20 dicembre 2021

Natale in Nigeria, tra i cristiani perseguitati da Boko Haram

Ogni notte Naomi rivive l'incubo di essere rapita, Charles quello di nascondersi nella boscaglia. Per loro e per tutti i cattolici nigeriani in fuga dagli jihadisti, padre Christopher rischia ogni giorno la vita

Quanti giorni durò il cammino dei cristiani verso il Camerun? Naomi non li aveva contati, di quell'estenuante fuga dai jihadisti nigeriani ricorda solo una fatica disumana e la paura: «Avevamo i piedi gonfi e pieni di vesciche, era davvero troppo. Mia sorella era stata catturata da Boko Haram, ma aveva un bambino in braccio ed è stata l’unica ragione per cui l’hanno lasciata andare. Non era figlio suo, ce l’aveva tra le braccia solo in quel momento, ma le ha salvato la vita. Molte altre persone, come mia madre, sono state uccise».

Naomi vive e rivive sempre lo stesso incubo, ogni singola notte, appena cala il buio sulle tende degli oltre 30mila sfollati nigeriani a Pulka. Lo stesso incubo vissuto da migliaia di rifugiate come lei: donne rapite, costrette a sposare un jihadista ed ad assistere all’uccisione di un proprio familiare. Anche Charles, un papà di 33 anni, è intrappolato nei ricordi dei giorni insanguinati da Boko Haram: «I terroristi attaccavano di notte, uscivamo dalla città non appena cominciava a calare il buio e ci nascondevamo nella boscaglia. Spesso sogno ancora di nascondermi»

In fuga da Boko Haram
Naomi e Charles, come gli altri cristiani riparati nel campo Alpha a Pulka, uno dei 20 campi profughi sparsi nello stato di Borno, vicino al confine col Camerun, sono la ragione per cui padre Christopher rischia la vita ogni giorno. I terroristi «hanno provato a spaventarli e minacciarli, cercando di costringerli a convertirsi. Poi hanno cominciato a diventare più violenti. I sacerdoti hanno dovuto nascondersi sulle montagne, ma gli insorti di Boko Haram hanno continuato a molestare e perseguitare la gente cristiana», racconta ad Aid to the Church in Need (Acn) il sacerdote cattolico della diocesi di Maiduguri, capitale di Borno che dista 120 miglia da Pulka. «Dicevano ai cristiani che se si fossero convertiti nessuno avrebbe fatto loro del male. La situazione è diventata così difficile che tra il 2015 e il 2016 molte persone hanno iniziato a fare i bagagli e lasciare il Paese, attraversando la frontiera e cercando rifugio in Camerun»

Scappavano da città, villaggi, il campo profughi di Minawao era arrivato a contare più di sessantamila rifugiati nigeriani. Finché, riconquistate le zone al confine, l’esercito li convinse a far ritorno in patria. Ma poco è cambiato da allora, «eravamo rifugiati in Camerun, siamo tornati qui due anni fa. E siamo tornati a vivere nel pericolo». I cristiani non possono allontanarsi dal campo, «ci sono continui attacchi e alcune persone vengono uccise. Non è nemmeno facile per me raggiungere i fedeli», conferma padre Christopher, costretto a vivere in una casa abbandonata da quando Boko Haram ha distrutto la chiesa e la canonica di Pulka.

 
 2021 Natale tra i cristiani perseguitati da Boko Haram nello Stato di Borno. Interi villaggi rasi al suolo, 20mila morti, uccisi dalle bombe di Boko Haram o dai loro fucili, bambine costrette a diventare bombe umane, oltre duemila ragazze rapite costrette a diventare spose dell'Islam, schiave sessuali. Tre milioni di bambini che non potranno andare a scuola perché gli edifici sono stati bruciati e i loro insegnanti uccisi.

Natale tra i profughi di Pulka
«Andare e venire è sempre un rischio, ma per me è importante fare tutto il possibile per aiutare queste persone», persone che chiedono un aiuto a restare saldi nella virtù più difficile e cara ai cristiani nigeriani: la speranza. «La vita in Camerun era così dura che pensavamo di averla persa per sempre. Padre Christopher ci ha ridato coraggio. È un vero padre per tutti noi e sta cercando di colmare con la sua presenza il vuoto lasciato dai nostri familiari assassinati. Si prende cura di noi come se fossimo la sua famiglia. Capiamo che è Dio ad aiutarci attraverso di lui, attraverso chi non ci ha dimenticato»

