esterni, cooperazione win-win: larga parte di quello che i leader regionali vogliono sentirsi dire, soprattutto se si tratta di promesse che non portano con sé dettami politici o sui diritti. Quantomeno sul fronte interno, mentre su quello esterno si richiede una contropartita diplomatica. La prima, storicamente, è quella del salto della barricata in sede Onu con il disconoscimento della Repubblica di Cina di Chiang Kai-shek e il riconoscimento della Repubblica popolare. Dopo una prima fase dotata di una connotazione troppo politica durante l'era di Mao, i rapporti si fanno più tiepidi, complice anche lo storico avvicinamento della Cina agli Stati Uniti e all'occidente. La retorica rivoluzionaria e terzomondista lascia spazio allo sviluppo economico dell'era di Deng Xiaoping.

L'Africa torna prepotentemente al centro delle prospettive di Pechino a cavallo del nuovo millennio. Quando l'occidente isola la Cina, questa cerca proiezione nelle regioni in via di sviluppo a partire dall'Africa. Succede per la prima volta dopo Tian'anmen: nel 1992 “l’allora ministro degli Esteri Qian Qichen visitò 14 paesi africani, inaugurando una pratica ancora in voga. Quella che pare sia stata, dall'inizio, un’iniziativa personale è diventata una regola non scritta per la quale tutt’ora il capo della diplomazia cinese compie la prima trasferta estera dell’anno proprio nel continente africano”. Ancora di più questa tendenza si è accentuata dopo la crisi finanziaria del 2008 e il lancio della Belt and Road Initiative.

Il dominio su infrastrutture e trasporti

Il focus principale, in un continente dove molti paesi non hanno sbocco sul mare, è quello su infrastrutture e trasporti. Stando ai dati rilasciati dal ministero degli Esteri cinese nel novembre 2021, la Cina ha costruito in Africa più di 10.000 chilometri di ferrovie e autostrade, quasi 100 porti e 1000 ponti, più di 80 centrali elettriche su larga scala, oltre 130 strutture mediche, 45 stadi e 170 scuole. “La Cina ha raggiunto la quota del 19,6% di tutti i finanziamenti nelle infrastrutture, piazzandosi solo dopo gli stessi governi africani e con largo distacco da qualsiasi altro partner bilaterale. Dove finiscono esattamente i capitali cinesi? Sinora hanno beneficiato nell’ordine: trasporti (52,8%), comparto energetico (17,6%), settore immobiliare industriale, commerciale e residenziale (14,3%) e mining, ovvero l'insieme di tecniche informatiche per estrarre informazioni utili da grandi quantità di dati (7,7%)”. Spesso questi investimenti hanno portato grandi vantaggi dal punto di vista occupazionale e, appunto, infrastrutturale. Ma anche conseguenze dal punto di vista economico. “In meno di dieci anni, per citare un altro paese pesantemente indebitato con la Cina, il debito del Kenya nei confronti di Pechino è più che triplicato, arrivando a contare quasi il 70% del totale delle passività accumulate. Ferrovie, strade, ponti hanno fatto salire il conto a 6,9 miliardi di dollari nell’aprile 2021. È il prezzo da pagare per la Nuova Via della Seta”.

Ma la proiezione di Pechino va oltre le infrastrutture e investe in pieno la dimensione tecnologica. Lo Zimbabwe ha adottato il riconoscimento facciale di CloudWalk Technology, altri paesi quello di Hikvision. Le aziende cinesi lavorano ai cavi sottomarini per la connessione internet, mentre nel 2020 la sottomarca Tecno per la prima volta ha superato Samsung diventando il brand di cellulari più venduto in Africa. Nella primavera del 2021 Didi Chuxing ha fatto il suo ingresso nel continente con l’inaugurazione del primo servizio di ride-hailing (macchine con autista via app) a Cape Town. In cambio la Cina riceve accesso preferenziale alle risorse minerali e alle terre rare, cruciali per la guerra fredda tecnologica. La Repubblica Democratica del Congo ha il 54% delle risorse globali di cobalto, fondamentale per lo sviluppo delle auto elettriche: nel 2018 la Cina ne ha importato per 1,2 miliardi di dollari. Alle sue spalle l'India con "soli" 3,2 milioni.

La dimensione politica della strategia cinese in Africa

Non manca però anche l'aspetto politico. La Cina ha finanziato la costruzione di tanti edifici simbolo del potere continentale africano. “Secondo stime prudenti, almeno 40 dei 55 paesi africani hanno edifici governativi di fattura cinese per un totale di 186 costruzioni: un centro conferenze in Zambia, la sede del Ministero degli Esteri in Kenya, l’edificio che ospita il parlamento dello Zimbabwe, il Centro africano per la prevenzione e la cura delle malattie in Etiopia”. La Cina di Xi Jinping non nasconde più il suo orgoglio per un modello politico-sociale “con caratteristiche cinesi” che ora prova anche a insegnare alle controparti africane. Dal 2011 al 2017 Pechino ha offerto almeno 4.100 borse di studio per studenti e funzionari sudsudanesi, per dirne una. Ma gli scambi di questo tipo sono stati numerosi con tutto il continente. Strategicamente, a Gibuti è stata invece aperta la prima base militare all'estero dell'Esercito popolare cinese, in corrispondenza dello stretto di Bab el-Mandeb che porta a Suez e al Mediterraneo. Mossa che consente alla Cina di posizionarsi in uno snodo importante ma anche di mostrarsi come potenza responsabile partecipando a diverse operazioni anti-pirateria.

I vantaggi della cooperazione con l'Africa sono chiari dal punto di vista economico e digitale. “Il valore dell’economia di internet in Africa potrebbe raggiungere i 180 miliardi di dollari entro il 2025, pari al 5,2% del Pil del continente, per poi salire a 712 miliardi di dollari, l’8,5% del Pil complessivo, prima del 2050”. Pechino ottiene così una via privilegiata per accedere a risorse naturali chiave. Ma l'aspetto economico si intreccia anche con quello politico: l'Africa è destinata a crescere e la Cina può aiutarla a farlo e a ripetere i “miracoli” di cui si è resa protagonista all'interno. “All’apparenza, non si tratterebbe più quindi solo di esportare modelli urbani, piani industriali e tecniche agricole, bensì di trasferire tutta l’impalcatura ideologica che ha permesso al gigante asiatico di crescere tanto rapidamente”. Più Pechino entra in rotta di collisione con Washington e più il messaggio acquisisce un afflato retorico del modello alternativo di sviluppo. Un terzomondismo più pragmatico e multiforme.


01 luglio 2022

Ragazze nigeriane vittime di tratta. Come sono cambiate le modalità di assoggettamento

La trasformazione della modalità di assoggettamento delle vittime nigeriane di tratta a scopo di sfruttamento sessuale

Parlare della tratta nigeriana degli esseri umani per sfruttamento sessuale è come aprire una matrioska composta da una quantità di pezzi non prevedibili. Ogni argomento ne svela un altro, di uguale importanza e altrettanto curioso, ma anche angosciante. Proveremo a raccontare aspetti particolari della tratta, che suscitano interrogativi cui è molto difficile rispondere.

I nodi attorno a cui ruotano le questioni centrali della tratta sono principalmente due. Dal punto di vista della vittima, ovvero della ragazza, è il giuramento, che viene chiamato JuJu, woodoo. Questo consiste nel rituale che la legherà alla mamam, la persona a cui lei dovrà consegnare il denaro ricavato dai clienti, mentre sarà costretta a prostituirsi in Italia (o più in generale in Europa). Dal punto di vista delle o dei trafficanti a ogni livello, è quello dei soldi, della ricchezza che deriva dallo sfruttamento, e del conseguente prestigio sociale.

Interrogativi e risposte ruotano intorno a tutto questo, e tutto ciò ha componenti culturali, perfino mistiche, economiche, logistiche, politiche. Ebbene sì anche politiche, che sono fortemente impattanti sia a livello locale che internazionale.

Partiamo dalla Nigeria, passando in Libia per poi attraversare il Mediterraneo e arrivare in Italia, per guardare alla Germania, alla Francia e ancora più su, all’Unione Europea fino ai trattati internazionali.

Cosa è accaduto dopo l’intervento dell’Oba di Benin City del marzo 2018

L’Oba King è la massima autorità della religione animista in Nigeria. In ogni regione, in ogni Stato della Nigeria questo sistema religioso ha un suo rappresentante, che assume nomi diversi a seconda delle aree in cui è insediato. Qui parliamo dell’Oba di Benin City. Il 9 marzo 2018 questi ha maledetto i rituali "JuJu" effettuato da sacerdoti "compiacenti", e allo scopo di assoggettare le ragazze vittime di tratta, emettendo un editto con lo scopo di annullare tutti gli effetti, passati, presenti e futuri, del potere vincolante del rito woodoo. Le intenzioni dell’Oba di Benin City erano quelle di cercare di rompere il legame superstizioso tra la sfruttatrice e la sua vittima, e di liberare le ragazze dal loro debito e di tutte le altre promesse.

Quando ho sentito l’editto dell’Oba, ho pensato che Dio era venuto a risolvere i nostri problemi, che le ragazze non sarebbero più partite”, racconta Cynthia Aigbe, ex-vittima di tratta, “Ma le lacrime delle ragazze che accogliamo oggi nei nostri centri ci fanno capire che non è servito a niente”.

La maggior parte delle ragazze nigeriane vittime della tratta viene dallo Stato di Edo il cui capoluogo è proprio la città di Benin City, per cui il fatto che l’Oba di Benin City abbia emanato un tale editto è stato un fatto simbolico molto importante, perché significa che in fondo vi è la consapevolezza del problema dello sfruttamento sessuale. Senza dubbio alcune ragazze si sono sentite liberate, e una sfilza di mamam, nell'immediatezza del fatto, si sono spaventate e sono andate a confessare i loro peccati chiedendo perdono per non cadere nell’anatema. Ma a distanza di quattro anni, molte ragazze nemmeno sanno di quell'editto, e che i rituali JuJu sono stati maledetti dall'Oba in persona (e i trafficanti certamente sono ben felici di questa ignoranza). E ciò è dimostrato dalle molte interviste fatte a ragazze nigeriane da parte delle mediatrici culturali, e quando glielo dicono molto spesso tendono a non credere che l'Oba in persona abbia cancellato gli effetti dello JuJu, o che sia impossibile cancellarli perché "Mami Wata" è una dea (loa delle acque nella cultura woodoo) molto più potente dell'Oba che, anche se molto influente, alla fine è solo un uomo.

Però questo non è stato sufficiente a fermare il fenomeno, anzi, in alcuni casi lo ha addirittura peggiorato. Non è bastato perché l’editto ha coperto una porzione di territorio piccolissima. Lo ha peggiorato perché ha allargato il reclutamento di ragazze al di fuori della porzione di territorio protetta dall’editto. Le trafficanti sono andate a cercare le ragazze altrove, aprendo nuovi “mercati” e nuovi luoghi dove svolgere i rituali. Le rappresaglie contro le famiglie delle ragazze liberate sono state violentissime.

Alcune trafficanti (mamam) non hanno accettato l’editto, altre hanno dapprima liberato le ragazze, ma poi si sono rese conto che non sarebbe successo niente di apocalittico. In fin dei conti nessuna di loro era morta o aveva subito conseguenze gravi per aver infranto l’editto. Quindi hanno ricominciato richiamando le ragazze liberate con un meccanismo di assoggettamento ancora più violento.

L’impatto del discorso dell’Oba è durato poco. “Le ragazze sono tornate sotto pressione. Lo sono sempre, anche mentre fanno parte di un progetto che in Italia le protegge. Gli uomini della tratta sono sempre lì intorno, le minacciano, a volte le rapiscono. Quando le ragazze riescono a scappare, a volte arrivano allo sportello e ci raccontano tutte queste cose”. L’aspetto mistico del woodoo è un elemento centrale di coercizione nella conservazione del legame tra la mamam e le vittime. E su questo si sono appoggiate ancora una volta per ristabilire il legame di sottomissione.

L’Oba di Benin City, che non ha un’autorità superiore a quella del governo, ovvero non è un'autorità politica ma solo religiosa, ha cercato di salvare la sua città e il suo popolo, ma con il suo editto ha voluto anche dare un segnale di carattere politico, al governo dello Stato dell’Edo, affinché fossero rinforzate le misure di contrasto al traffico di esseri umani. Oggi, in Nigeria si cercano altri modi per dissolvere questo legame spirituale con il JuJu, ad esempio utilizzando la fede in Dio (cristianesimo), alla ricerca della luce per uscire dalle tenebre. Le ragazze nigeriane vittime di tratta sono quasi tutte cristiane, per lo più della Chiesa Pentecostale, ma le tradizioni e riti "degli antichi" hanno ancora una valenza spirituale molto profonda.

Quello delle ragazze nigeriane è un chiaro esempio di "sincretismo religioso", ovvero la mescolanza di culti tra diverse religioni. Se è vero che le ragazze nigeriane vittime di tratta sono "cristiane" è anche vero che come in moltissimi africani sub-sahariani, costretti ad abbracciare la religione dei missionari e dei colonizzatori europei, c'è ancora una fortissima valenza spirituale nelle religioni tradizionali. E l'antico regno del Benin, Nigeria meridionale, il regno di Danxomé (oggi Stato del Benin) sono proprio i luoghi dove la religione animista ha avuto origine (circa 6.000 anni prima di Cristo), dove è cresciuta, si è sviluppata, si è profondamente ancorata nello spirito e nell'anima di quei popoli.

Il ruolo crescente dei "Cults", ovvero della mafia nigeriana, nel sistema della tratta e altre componenti maschili nel meccanismo di assoggettamento.

Il fenomeno dei Cults in Nigeria esiste da molto tempo, ma si è rafforzato negli ultimi anni. Si tratta di confraternite nate in ambito universitario in Nigeria negli anni '70 dopo la guerra del Biafra, e che poi sono uscite dalle Università diventando sempre più più influenti in campo politico e sociale, fino ad uscire dai confini della Nigeria. Sono composte da giovani uomini armati, implicati in molti casi di atti violenti e di crimini. Le stesse mamam chiedono la loro protezione, e spesso loro stesse affiliate, per intimorire, molestare o uccidere ed è qui che rientra in gioco il legame con la tratta e gli altri aspetti della criminalità. Le uccisioni, coperte da aspetti rituali, sono un macabro aspetto ricorrente in queste confraternite: gli omicidi sono attuati anche per il traffico di organi umani, oltre che per rese di conti, per estorsioni di denaro, e persino per scopi politici. Non è ben chiaro cosa facciano esattamente e per conto di chi.