Anche nel momento più doloroso. E a Pulka l’ora più dolorosa per i cattolici è quella del Natale perché «la sofferenza è parte di noi cristiani», dice Charles, un padre «benedetto con quattro figli» e che senza fede, assicura, non avrebbe potuto sopportare la mancanza di senso di tutto il dolore, suo e della sua gente, né celebrare la certezza della salvezza del Bambino che nasce. Natale una volta era gioia, canto, famiglie che si riunivano, «poi sono iniziati gli attacchi, non potevamo nemmeno mettere piede fuori di casa dopo il tramonto. Finché divenne troppo pericoloso celebrarlo» ricorda Naomi. Che oggi non ha più una madre e una casa ma è tornata ad avere speranza, «ci servono cibo, tende, vestiti, medicine, soldi per tornare all’università». Ci sono circa 14 mila cattolici a Pulka, Acn sta lavorando a progetti per realizzare un pozzo, ricostruire la parrocchia, aiutare i catechisti dei campi profughi.

La più grande tomba dei cristiani
La sicurezza nello Stato, lo abbiamo scritto tante volte, continua ad essere pressoché inesistente. La Nigeria è il paese africano, dove ogni anno muore il maggior numero di cristiani al mondo, vittime di sequestri, devastazioni, massacri ad opera di Boko Haram ma anche degli estremi fulani e banditi collusi con i jihadisti. «Siamo stati torturati e minacciati durante la prigionia. Ero così scioccato da non riuscire neanche a pregare», raccontava solo pochi giorni fa ad Acn padre Bako Francis Awesuh, il sacerdote di Gadanaji rapito, torturato e scampato alla morte per un soffio (e un ingente riscatto pagato da famiglia e parrocchiani). La violenza è in aumento in tutto paese e incomprensibile resta la decisione del governo degli Stati Uniti di espungere la Nigeria dalla lista nera dei paesi che violano di più la libertà religiosa.
Bring Back Our Girls

03 dicembre 2021

Covid19. Emergenza in Africa, vaccinato solo 6,6% della popolazione

Nel Continente africano è vaccinato solo il 6,6% della popolazione. È un oltraggio alla morale umana e una disuguaglianza intollerabile

Ritardi e difficoltà logistiche e una campagna sanitaria mai partita per davvero. Un modo per diffondere varianti


La mancanza di vaccini in Africa è una diseguaglianza assurda. Un modo per diffondere varianti virali capaci di sfuggire ai vaccini, un oltraggio alla morale. È la denuncia del direttore generale dell'OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) Todros Adhamon.

Se si guarda alle cifre dei vaccinati nel mondo a due anni dall'inizio dell'epidemia di Covid19 la grande sconfitta sembrerebbe essere proprio l'Africa. Ma in un mondo dove le connessioni sono necessarie, la sconfitta di un continente diventa la sconfitta del mondo intero come appare dalla variante "Omicron" tracciata in Sudafrica, ma presente in molti paesi africani e rapidamente sbarcata in Europa.

Secondo i dati più recenti tracciati del CDC, il principale organo di controllo della sanità pubblica degli Stati Uniti, in Africa la campagna vaccinale è ancora agli inizi. Su una popolazione di un miliardo e duecento milioni di persone solo il 6,6% ha ricevuto anche la seconda dose. Una cifra che è infinitamente inferiore alla media mondiale che è del 42,16% di persone vaccinate, del 57,29% dell'Europa o dell'85% dell'Italia.

Il continente africano è molto lontano dall'aver raggiunto l'obiettivo di fa vaccinare in modo completo il 70% della popolazione entro la fine del 2022. Ma oltre il 70% dei paesi africani non ha raggiunto nemmeno l'obiettivo che l'OMS si era prefissato, ovvero arrivare a fine settembre 2021 con il 10% della popolazione vaccinata. A oggi tale obiettivo è stato raggiunto solo da 14 paesi (su 54), come denuncia Amref nel report di novembre.

Ad essere vaccinati con una sola dose sono il 9,98% della popolazione, la metà degli Stati africani ha vaccinato solo il 2% della popolazione e sono state somministrate il 55% delle dosi arrivate. I contagi quindi sono arrivati a 8,6 milioni e passa di casi, i morti accertati sono quasi 230 mila. Il Sudafrica sembra essere il paese più colpito del continente con i suoi 2,9 milioni di casi accertati e i quasi 90 mila decessi. Ma anche questi potrebbero essere dati sfalsati, il Sudafrica ha infatti un modello sanitario evoluto ed efficiente e quindi riesce ad intercettare tutti i dati, al contrario della quasi totalità degli altri paesi africani il cui sistema sanitario era al collasso o inefficiente già da prima dell'insorgere della pandemia e che difficilmente possono essere davvero aggiornati sull'andamento del Covid19.

È quasi certo che la situazione nei paesi più poveri dell'Africa sia ancora più grave di quello che una semplice statistica può farci vedere.


"La Campagna vaccinale è messa a dura prova dalla logistica e dalle spedizioni. Il problema non è che si sta esitando, ma nel portare i vaccini dagli aeroporti fino ai posti più sperduti e inaccessibili e fino alle braccia della gente, la difficoltà sta nel trovare personale sanitario preparato. La difficoltà sta nel portare il vaccino in questi luoghi dove imperversano le bande armate, dove c'è guerra, dove ci sono governi che si interessano a consolidare il loro potere piuttosto che ai bisogni primari della popolazione"

Sono 50 i paesi nel mondo che hanno inviato vaccini in Africa secondo quanto stabilito dall'Organizzazione Mondiale della Sanità, per mettere a disposizione dosi anche per i Paesi che non sono in grado di stipulare accordi commerciali con le case farmaceutiche. E la lentezza della campagna di vaccinazioni sta provocando seri danni al settore sanitario dove solo una persona su 4 è vaccinata. Secondo Amref i costi da sostenere per mandare avanti la campagna di vaccinazione sono enormi. Per raggiungere l'obiettivo di vaccinare il 60% della popolazione (circa 780 milioni di africani) l'Africa avrebbe bisogno di 1,5 miliardi di dosi di vaccino che, secondo le stime attuali, potrebbero costare tra gli 8 e i 16 miliardi di dollari, con costi aggiunti del 20-30% a causa della difficoltà nella distribuzione.

Le conseguenze sono disastrose in termini umani ed economici. Entro fine anno si potrebbe raggiungere la cifra di 300 mila bambini morti nei paesi più poveri dell'Africa a causa del Codid19. E questo bilancio di fine anno è del 7% superiore alla stima prevista dall'OMS ad inizio anno.

L'economia globale dell'Africa si è contratta del 5% nel primo anno della pandemia, aumentando di 120 milioni il numero di persone che vivono in povertà. E a differenza delle crisi economiche nei Paesi ad alto reddito, questi shock nei Paesi a basso reddito generalmente aumentano i decessi tra i gruppi vulnerabili come i bambini e gli anziani.

Nel continente africano sono state stimate 28-50 mila morti infantili in più rispetto alla crisi finanziaria del 2009. Ciò si confronta con una crisi stimata di 82 mila per il 2020/2021, che riflette le carenze stimate del Pil causate dalla pandemia.

Ogni giorno muoiono 10 mila persone perché non possono permettersi cure sanitarie, e 262 milioni di bambini non vanno a scuola. E i ricchi diventano sempre più ricchi anche nella pandemia.

09 novembre 2021

Africa, sette colpi di stato in sei mesi. È allarme democrazia

In poco più di sei mesi, il continente ha subìto 7 colpi di Stato, di cui 5 attuati dai militari e andati a buon fine.

Il colpo di Stato in Sudan, avvenuto il 25 ottobre per mano dell’esercito contro il governo di transizione, ha aumentato il timore di una regressione democratica in Africa
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Niger. Lo scorso marzo, il Niger ha sventato un colpo di Stato poco prima dell’investitura del neo-Presidente Mohamed Bazoum.

Ciad. Ad aprile, subito dopo l’annuncio della morte del presidente ciadiano Idris Déby, il figlio Mahamat ha dichiarato che avrebbe assunto le redini del potere per 18 mesi attraverso un consiglio militare di transizione.

Mali. Poco più di un mese dopo, è toccato al Mali dove il colonnello Assimi Goita ha arrestato il presidente Bah N’Daw e il primo ministro Moctar Ouane dichiarandosi Presidente della transizione e promettendo che avrebbe portato il Paese alle elezioni legislative e presidenziali nel febbraio 2022.

Guinea. Il 5 settembre, il presidente Alpha Condé (Guinea), per undici anni al potere, è stato deposto dal capo delle forze speciali Mamady Doumbouya, dopo aver cambiato la Costituzione che avrebbe permesso a Condé di presentarsi per un terzo mandato.

Sudan. Per finire, il 25 ottobre, l’esercito sudanese, guidato dal generale Al-Buhran, ha sciolto il governo di transizione e arrestato il primo ministro Abdalla Hamdok e alcuni membri civili del consiglio sovrano di transizione che da due anni guidava il paese.