Il contesto socio-culturale nigeriano favorisce la proliferazione di culti religiosi. L’impunità, le difficoltà nell’apparato di sicurezza nigeriano alimentano il potere dei Cults; questi si sostituiscono allo Stato nella gestione privata della “giustizia”. In generale, lo Stato ha pochi strumenti per contrastare questo fenomeno, e i membri delle confraternite, che si appoggiano anche loro su un giuramento di omertà, in caso di arresto non parleranno mai della struttura della confraternita. La corruzione della polizia, e l’implicazione degli stessi membri delle forze dell’ordine all’interno dei Cults non facilitano di certo il cambiamento.

Il legame tra la tratta e i Cults è facilmente intuibile. La tratta degli esseri umani è un aspetto economico, le mamam cercano metodi di coercizione e assoggettamento e in queste gang armate possono trovare le persone disposte a tutto, per denaro, mettendo in pratica le minacce evocate durante i giuramenti JuJu. Il clima di violenza, il terrore viene esercitato per intimidire, estorcere informazioni, ottenere obbedienza. Le mamam si servono degli affiliati per minacciare le famiglie delle ragazze in Nigeria, quando e se cercano di smettere con la prostituzione e di scappare. La famiglia sa che, se subisce attacchi e intimidazioni, c’è dietro la violazione di un giuramento, e si sente costretta a sua volta ad aggiungere ulteriore pressione sulla ragazza (che si trova in Italia) affinché rientri nei ranghi e torni ad obbedire alla sua mamam.

Diversi personaggi appartenenti alla mafia nigeriana sono presenti ovunque, hanno compiti diversificati, agiscono in Nigeria (per reclutare ragazze), in Libia (per proteggere l'investimento delle varie mamam), e poi sono presenti soprattutto in Italia. Sono sparsi sul percorso migratorio (per facilitare l'attraversamento dei confini e per organizzare luoghi di rifugio temporaneo), rafforzando la rete di trafficanti nei diversi punti di contatto. Secondo una testimonianza, sono stati i cultisti nigeriani a insegnare ai libici come guadagnare sfruttando la precarietà dei percorsi migratori. Sarebbero loro ad aver insegnato ai libici come torturare e organizzare le vittime. L’ampiezza di questo fenomeno sfugge alle statistiche perché i reati dei membri delle confraternite non vengono denunciati dalle famiglie, se non in casi rarissimi.

Alcune mamam fanno in modo che un fratello, o un conoscente stretto, viaggi insieme alle ragazze dalla Nigeria all’Europa. Questo ci permette di parlare di un’altra figura maschile determinante nel mondo della migrazione delle ragazze nigeriane: il boyfriend.

Ci sono dei ragazzi che, su ordine della mamam, fanno innamorare le ragazze, promettendo loro una vita migliore in cambio della fedeltà. In questo modo, sfruttando il sentimento e l’innamoramento, manipolano la ragazza e la spingono a rimanere nella prostituzione, a richiedere l’asilo e, una volta ottenuto a sposarsi cosicché venga loro garantito il permesso di soggiorno. Durante il viaggio l’uomo impone alla donna di recitare un finto matrimonio per essere collocati insieme una volta arrivati nel “campo” (per migranti in Italia). È un meccanismo di controllo della vittima perché quando scoprirà il proprio destino e comincerà a prostituirsi non potrà più allontanarsi, perché l’aguzzino farà leva sullo JuJu. La mamam è sempre lì dietro, a gestire le marionette della sua rete. A volte questa stessa manipolazione da parte del boyfriend viene utilizzata per “rubare” la ragazza alla mamam, per esempio con un finto salvataggio, per poi sfruttarla ancora e tenerla sotto il ricatto di riportarla alla mamam. Questi boyfriend a volte sono membri attivi dei Cults, e sono temuti per la crudeltà e la violenza dei loro atti.

Alle volte le ragazze nigeriane non si rendono nemmeno conto che è esattamente una delle peggiori specie di violenza quella che subiscono. In Nigeria non c’è un’educazione contro la violenza in genere, e ancora di meno un'educazione contro la violenza sessuale. E qui interviene un fattore culturale: lo scambio dono-contro-dono, che si pone alla alla base delle dinamiche sociali. Quando una ragazza è stata “salvata” da un boyfriend, si dedicherà totalmente a lui. Se lui non vede opportunità di riuscita per sé in Italia, le proporrà di partire per la Francia o la Germania promettendole ancora di più. Ma la ragazza resterà sempre nella rete del trafficking, perché non si rende conto di essere manipolata, o se anche se ne rendesse conto, le tocca obbedire, tornare alla prostituzione, cercare di ricambiare l’aiuto ricevuto per “dovere”.

Il persistente ruolo della famiglia e la marginalizzazione della donna nell’ordinamento giuridico nigeriano.

Il contesto sociale nigeriano è poroso e fragile. C’è una vulnerabilità socio-giuridica della donna che fa sì che la sua opinione, la sua parola, conti drasticamente meno che quella di un uomo. È una società maschilista e gerarchica che si serve di costrutti ideologici e mentali per influenzare le ragazze, che facilmente diventeranno vittime della tratta. Lo spazio lasciato alle donne per decidere per sé è molto ridotto, e il governo è restio a adottare politiche che lo allarghino. Nonostante la famiglia sia l’istituzione fondamentale su cui ciascuno si appoggia e a cui ciascuno contribuisce per garantirsi la sopravvivenza, una donna, per esempio, non può ereditare dal padre o dal marito (motivo anche questo di vulnerabilità che spinge delle ragazze a prostituirsi per mantenere madri, figli, fratelli, ecc..).

Le ragazze sfruttate per la prostituzione in Europa provengono da famiglie povere e molto vulnerabili. I trafficanti, quando adocchiano una vittima, si mobilitano innanzitutto per ottenere la fiducia della famiglia. La richiesta di ottenere la disponibilità di una ragazza è fatta passare come una proposta di aiuto alla famiglia, per farla uscire dalla povertà. La famiglia viene dunque coinvolta, e la madre o la zia accompagnano la ragazza al tempio.

Quando la ragazza realizza che l’oggetto del patto è la prostituzione, il giuramento, il viaggio, e si vuole opporre, entra in gioco ancora un altro aspetto. La mamam invia i suoi scagnozzi a minacciare i membri della famiglia di ripercussioni nel caso la ragazza non si piegasse alla sua volontà. Al telefono, dalla Nigeria all’Italia, i genitori spesso sono costretti a riportare la ragazza ribelle alla sua responsabilità nei confronti dei suoi fratelli, e nei confronti del fatto che deve occuparsi del benessere del nucleo familiare. Allo stesso tempo, la mamam le ricorda il giuramento. Le minacce fanno leva sull’emotività: i primi mesi in Italia sono per le ragazze un periodo durissimo.

Durante i mesi di sfruttamento la famiglia riceve 50 o 100 euro ogni tanto. La condizione economica migliora un po’ con quella cifra, ma la conseguenza è che la ragazza continua a essere spinta verso la prostituzione per non perdere il benessere ottenuto.