I colpi di Stato non sono una novità in Africa
Il continente è statisticamente quello che ne ha subito il maggior numero al mondo, e il Sudan è il Paese africano che ne ha avuti di più in assoluto. Secondo due ricercatori americani, Jonathan Powell e Clayton Thyne, dal 1952 il Sudan ha avuto 17 golpe, di cui 5 portati a termine. Lo stesso Omar al-Bashir, destituito nel 2019 dopo mesi di proteste popolari, era arrivato al potere nel 1989 attraverso un "colpo di stato". Ma è anche vero che sebbene l’Africa sia stata attraversata da innumerevoli coup (soprattutto negli anni Sessanta, Ottanta e Novanta) negli ultimi venti anni il numero di "colpi di stato" era calato drasticamente venendo così considerati “un fenomeno del passato”. L'ondata di democrazia e la reintroduzione del multipartitismo nel decennio degli anni '90 e 2000 avevano fornito un barlume di speranza per i governi civili.

Ancora oggi è difficile e troppo presto per tracciare delle conclusioni sul perché vi sia una recrudescenza di "colpi di stato" nel continente (alcuni analisti parlano infatti di “coincidenza). Le ultime esperienze ci dimostrano infatti che possono derivare da prese di potere opportunistiche come in Ciad, e da una combinazione di ambizione militare e scontento popolare come abbiamo visto in Mali, Guinea e Sudan.

Ma a livello regionale, ciò che preoccupa di più di tutti, è il fatto che nonostante l’Africa ospiti una serie di organizzazioni regionali queste non sono state in grado di rispondere alla crisi e, soprattutto, a prevenirle. Tutte le organizzazioni regionali, come l’Unione Africana o la Comunità economica degli Stati dell’Africa Occidentale (ECOWAS), hanno sì condannato i "colpi di stato" sospendendo i paesi in questione dalle attività delle varie organizzazioni, dopo essere però rimaste in silenzio di fronte a cambiamenti incostituzionali attuati dai governi per preservare il potere (come per esempio in Guinea), e inermi di fronte a episodi di repressione sui cittadini, fenomeni di corruzione o inadempienze socio-economiche che mettono a dura prova la vita dei cittadini.

I Colpi di Stato degli ultimi sei mesi
I colpi di Stato degli ultimi sei mesi, non sono avvenuti nei Paesi più ricchi dell’Africa ma in Paesi già fragili le cui condizioni di vita delle persone sono peggiorate con la pandemia
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In Mali, come scrive Accord, le misure adottate nel 2020 per limitare la diffusione del virus, hanno avuto un effetto devastante sull’economia del paese: il coprifuoco imposto dalle 9 di sera alle 5 della mattina, ha fatto perdere il lavoro a molte persone che lavoravano di notte e la chiusura delle frontiere ha provocato l’aumento dei prezzi dei beni di prima necessità. Se infatti prima della pandemia una tonnellata di cemento costava 90000 CFA (circa 135 euro), oggi invece ne costa 110000, circa 170 euro.

Lo stesso è successo in Ciad dove, secondo un sondaggio di Ground Truth Solutions, le misure di contenimento hanno profondamente deteriorato la capacità soddisfare le esigenze di base del 60 per cento degli intervistati.

In Sudan, secondo un rapporto della Banca Mondiale, a causa delle conseguenze della pandemia il 20 percento delle famiglie non possono più permettersi di comprare pane, cereali e prodotti di prima necessità. Le protratte difficoltà economiche e la stessa incapacità dei governi di fornire beni sociali e prospettive economiche alle popolazioni, condite spesso dall’esistenza di un alto tasso di corruzione, hanno spinto i militari a giustificare le loro azioni e a presentarsi come salvatori della patria. La giunta militare ha addirittura dichiarato di aver agito per evitare la “guerra civile”.

In Guinea, il colonnello ha dichiarato nel suo primo discorso ufficiale che “il dovere di un soldato è di salvare un Paese” e di aver agito per contrastare una corruzione dilagante e la povertà.

Allarme Democrazia
Tutto ciò si inserisce in un contesto dove da una parte i civili credono sempre meno nella democrazia: secondo uno studio dell’Africa Barometers, solo una minoranza degli africani crede che le elezioni possano eleggere una leadership rappresentativa e responsabile. Di fatti, suggerisce il sondaggio, è nella fornitura di beni democratici, piuttosto che nelle aspirazioni dei cittadini, che la democrazia in Africa sta perdendo i colpi. Dall’altra parte, come ha dichiarato lo stesso segretario generale delle Nazioni Unite Guterres, subito dopo il colpo in Guinea, che “i colpi di stato militari sono tornati in un clima in cui vi è una mancanza di unità nelle risposte della comunità internazionale".

"Le divisioni geopolitiche stanno minando la cooperazione internazionale e un senso di impunità sta prendendo piede”. Il caso del Mali insegna: subito dopo il colpo di Stato, la Francia ha annunciato una sospensione di Barkhane, ovvero l’operazione militare dell’esagono impegnata nella lotta contro i gruppi jihadisti. Ma a settembre, l’agenzia di stampa Reuters ha scritto che la società privata russa Wagner, considerata come l’esercito ombra del Cremlino, stava per firmare un contratto con il governo del Mali per fornirgli circa 1000 soldati incaricati di proteggere le personalità e formare l’esercito maliano. In cambio, secondo la Reuters, Wagner dovrebbe avere circa 9 milioni di euro al mese e un possibile accesso a tre giacimenti minerari. Dopo questa notizia, il ministro degli esteri francese Le Drian ha dichiarato che “questa mossa è incompatibile con la presenza francese sul territorio”. Dichiarazione e minaccia che non ha assolutamente portato il governo maliano a cambiare idea sul chiedere sostegno ai russi, anzi. A settembre, durante l’assemblea delle Nazioni Unite, il primo ministro Maiga ha dichiarato che “la nuova situazione creata dalla fine di Barkhane, che mette il Mali davanti al fatto compiuto e lo espone a una sorta di abbandono in volo, ci porta a esplorare modi e mezzi per garantire meglio la sicurezza in modo autonomo con altri partner”.

10 ottobre 2021

Mafia Nigeriana. Capi, soldati, spaccio, punizioni

Ferrara, settembre 2021, così è stata smontata l’organizzazione dominante nel centro nord. Il giudice: "Clan pericolosissimo"

Violenti, pronti "all’annientamento fisico degli avversari", dotati di "elevatissima capacità intimidatoria" e capaci di "allarmanti azioni di plateale contrapposizione allo Stato italiano". Sembrerebbe il ritratto dei ‘padrini’ di Cosa Nostra della Sicilia profonda o delle 'Ndrine che dominano i pendii dell’Aspromonte. Invece no. Siamo a Ferrara. E l’organizzazione che per anni ha dettato legge in alcuni quartieri della città non è nemmeno italiana ma interamente formata da nigeriani.

È infatti nel cuore della placida provincia emiliana che la ‘piovra nera’ ha ficcato i suoi tentacoli. Non solo all’interno delle mura estensi. Il gruppo aveva addentellati anche in gran parte del nord, da Padova a Torino, passando per Parma, Brescia e Verona. Fino a pochi anni fa, gli allarmi lanciati sul fenomeno venivano etichettati come l’esagerazione di residenti lamentosi o come le farneticazioni di qualche razzista. Ma ora le cose sono cambiate. Adesso c’è un processo in corso. L’accusa è associazione a delinquere di stampo mafioso ed è uno dei primi casi in Italia in cui il reato viene contestato a un gruppo di origine africana.

Alla sbarra è finito uno dei più potenti e feroci clan (o cult , come li chiamano i membri) nigeriani: gli Arobaga-Vikings. A descriverne la pericolosità e la struttura sono le 110 pagine firmate dal giudice dell’udienza preliminare Francesca Zavaglia. Il magistrato, il 10 giugno, ha emesso le prime sei condanne (pene da cinque a otto anni) a carico di altrettanti affiliati. Per gli altri diciassette, tra cui i boss, è stato disposto il rinvio a giudizio, con prima udienza celebrata l’altro ieri in tribunale a Ferrara.

Ma chi sono i Vikings? È lo stesso giudice a spiegarlo. Il clan ha una gerarchia rigida, con al vertice il presidente del ramo italiano dell’organizzazione (detto Vatican) e un consiglio di anziani. Sotto si dipana una piramide di capi di livello intermedio fino ai soldati . Ai livelli più alti c’era Emmanuel Okenwa, noto come ‘Boogye’, un dj di musica afro-beat che "si vantava di essere il re di Ferrara".

La sentenza delinea poi altre caratteristiche del gruppo, come il linguaggio in codice con l’utilizzo di vocaboli di derivazione nautica, o l’abbigliamento, con lo sfoggio di berretti o bandane di colore rosso. Zavaglia si sofferma poi sui feroci riti di affiliazione, sulle punizioni per gli insubordinati, sulle lotte per il controllo del territorio e sull’obbligo di versare denaro all’organizzazione (una "quota sociale" per gli affiliati e aiuti per i carcerati e le loro famiglie).