Le famiglie non si mettono nei panni delle ragazze. Non è la loro dignità ad essere stata violata. Le dicono “altre ce l’hanno fatta”. Loro vedono solo i soldi che arrivano a casa ogni mese”.

Il ruolo della famiglia come fattore di assoggettamento è evidente anche in caso di rimpatrio. Che sia un ritorno “volontario” o forzato, il pericolo di re-trafficking, ovvero che la ragazza venga rimandata in Europa per essere nuovamente sfruttata nella prostituzione, è sempre presente. Le famiglie possono opporsi all’accoglienza della ragazza in uno Shelter (luoghi accoglienza per le ragazze che ritornano, dove si attiva un meccanismo di protezione e reinserimento sociale, previsto dalla legge e finanziato dall’Unione Europea). “Una ragazza con la testa dura, che non vuole piegarsi alla volontà della famiglia viene abbandonata e finisce per strada”. Il ritorno in Nigeria è vissuto come un fallimento sociale ed economico. La famiglia, coinvolta fin dall’inizio nella vendita della figlia, succube delle minacce o ormai abituata a ricevere soldi la forza a tornare in Europa. A questo punto, o la ragazza cerca la mamam, o viene trovata da lei e riparte.

Per evitare il re-trafficking, a livello europeo si sono svolte delle discussioni per fornire supporto al governo nigeriano nel processo di tutela delle ragazze espulse dai paesi membri e tornate in Nigeria. Purtroppo, l’intervento umanitario sponsorizzato dai paesi europei e delle Agenzie delle Nazioni Unite, teso a colmare l’assenza di azione da parte del governo nigeriano, ha un impatto marginale. In generale, l’interesse politico per contrastare la tratta è scarso e solo di facciata. Le risorse non sono molte, e la corruzione se ne appropria. L’apparato giuridico in Nigeria si mobilita per aprire inchieste, per cercare di capire e denunciare le mamam, e i loro complici, all’origine delle diverse reti di tratta, ma pochissime di queste inchieste portano a un qualsiasi risultato. Quelle poche, a volte diventano casi mediatici e quindi fonti di informazione.

È difficile riassumere in un semplice articolo la complessità, anche solo di alcuni aspetti, del fenomeno della tratta nigeriana degli esseri umani per sfruttamento sessuale. Per riprendere la metafora iniziale, ogni nuova matrioska svelata si ritrova sistematicamente ricoperta di altri misteri, e questo si riscontra soprattutto quando, intorno ad tavolo, si ritrovano per discutere di questi argomenti, operatrici e operatori sociali che in Italia hanno a che fare tutti i giorni che queste problematiche.

Sono brandelli di un argomento importantissimo, di un fenomeno criminale che è sempre stato sottovalutato, in Italia soprattutto, dove almeno la metà della popolazione maschile adulta ha avuto a che fare almeno una volta con una prostituta, e il 20% è un frequentatore abituale di prostitute. Nel 2018, ultimo dato disponibile, in Italia sono stati spesi 4 miliardi di euro nel mercato del sesso a pagamento (fonte ISTAT), soldi che finiscono nella mani degli sfruttatori. Per contrastare la tratta a scopo di sfruttamento sessuale è necessario capire che bisogna agire su due fronti, certamente contrastando il traffico di esseri umani, ma è necessario intervenire anche sui "clienti" che, consapevolmente o inconsapevolmente, alimentano lo sfruttamento delle ragazze nigeriane, che diventano vere e proprie schiave sessuali. L'Italia è, ad oggi, l'unica nazione in Europa che ancora non ha una legge organica sulla prostituzione.

A disposizione delle procure, della polizia e delle autorità che a vari livelli indagano su questo traffico, ci sono solo i reati di "sfruttamento della prostituzione" (Articolo 534 del Codice Penale), "induzione alla prostituzione" (Articolo 531 del Codice Penale). Ogni tanto capita, raramente per la verità, che venga contestato anche il reato di "riduzione o mantenimento in schiavitù" (Articolo 600 del Codice Penale). Nelle inchieste sullo sfruttamento della prostituzione e solo per i casi di valenza trans-nazionale a volte viene aggiunto il reato di "traffico di esseri umani" (Articolo 601 del Codice Penale). Tutti reati che sono difficilmente dimostrabili senza la collaborazione delle "vittime".

L'Italia è l'unico Paese europeo a NON avere, nel suo ordinamento giuridico, una legge organica sulla prostituzione

Leggi il mio ultimo libro

Il Woodoo e la Religione Animista dell'Africa occidentale

Acquista

La nostra Biblioteca


08 giugno 2022

Nigeria. Dopo l'ennesimo massacro di cristiani è ora di parlare di genocidio in atto

L'ultimo massacro di una cinquantina di fedeli cristiani, tra cui donne e bambini, nel giorno di Pentecoste, nella Chiesa di Owo nell'Ondo State, con ogni probabilità messo in atto da un commando armato islamista di pastori fulani, mette a nudo la debolezza di un Paese divorato dalla corruzione, dal malaffare e dall'insicurezza.

In Nigeria c’è un genocidio in atto perpetrato dai mussulmani Fulani nei confronti dei contadini cristiani del nord, ma i media occidentali non ne parlano

Oppure ne parlano, ma solo quando capita l'ennesimo massacro, l'ennesimo villaggio bruciato, l'ennesimo rapimento. Già nel 2019 Jubilee Campaign (organizzazione no profit che si occupa della tutela dei diritti umani) ha presentato alla Corte Penale Internazionale le prove che i crimini contro i cristiani in Nigeria costituiscono un genocidio. Solo tra il 2014 e il 2016 più di 4mila cristiani sono stati uccisi e quasi 200mila case cristiane distrutte.

I militanti Fulani (a cui si deve la diffusione della religione islamica in Africa occidentale) attaccano i villaggi a maggioranza cristiana dove uccidono civili e bruciano le loro case. Solo nel 2019 avevano compiuto 52 attacchi letali contro le comunità cristiane. In uno di questi ucciso 300 persone dello stesso villaggio, e in un altro villaggio attaccato sono state trovate 174 salme, tra donne e bambini, in una fossa comune.

Jubilee Campaign ha esposto alla Corte Penale Internazionale le testimonianze di cristiani nigeriani che hanno raccontato che i pastori prevalentemente musulmani sono spesso armati con fucili d’assalto costosi e sono stati addirittura visti a bordo di elicotteri. Inoltre, questi pastori sono soliti gridare insulti genocidiari anti-cristiani durante le loro incursioni. I media occidentali, però, sminuiscono questi attacchi, ridimensionandoli come una semplice competizione tra i pastori fulani e agricoltori cristiani per accaparrarsi le risorse dei territori. Se questo poteva essere vero nel 2013, quando tutto è iniziato, con gli anni gli attacchi si sono moltiplicati, sono diventati indiscriminati e con armi sempre più micidiali. Nulla a che fare con un semplice scontro per l'uso di qualche centinaio di metri di pascolo. Dopo nove anni, è diventata una vera e propria caccia al cristiano.

Non solo Boko Haram e Iswap

Meno noti dei terroristi di Boko Haram, uccidono più di loro. Gli islamisti Fulani, nella cintura centrale del paese, fanno migliaia di vittime, soprattutto per motivi religiosi, nell'impunità e nell'indifferenza del mondo.

Nel 2018 la Nigeria è stato il secondo paese al mondo per numero di vittime causate dal terrorismo. Per il Global Terrorism Index 2019 (GTI), le vittime sono state 2.040, meno dell’Afghanistan (7.379), più dell’Iraq (1.054). In un rapporto della Croce Rossa Internazionale sono illustrate cifre da guerra civile: tra il 2009 e il 2019 gli attacchi del gruppo islamista Boko Haram hanno provocato, soprattutto nella Nigeria nord-orientale, 27mila morti, 22mila dispersi, oltre duemila rapimenti di ragazze di cui più della metà minorenni, e oltre 2,4 milioni di sfollati.

Delle 2mila vittime del 2018 contate dal GTI, ben 1.158 sono attribuite non a Boko Haram, ma agli estremisti fulani. Se in questi anni gli sforzi dell’esercito nigeriano hanno ottenuto qualche vittoria contro Boko Haram (che si è indebolito anche perché si è diviso in due gruppi), si è moltiplicato il pericolo dei pastori islamisti che uccidono impuniti, mettendo in atto un vero e proprio genocidio nei confronti dei cristiani.

Sebbene il GTI (Global Terrorism Index) spieghi che "gli eventi attribuiti agli estremisti Fulani riflettono l’uso del terrorismo come una tattica utilizzata nel conflitto, e che non ci sia un vero e proprio gruppo unico e organizzato, è innegabile che molti tra di loro si sono radicalizzati e, soprattutto, si sono dotati di armi di ultima generazione che prima non possedevano".

Detto tra le righe significa che tra i Fulani, uccidere e ammazzare i cristiani, è un'usanza diffusa, quasi radicalizzata, e allo scopo si comprano liberamente armi sempre più micidiali, tanto le autorità non fanno nulla, e si resta impuniti.

Nonostante i ripetuti massacri, nessun colpevole è stato fino a oggi indagato, arrestato o condannato. Secondo alcuni, il principale motivo di questa assenza di misure di contrasto alla violenza sta nell’appartenenza dell’attuale presidente Mohammed Buhari, che è proprio di etnia fulani.

Vogliono colpire i cristiani, e il governo non fa nulla per fermarli, perché anche Buhari è di etnia Fulani

È triste, ma si deve constatare che è come se vi fosse un ordine da parte del governo federale a non intervenire contro i crimini dei fulani, e così loro uccidono, distruggono e poi fuggono, e nessuno fa niente per fermarli. Anzi, se la polizia trova la gente locale con le armi che cerca di difendersi, generalmente arresta questi anziché i fulani armati con gli AK47. I mandriani si sentono forti, perché c’è un loro uomo al potere che li protegge.

Buhari è perfino lo sponsor della principale organizzazione di pastori fulani, la Miyatti Allah cattle breeders association of Nigeria, Macban, che, secondo alcune ong locali, dovrebbe essere perseguita per terrorismo e crimini contro l'umanità. E, come fa notare la Ong nigeriana International society for civil liberties & the rule of law, meglio nota come Intersociety, l’ondata di violenze dei fulani si è intensificata già a partire dal giugno 2015, un mese dopo la prima elezione di Buhari a presidente.

Nel frattempo, nel 2019, Buhari, un'ex-militare golpista degli anni '80, è stato rieletto per il secondo mandato e le violenze contro i cristiani si sono moltiplicate. Doveva sconfiggere il terrorismo islamista di Boko Haram, ma ora si ritrova in casa due gruppi terroristici, oltre a Boko Haram, anche l'Iswap (Ex-Stato Islamico dell'Africa occidentale). Ma oggi i Fulani, amici di Buhari, uccidono più di Boko Haram e Iswap messi insieme.

Dopo l'omicidio di Deborah e l'arresto dei suoi assassini gli islamici assaltano tre chiese cristiane

Deborah è stata uccisa il 12 maggio scorso nel college Shehu Shagari, a Sokoto. La sua colpa è di aver risposto in una chat di gruppo su WhatsApp, infestata da messaggi islamici che miravano a convertirla: «Per carità di Dio, non ci accadrà proprio niente. Questo gruppo non è stato creato per essere riempito di informazioni inutili, ma per notizie inerenti ai compiti e agli esami. E chi sarebbe il profeta Maometto?». Il solo fatto di aver pronunciato la parola “Maometto” le è valso la morte per mano di decine e decine di zelanti giovani islamici, coetanei, studenti come lei nello stesso College, che l’hanno inseguita, sottratta alla protezione della sicurezza interna, picchiata con pietre e bastoni e infine bruciata.

Dopo il terribile omicidio di Deborah, che ha sconvolto l’intera Nigeria, suscitando condanna unanime, anche da parte di molti Imam a Sokoto, capitale dell’omonimo stato dove vige la sharia, le autorità hanno fermato due dei tanti musulmani che l’hanno uccisa, Bilyaminu Aliyu e Aminu Hukunchi. Per protestare contro l’arresto dei due giovani, una folla di islamici ha assaltato il 14 maggio tre chiese, devastando i negozi di molti cristiani e costringendo il governo a imporre un coprifuoco di 24 ore.

Deborah, uccisa solo perché non sapeva chi era Maometto. Padre Joseph Daramola, segretario generale della Christian Association of Nigeria (CAN), ha attaccato il governo federale nigeriano affermando che è «il fallimento nel portare davanti alla giustizia chi in passato ha commesso simili crimini a dare vita a nuovi atti da parte di terroristi e banditi»

«L’omicidio brutale di Deborah Yakubu non è un caso isolato. Molti musulmani e non, accusati di aver insultato l’islam o il profeta, hanno subito la stessa sorte in Nigeria. Non si può dire che questo caso non abbia niente a che fare con la religione. È il contrario. Questi stragisti sono solitamente motivati dalla loro fede nel profeta dell’Islam, dagli insegnamenti islamici e dal desiderio di placare Allah e di guadagnarsi il paradiso nell’aldilà. Se la Nigeria vuole davvero porre fine a questi atti orribili e ai massacri dovrebbe guardare in modo critico a come l’Islam viene professato e praticato nel nord della Nigeria. La Nigeria deve determinare se l’Islam è una religione o un culto di morte»

L'Islam non è una religione di Pace

Uccide, devasta Chiese, brucia villaggi e lapida le ragazze solo perché non sanno chi è Maometto. E restano impuniti nell'inerzia di un governo incapace, corrotto, esso stesso islamico, e di forze dell'ordine ed esercito marci fino al midolo.

Questa è la situazione in Nigeria nel 2022. L'Islam, Fulani, Boko Haram, Iswap e perfino ragazzotti mussulmani che vanno all'Università possono uccidere i cristiani e avere la certezza che resteranno impuniti. Guai ad arrestare qualcuno di loro, guai ad arrestare gli assassini perché altrimenti vengono assaltate Chiese cristiane, o si ammazzano donne e bambini mentre pregano durante la messa di Pentecoste.