A Ferrara i Vikings regnavano sul quartiere della stazione, gestendo le piazze di spaccio e lo sfruttamento della prostituzione a volte in accordo e a volte in contrasto con il clan rivale degli Eiye. Ed è stata proprio una faida con l’altra banda a indirizzare procura e polizia sulla pista giusta, sollevando il velo su un fenomeno fino a quel momento sconosciuto. Era l’estate del 2018. Una partita di droga non pagata nei termini stabiliti fu la scintilla della violenza. Aggressioni quotidiane ai danni di membri dell’uno e dell’altro clan. Fino alla resa dei conti.

Un commando di Vikings tese un agguato a un membro di spicco degli Eiye, massacrandolo a colpi di machete. Sopravvisse per miracolo. Le indagini sul tentato omicidio accesero i riflettori su esponenti e affari del clan, tra cui la pretesa del ‘pizzo’ da altri nigeriani e gli "abusi a danno dei negozianti".

Insomma , conclude il giudice, siamo davanti a un’organizzazione "di elevata pericolosità ed efferatezza" nota "a tutta la comunità nigeriana" che "ben percepiva la carica intimidatoria" e ormai "altamente temuta da tutti i residenti". Che il problema non fosse più limitato alla sola comunità straniera, Ferrara lo ha appreso nel febbraio del 2019 con la ‘rivolta dei cassonetti’.

Animati dalla falsa notizia di un connazionale morto durante un inseguimento con le forze dell’ordine, decine di nigeriani scesero in strada, rovesciando bidoni dell’immondizia e lanciando bottiglie. Un ulteriore segno, sempre stando alle parole del giudice, di quella "escalation di violenza" stroncata un anno dopo a suon di arresti.



La "Cosa Nera" e la politica negazionista

Dalla ‘ndrangheta calabrese, con cui fanno affari e trattano alla pari, hanno preso il meglio. Hanno osservato e copiato il modello italiano con l’attenzione di chi non vuole restare indietro. Affari e violenza, strategia e gerarchia. Nella classifica delle mafie degli anni Duemila le cosche nigeriane si sono ritagliate un ampio posto al sole il cui business copre traffico di cocaina e affari con i narcos, prostituzione e traffico di esseri umani.

Il processo in corso a Ferrara e le motivazioni delle prime sei condanne tracciano un quadro criminale allarmante, anche non del tutto nuovo, ma che conferma il radicamento della Cosa nera. Un rapporto della Dia precisa che le gerarchie e l’organigramma sono quelle ‘ndranghetiste, come del resto la suddivisione dei territori e dei processi decisionali. Guarda e impara, mescolando riti tribali tra frustate, torture e brindisi col sangue e organizzazione manageriale.

Ciò che le sentinelle del politicamente corretto non amano sentirsi dire è che se i capi arrivano in modo regolare dalla Nigeria il reclutamento dei soldati pesca in parte fra le migliaia di disperati alla ricerca dell’impossibile sogno italiano. Per anni la politica e perfino la giustizia ha sottovalutato questo fenomeno criminale perché tira in ballo il tema dell’immigrazione. A Ferrara, il clan del Vikings, oggetto della maxi inchiesta, ha messo radici con affari allargati a tutto il nord Italia. E proprio qui la politica è stata a lungo negazionista per scelta ideologica. Dal 2018 al 2020 i nigeriani sono stati i cittadini stranieri che hanno subito più denunce e arresti per associazione mafiosa. Dati, non opinioni. I gruppi consolidati oggi sono i Viking, Axe, Maphite ed Eiye. La Cosa nera c’è e si vede.

01 agosto 2021

La tratta delle bambine nigeriane a scopi sessuali

Il dramma della tratta di bambine nigeriane costrette alla prostituzione lungo la rotta dei migranti. 'Piccole donne' senza un sostegno, che al loro arrivo trovano una nuova vita di soprusi e disperazione.

La tratta delle prostitute bambine nigeriane che sono arrivate in Italia sui barconi dei migranti è il paradigma del dramma della prostituzione minorile che non accenna a risolversi nel breve periodo. Un fenomeno che si aggrava e rivela con drammaticità la situazione in cui versano tantissime piccole donne private della loro libertà e della giovinezza.