Nigeria, un gigante dai piedi d'argilla

Considerato tra i più ricchi di tutto il continente, in quanto primo produttore di petrolio dell'Africa. Dei proventi del petrolio la popolazione vede ben poco, gran parte delle royalities si perdono nei meandri della corruzione, piaga che tutti i presidenti del passato e Muhammadu Buhari, l’attuale capo di Stato al secondo mandato, hanno promesso di sradicare, ma sempre con scarso successo. Basti pensare che anche il giudice dello speciale tribunale anti-corruzione è stato preso con le mani nel sacco, e perfino l'ex-ministra delle risorse petrolifere è stata arrestata a Londra con l’accusa di corruzione. La lista dei personaggi illustri coinvolti in traffici poco trasparenti è lunga.

In base all’ultimo rapporto pubblicato dalla Banca Mondiale a fine marzo 2022, si prevede che nell’anno in corso il 42 per cento della popolazione vivrà in povertà, ovvero 95,1 milioni di nigeriani. Triste indice, dovuto a svariati fattori, come l’incremento demografico, la pandemia, la guerra in Ucraina che con l’aumento dei prezzi del grano si ripercuote in tutto il continente. Va sottolineato che la Nigeria importa anche prodotti derivati dal petrolio, visto che non dispone di una sola raffineria. L’istituto ha evidenziato che sarà molto difficile per il governo ridurre il tasso di povertà, se non affronta il problema della sicurezza.

Eppure Buhari aveva promesso di combattere povertà e terrorismo. Quasi alla fine del suo secondo mandato tali aspettative non sono state raggiunte, anzi, sempre secondo le proiezione della Banca Mondiale, si prevede che il tasso di disoccupazione raggiunga il 33 per cento nel 2022, mentre quello giovanile potrebbe addirittura sfiorare il 53 per cento. Un'inflazione in salita che al momento si aggira attorno al 17%. La Nigeria è un paese ricco di petrolio, ma povero di benzina.

In un contesto economico disastroso, e con un genocidio in atto nell'indifferenza del mondo, la popolazione nigeriana è chiamata alle urne fra pochi mesi, nel febbraio 2023 e già ora i maggiori istituti di analisi sono davvero preoccupati dell’attuale trend nel Paese. La questione sicurezza deve essere affrontata seriamente prima della prossima tornata elettorale, perché si sa che ogni elezione in Nigeria rappresenta una micidiale fonte di instabilità.

Maris Davis

L'Islam uccide i cristiani, e resta impunito. E questa nella mia Nigeria è una triste verità

31 maggio 2022

Me ne frego

Me ne frego di voi, "russi" che uccidete i bambini dell'Ucraina.

Me ne frego di voi, "mussulmani" che uccidete, rapite, stuprate e fate diventare schiave sessuali le ragazzine del Nord-Est della mia Nigeria, e ammazzate i cristiani durante le loro funzioni religiose, e non vi interessa se sono bambini o donne. Questo è del giorno di Pentecoste.

Me ne frego di voi, ipocriti del mondo BENPENSANTE, che fate finta di non vedere l'orrore del mondo e continuate a costruire moschee per chi distrugge chiese.

Di voi proprio me ne frego, io continuerò a dire NO a questo Islam vigliacco e assassino, e continuerò a dire NO al criminale di guerra Putin e a tutti i Russi che lo appoggiano.

Io sono, e nessuno sarà mai come me


30 maggio 2022

Il Razzismo Scientifico. Cattiva scienza, molti pregiudizi

"Ogni tempo ha il suo fascismo, se ne notano i segni premonitori dovunque la concentrazione di potere nega al cittadino la possibilità e la capacità di esprimere ed attuare la sua volontà. A questo si arriva in molti modi, non necessariamente col timore dell'intimidazione poliziesca, ma anche negando o distorcendo l'informazione, inquinando la giustizia, paralizzando la scuola, diffondendo in molti modi sottili la nostalgia per un mondo in cui regnava sovrano l'ordine, ed in cui la sicurezza dei pochi privilegiati riposava sul lavoro forzato e sul silenzio forzato dei molti". (Primo Levi)

Per secoli si è tentato di definire dei criteri “oggettivi” per classificare le persone umane, per fornire supporto ad un razzismo scientifico, che afferma che la naturale diversità biologica tra gli individui o tra le popolazioni si riflette nelle gerarchie sociali o etniche. Questo falso paradigma, che ha avuto pesanti conseguenze sul piano politico e socio-culturale, è basato su presupposti ideologici che mirano a giustificare le disuguaglianze e a legittimare la tesi della superiorità dei “bianchi”, e quindi del loro diritto di sopraffazione su altri gruppi umani. Sulla base di questo pregiudizio il razzismo scientifico è riuscito ad avallare molteplici forme di discriminazione, per creare e perpetuare un ordine sociale, in cui le classi dominanti hanno mantenuto privilegi e diritti, a danno delle classi subalterne. Nella storia il cosiddetto “razzismo scientifico” è servito da pretesto per giustificare lo schiavismo, il colonialismo, la segregazione di gruppi etnici minoritari, la discriminazione, la tortura, la persecuzione e persino il genocidio.

A partire da Linneo, il grande innovatore della classificazione delle specie, schiere di scienziati ottocenteschi hanno cercato di identificare caratteristiche somatiche, i cosiddetti tratti antropometrici, come il volume cranico, il grado di prognatismo o l’indice cefalico, per tentare di catalogare i gruppi sociali o etnici. Lo scopo era quello di arrivare a costruire una gerarchia di valore tra di essi, associando arbitrariamente ai connotati fisici qualità comportamentali o abilità intellettuali, che pertanto sarebbero innate e da cui scaturirebbero le differenze socio-economiche per classe, censo, sesso, etnia e via dicendo. Per quanto sia stato meticolosamente cercato questo nesso biologico non è mai stato dimostrato. «Troppi studi sulle caratteristiche psichiche delle razze si basano prima di tutto sulla presunta superiorità del tipo razziale europeo e poi sull’interpretazione di ogni deviazione da questo come segno di inferiorità mentale. Quando il prognatismo dei negri viene interpretato in tal senso, senza che si sia provata una connessione biologica tra la forma delle mascelle e il funzionamento del sistema nervoso, si commette un errore. Questo è un ragionamento di tipo emotivo, non scientifico».

Quanto i risultati di questi tentativi di classificazione siano stati inconcludenti e fortemente contraddittori, lasciamolo dire a Charles Darwin: «L’uomo è stato studiato più attentamente di qualsiasi altro animale, eppure c’è la più grande varietà di giudizi fra le persone competenti riguardo a se possa essere classificato come una singola razza oppure due (Virey), tre (Jacquinot), quattro (Kant), cinque (Blumenbach), sei (Buffon), sette (Hunter), otto (Agassiz), undici (Pickering), quindici (Bory de St-Vincent), sedici (Desmoulins), ventidue (Morton), sessanta (Crawford) o sessantatre secondo Burke». Darwin, da acuto osservatore qual era, rilevava che «le razze umane non sono abbastanza distinte tra loro da abitare la stessa regione senza fondersi l’una con l’altra» (Darwin 1871).

Come Darwin ben sapeva, il concetto di razza descrive bene la situazione degli animali da allevamento. Infatti, in zootecnia, si definisce “razza” una tipologia di esemplari, discendenti da un numero ristretto di antenati, sottoposti ad un prolungato isolamento riproduttivo rispetto al resto della loro specie. Se l’isolamento viene mantenuto, gli animali si differenziano progressivamente e alla lunga possono dar luogo a specie distinte o andare incontro all’estinzione, come avviene anche in natura. Se possiamo parlare di razze canine, bovine, ovine, equine e così via, è perché l’uomo, fin dalla preistoria, ha selezionato gli animali in base a specifiche proprietà e li ha fatti accoppiare in modo strettamente controllato, tenendo ben separate le diverse linee genealogiche. L’uomo ha scelto gli esemplari da allevare per le loro qualità: il cane da pastore per l’abilità di proteggere il gregge e il cane da caccia per il fiuto e la velocità nella corsa. E così per le mucche da latte o da carne, i cavalli da tiro e da corsa, le pecore da lana o da carne, e via dicendo.

Il concetto di razza, quindi, si adatta molto male alla specie umana, dalla natura molto avventurosa che si è spinta al di là di ogni ostacolo naturale, catene montuose e calotte polari, mari e oceani, deserti o steppe, fino ad arrivare ad esplorare e colonizzare l’intero pianeta. Una specie socievole che è stata anche capace di abbattere barriere linguistiche, culturali e sociali, anche se non sempre in modo amichevole, di mettere a frutto scambi tra culture e società diverse, mescolandosi continuamente anche dal punto di vista procreativo. Di conseguenza, considerato che nell’ambito della nostra specie non c’è stato un fenomeno di isolamento riproduttivo analogo a quello che genera le razze negli animali da allevamento, non ci sorprende che non si riescano a stabilire i confini tra le presunte razze umane. «Il problema delle classificazioni in base a caratteri antropometrici o genetici è che è sempre possibile separare dei gruppi per un singolo o pochi caratteri ma questi gruppi non corrispondono a quelli che si ottengono con un altro insieme di caratteri. Nessuno dei parametri presi in considerazione di volta in volta è sufficiente per caratterizzare una razza umana, perché comunque sia definito il gruppo è sempre omogeneo per quel carattere e molto eterogeneo per tutti gli altri».

Nel XX secolo, fallito il tentativo di distinguere gli esseri umani in base a parametri morfologici, si cercò di trovare il modo di farlo in base alle caratteristiche genetiche, con il presupposto assai semplicistico e del tutto infondato che se i geni possono rendere conto della costituzione fisica della persona, del colore degli occhi o della pelle, possono spiegare anche il suo temperamento, le sue proprietà intellettuali e le sue inclinazioni morali. Alcuni scienziati hanno sostenuto che certi modi d'agire siano causati da una determinata conformazione della rete dei neuroni e che questa, in ultimo, sia l'espressione diretta della costituzione genetica. Il tentativo è quello di ridurre l’identità dell’uomo all’espressione diretta del suo patrimonio genetico, di interpretare il suo modo di agire come determinato a priori da un meccanismo biologico, in particolare dall'azione di singoli geni che controllerebbero specifici comportamenti. «Si cerca di diffondere la convinzione che l’azione dei geni controlli direttamente la conformazione delle reti di neuroni, dando luogo a comportamenti prefissati». Sebbene questi presupposti siano stati smentiti ampiamente dalle evidenze sperimentali, l’ideologia razzista si sforza di riaffermare la supremazia delle classi dominanti, cercando di individuare differenze genetiche tra i gruppi, che possano servire da criteri per la catalogazione e per stabilirne possibilmente una graduatoria. Quindi, ancora una volta, dai temi dell’ereditarietà si fa discendere una concezione gerarchica e classista delle società umane, giustificata da presunte “Leggi di Natura”.

Talvolta a sostegno del mito della razza sono enfatizzate antiche ascendenze comuni tra individui molto diversi, come gli “ispanici”. Negli Stati Uniti l’FBI definisce la razza ispanica come «la razza degli immigrati di madrelingua spagnola: nello stesso catalogo vanno a finire persone di origine europea, africana o dell’America centro-meridionale. I loro antenati sono sparsi in tre continenti e oltre la lingua e lo status di immigrati spesso condividono solo le condizioni socio-economiche». Il più delle volte si trascura l’evidenza che gli appartenenti alla stessa popolazione non hanno tutti lo stesso colore della pelle, struttura dei capelli, forma degli occhi e tanto meno la stessa indole o gli stessi talenti. Al contrario, come è inconfutabile, l’identità individuale è piuttosto legata alla cultura e alla lingua, costrutti basilari nello sviluppo della personalità, che sono però estranei alla biologia.

Se alcune peculiarità nel nostro aspetto sono ben visibili, gli studi più recenti della genetica umana hanno rivelato che esiste un grandissimo numero di differenze genetiche impercettibili tra un individuo e l’altro. Ma questa variabilità è distribuita in modo continuo su tutti i continenti. «La diversità genetica tra gli individui è tale da rendere vuoto il concetto di razza e priva di fondamento scientifico l’idea di superiorità genetica di un qualsiasi popolo su di un altro, non perché tutti gli uomini siano uguali ma proprio perché sono tutti geneticamente diversi». Ma se siamo «tutti differenti», siamo anche tutti «parenti», più o meno alla lontana, visto che l’intera famiglia umana è nata in Africa e da essa circa centomila anni fa partì la diaspora che portò la nostra specie ad espandersi sull’intero pianeta. Nella storia di queste migrazioni, alcune popolazioni sono rimaste più isolate e si sono maggiormente diversificate, mentre il continuo rimescolamento nell’ambito di gruppi che occupavano la stessa area geografica o zone limitrofe tendeva ad assimilarli.

Pertanto, nessun gruppo si può considerare omogeneo, le differenze genetiche sfumano le une nelle altre in maniera graduale da un gruppo all’altro, il che impedisce di stabilire, almeno dal punto di vista genetico, confini tra le popolazioni umane. Come quando si guarda l’arcobaleno, si distinguono bene il blu dal verde, o l’arancio dal rosso, non si può individuare una linea di demarcazione tra una sfumatura e l’altra. È così anche per il colore della pelle, e per i geni che lo controllano: esiste un’ampia gamma di sfumature, che hanno un valore adattativo in specifiche condizioni ambientali. In altre parole, dove c’è un’intensa esposizione al sole, il colore è generalmente più scuro, perché questo pone gli individui al riparo dagli effetti dannosi della luce UV (cancro della pelle), mentre dove l’esposizione è minore, la carnagione tende a essere più chiara, perché così aumenta l’assorbimento della luce attraverso la pelle che è necessario per la sintesi di vitamina D. Il valore adattativo di queste differenze può spiegare perché il colore sia diverso tra gli individui che abitano regioni diverse, per esempio africana, europea o asiatica, ma in questo confronto perdiamo di vista la gradualità che invece osserviamo tra gruppi che vivono in regioni contigue.

Che cosa ci dicono le differenze genetiche sulle diversità umana, in particolare sul piano intellettuale? La diversificazione tra le persone non trae origine solo dai geni, ma in gran parte dall’ambiente, inteso in senso lato, cioè da tutte le esperienze quotidiane e che producono segnali che modificano il funzionamento dei geni e le reti neurali del sistema mente-cervello. Ne è una prova il fatto che i gemelli identici, pur avendo lo stesso patrimonio genetico, si somigliano moltissimo da piccoli, quando le influenze dell’ambiente sono ancora contenute, ma tendono a differenziarsi sempre di più nel corso della vita adulta. I geni sono importanti, ma non sono tutto, la maggior parte dei nostri caratteri, specialmente quelli che riguardano le facoltà intellettuali, non dipende quindi solo dall’azione dei geni. «In qualsiasi momento della sua vita, un organismo è la conseguenza unica di una storia evolutiva che risente dell’interazione e delle influenze reciproche tra forze interne ed esterne».