Bambine prostitute in Italia: le minori nigeriane nella rete dei trafficanti

Si fa fatica a capire se non si è dentro un problema più generale, quello della tratta di esseri umani che coinvolge nel mondo almeno 3 milioni di persone ogni anno, non per una difficoltà a comprendere ma piuttosto per la crudeltà del comprendere: un crimine contro l’umanità consumato anche a "casa nostra", che è davanti ai nostri occhi ogni giorno, tutti i giorni, lungo la Domiziana (per esempio), in cui tantissime bambine sono costrette a prostituirsi da non meglio identificati criminali che le hanno portate lì, a nuotare nel fango della violenza. Molte di loro sono minorenni, per la maggior parte nigeriane, sbarcate in Italia nell’ordine delle centinaia, forse migliaia, e finite nella rete di trafficanti senza scrupoli che ne governano il corpo, ma non ne annullano il sogno infantile di un riscatto.

Da quel tritacarne di cuori di un’infanzia violata, emergono, con la brutale forza delle peggiori verità, storie di rapimenti, pedofilia e abusi sessuali di gruppo non facili da digerire, purtroppo reali.

Nel 2018 la Direzione Distrettuale Antimafia (DIA), in un rapporto confidenziale, denunciò che nove città italiane sono ostaggio della Mafia Nigeriana (Torino, Verona, Bologna, Roma, Macerata, Napoli, Palermo, Bari, Caserta), ma da allora sembra che la politica italiana non si sia mossa, impegnata com'è in beghe interne e guazzabugli per mantenere poltrone e privilegi. Poco possono fare investigatori e forze dell'ordine che al momento non hanno a disposizione strumenti legislativi adeguati (per esempio manca una legge organica sulla prostituzione, unico paese in Europa).

Complice il vuoto legislativo e l'indifferenza della politica verso un fenomeno "orribile", ha fatto registrare la presenza sempre più massiccia di giovanissime donne, soprattutto nigeriane, che si prostituiscono nel mercato del sesso di strada, e i racconti di alcune ragazzine tra i 14 e i 15 anni hanno spalancato le porte del loro dolore e di una realtà parallela alla democratica veste di una Paese che accoglie, ma in cui si annida il verme della prostituzione minorile.

Dalla Nigeria alla Libia, fino all’Italia: il percorso lungo la tratta delle baby prostitute

Le testimonianze di alcune giovani vittime dello sfruttamento sessuale sbarcate in Italia dopo aver seguito la rotta dei migranti, reclutate nella loro terra d’origine, la Nigeria, per un viaggio del quale conoscono solo una falsa facciata, evidenziano l'orrore di quella che è una vera e propria schiavitù. Alcune credono di partire per trovare un posto sicuro in cui lavorare, studiare, altre affrontano una partenza ignare della meta.

Dalla Nigeria alla Libia, poi sul primo barcone utile a condurle per mare verso un destino già deciso dalle organizzazioni criminali che stanno dietro l’immane traffico di esseri umani. Alla partenza, contraggono un debito che va dai 35 ai 55mila euro, da estinguere tramite la loro riduzione in schiavitù nel Paese di destinazione.

A seguire la situazione “da vicino” è la mamam, solitamente una donna affrancatasi da un pregresso status di schiava ma ora "organica" alla mafia nigeriana e che ha il compito di gestire le baby prostitute.

Prostituzione minorile: la tratta delle minori nigeriane nel racconto delle vittime

Castelvolturno è uno dei tanti luoghi italiani in cui la vita di queste bambine scorre velocemente sulle cicatrici delle violenze subite, cresciute troppo in fretta e spesso non facili a rivelare la loro vera età. Molte di loro dichiarano di avere molti più anni di quanti ne dimostrino, invece, i loro tratti innocenti e gli sguardi impauriti.

Sono arrivata in Italia senza sapere nulla, mi hanno detto che dovevo pagare un debito e per questo dovevo prostituirmi. Ma io non volevo”, racconta una piccola vittima. Le bambine vergini vengono violentate e portate sulla strada, alcune descrivono abusi sessuali di gruppo, talmente dolorosi da provocare ferite che vengono curate con mezzi di fortuna, senza il minimo rispetto delle basilari norme igienico-sanitarie: “Mi hanno fatto violentare da più persone, anche utilizzando degli oggetti”, dice un’altra.

Le bambine che hanno raccontato la loro storia sono state portate in strutture protette, lontane dai loro aguzzini. Hanno potuto così esternare, seppur nella comprensibile paura di essere scoperte, una piccola parte degli indicibili orrori subiti. Alcune loro amiche, compagne di un viaggio senza ritorno, sono sparite nel nulla, altre non riusciranno forse a trovare una via di fuga a tutto quel dolore.