Quindi ogni persona riceve il suo patrimonio genetico, dai suoi genitori e, prima ancora dagli antenati. In questo patrimonio è racchiuso un potenziale, che nel corso della vita diventa una realtà, in continua trasformazione. «Questi processi sono guidati, ma non determinati, dai geni e quindi non interpretabili con il modello secondo il quale lo sviluppo consiste nella “decodificazione di un programma prefissato contenuto nel nostro DNA”. Ammesso che nel nostro DNA sia scritto il nostro futuro, non possiamo, non tener conto del fatto che parole identiche hanno significati diversi in contesti differenti e funzioni molteplici anche nello stesso contesto».

La scuola del determinismo biologico, sostenitrice del razzismo scientifico, ha spesso giocato sul mito che la scienza si fondi su dati oggettivi, affermando di trattare il tema dell’ineguaglianza come una questione puramente scientifica e sostenendo che le proprie posizioni fossero libere da contaminazioni ideologiche o da considerazioni di ordine sociale, politico o religioso Al contrario, essa ha alimentato teorie ad hoc, snaturando e distorcendo i concetti dell’antropologia prima, e della genetica poi, per tenere in vita il mito delle razze. Cercando di erigere inverosimili barriere tra i gruppi umani, si è confusa l’identità religiosa con l’appartenenza etnica (si pensi al caso degli arabi o degli ebrei), la competizione per il potere o per l’egemonia politica scambiata per conflitto razziale: si pensi a baschi e spagnoli, hutu e tutsi, serbi e croati, popolazioni simili, territorialmente confinanti con secoli di convivenza e di rimescolamento genetico alle spalle.

La scuola del determinismo biologico ha sostenuto ogni sorta di conclusione reazionaria, ha tentato di ridurre problemi sociali a problemi di ordine biologico e genetico, negando gli effetti delle disparità sociali. Porta sulle spalle la responsabilità della emarginazione, quando non della sterilizzazione e dell’eliminazione fisica di cittadini indigenti come di minorati psichici e fisici. Una tragica pagina della storia che prese il nome di igiene razziale e culminò nella tragedia dell’olocausto.

Fortunatamente, sono sempre di più gli scienziati che riaffermano che tutte le discriminazioni sono ingiuste ed immotivate, che esse pongono eccessiva enfasi sulle differenze, che vengono considerate arbitrariamente innate, immutabili ed insuperabili, e che una visione deterministica rende un cattivo servizio alla genetica e svilisce il suo importante contributo alle conoscenze in campo biologico.

Purtroppo però, se il razzismo scientifico è del tutto screditato, non possiamo illuderci che il razzismo sia sconfitto. Infatti, come si legge nelle cronache dei quotidiani, anche cambiando gli stereotipi al mutare delle circostanze, l’idea di fondo resta quella che non tutti possono avere gli stessi diritti. E chi ha bisogno di un nemico può facilmente inventarsene uno, attuale o potenziale. Che sia basata su diversità sessuali o linguistiche, socio-culturali o religiose, oppure morfologiche e genetiche, la discriminazione prefigura sempre la negazione della libertà e della dignità dell’uomo. Ma almeno non lo si può più fare in nome della scienza.

La "teoria del razzismo scientifico" fu la "scusa giuridica" per la colonizzazione, ovvero la spartizione dell'Africa da parte delle grandi potenze europee. Fu la "scusa giuridica" per la sottomissione dei popoli africani e dello sfruttamento economico di un intero continente.
L'Africa e il Razzismo Scientifico
In Africa il profondo processo di sincretismo (assimilazione, fusione di elementi tra diverse religioni) ha reso possibile la coesistenza delle religioni tradizionali con quelle rivelate. La prima presenza di missionari cristiani nell'Africa Occidentale è legata strettamente agli iniziali tentativi di evangelizzazione, intrapresi verso la metà del XVII secolo, in quella vasta zona dell'Africa che fu la culla della "tratta degli schiavi".

Come lo fu lo schiavismo anche l'imposizione delle religioni occidentali sono state il segno che l'Africa è sempre stato considerato un luogo di conquista perché abitato da popolazioni "primitive" considerate inferiori. E la dimostrazione di ciò è stata la "teoria del razzismo scientifico" ampiamente diffusa in occidente nel XIX secolo, e secondo la quale i "negri", proprio perché dalla pelle scura, non potevano avere l'intelligenza dei bianchi occidentali. Secondo tale teoria gli africani erano posizionati a metà tra l'homo sapiens occidentale e il regno animale.

La "teoria del razzismo scientifico" fu poi la "scusa giuridica" per la colonizzazione, ovvero la spartizione dell'Africa da parte delle grandi potenze europee. Dalla metà del XIX secolo e fino agli anni '60 del XX secolo l'intero continente africano subì non solo una vera e propria occupazione politica, ma anche il suo sfruttamento economico. Agli africani vennero imposte leggi occidentali, religioni occidentali e le lingue occidentali. Se nei secoli precedenti gli africani diventavano schiavi nel "Nuovo Mondo" e fuori dall'Africa, con la colonizzazione iniziata nel XIX secolo, per 150 anni gli africani sono diventati schiavi a casa loro.

La fine della colonizzazione in Africa, avvenuta tra i primi anni '60 e la fine degli anni '70 del XX secolo, non ha però impedito la fine del suo sfruttamento economico e commerciale che ora avviene con modi diversi, attraverso la corruzione, attraverso l'imposizione di governi "fantoccio" appoggiati dall'occidente, di multinazionali aggressive e potentissime dal punto di vista economico. In tutto questo si mescola poi la religione, i fanatismi, l'integralismo islamico, le divisioni su base etnica, ed è anche per questo che oggi l'Africa è in assoluto il continente più litigioso al mondo.

Aiutiamoli a "casa loro". Un motto che che oggi va di moda in Italia e in Europa. Ma aiutare gli africani a casa loro significa soprattutto non sfruttarli, permettere agli africani di usufruire loro stessi delle ricchezze dell'Africa, permettere agli africani di eleggere democraticamente i loro governanti, smetterla di intromettersi come piovre nei meccanismi commerciali, economici e politici degli stati africani.

Un giorno una persona di un certo livello sociale e anche molto istruita mi disse, a proposito dell'ENI che da 50 anni "ruba" il petrolio della mia Nigeria, "ma i nigeriani NON hanno la tecnologia e la conoscenza necessaria per estrarre e raffinare loro stessi il loro petrolio", un'implicita dimostrazione che la "teoria del razzismo scientifico", ancora oggi è ben radicata nel cervello di molti bianchi occidentali, anche tra quelli con cultura superiore, come se gli africani non fossero in grado di amministrare da soli le loro ricchezze, una giustificazione per dire che lo sfruttamento dell'Africa da parte dell'occidente è ancora necessario.

In Nigeria non si può più essere cristiani

Bambini e neonati uccisi, donne e disabili massacrati, case incendiate. Racconto della strage di Natale per mano dei pastori...