Il racconto porta anche a esperienze di prelievo forzato dai centri di accoglienza in cui arrivano dopo lo sbarco in Italia, cui segue, in gran parte dei casi, lo sfruttamento sessuale per saldare il debito con i trafficanti.

Sono storie di miseria umana che resistono alla tutela dei diritti dei minori e delle donne, nascoste nell’ombra di un business per il quale sono solo merce di scambio, vite annientate vissute sotto la fioca, triste luce di un lampione.

Judith, 14 anni appena compiuti. Al suo primo "cliente" fu violentata e stuprata sulla Salaria.

Joy, rimasta incinta di un cliente, e poi ha perso il bambino.

Gladys, un cliente le ha distrutto l'ano violentandola tre o quattro volte con un bastone. Forse guarirà con il tempo, ma per ora non riesce più a camminare.

Rose, stuprata da chissà quanti uomini in una sola volta. Le hanno perforato l'utero con un oggetto appuntito.

Osas, Torino, arrivata in Italia dopo un viaggio di due anni. Gettata giù da una macchina in corsa dopo essere stata stuprata e rapinata.

Prudence, Verona, arrivata dalla Nigeria da una sola settimana, poi sparisce per giorni. Ritrovata sanguinante e sfigurata di botte. Le hanno bucato l'utero con un oggetto appuntito. Nonostante tutto questo la polizia la rimanda in Nigeria. Di Prudence non ci sono più notizie.

Non lontano da Verona una ragazza che non voleva più saperne del marciapiede, Tessie, è stata costretta dai suoi magnaccia a bere acido muriatico. È finita al pronto soccorso. L'hanno salvata per un pelo. E adesso si ritrova sfigurata e handicappata e quasi muta. Una ragazza africana di villaggio, semplice semplice. Analfabeta. Che diavolo di futuro può trovare in Italia. Ditemelo voi.

Eki. Mi hanno stuprata e picchiata, e torturata con le sigarette accese.

Storie Vere
La Storia di Sandra e altre Storie Terribili

Emergenza sociale e umanitaria senza fine: l’età delle minori costrette a prostituirsi si abbassa

Si è evidenziato come vi sia un preoccupante abbassamento dell’età delle ragazze nigeriane che finiscono per strada.

Sicuramente è una scelta delle organizzazioni criminali che cercano di avere sempre più ragazze giovani perché sono più appetibili sul mercato del sesso. Un "mercato" fatto di "clienti italiani" che pagano 4 miliardi di euro all'anno (fonte Istat 2018) per andare a puttane, meglio se giovani e minorenni. Molte di queste ragazze non arrivano più con le tratte a cui eravamo abituati ma arrivano quasi tutte mischiate e confuse nei flussi di profughi richiedenti asilo, sono quelle, cioè, che arrivano sui barconi, ma che il governo italiano (decreti sicurezza) continua ancora a chiamare clandestine da rispedire a casa loro

Clienti di quasi bambine, siete dei gran bastardi, siete solo stupratori a pagamento e che da oggi possiamo definirvi anche "pedofili"


Link e letture utili sull'argomento

29 luglio 2021

La Convenzione di Ginevra compie 70 anni

L'anniversario sul trattato a difesa dei diritti del "Rifugiato"
Uno dei trattati più sottoscritti a livello internazionale

Definisce chi è un rifugiato e i diritti dei singoli che hanno ottenuto l'asilo e le responsabilità delle nazioni. A fine 2020 erano quasi 21 milioni i rifugiati nel mondo.

Compie 70 anni. La Convenzione sui rifugiati, fondamentale strumento giuridico internazionale a difesa di chi fugge da persecuzioni, discriminazioni, violenze, guerre e che chiede asilo in un altro paese, è stata approvata in una speciale conferenza delle Nazioni Unite, tenuta a Ginevra il 28 luglio 1951. Anche se entrerà in vigore il 22 aprile del 1954.

Ad oggi gli stati firmatari della Convenzione sono 149, rendendola uno dei trattati internazionali più sottoscritti. È un trattato multilaterale dell’Onu che definisce chi è un rifugiato e i diritti dei singoli che hanno ottenuto l’asilo e le responsabilità delle nazioni che garantiscono l’asilo medesimo. «I critici sostengono che sia uno strumento vecchio e superato, il lascito di un’era passata. Invece è vero il contrario: se non verrà difeso e onorato saranno milioni a pagarne il prezzo».

Secondo l’ultimo rapporto annuale dell’Unhcr, alla fine del 2020 i rifugiati nel mondo erano 20,7 milioni. Circa la metà (47%) è stato accolto in Asia, più di un terzo (35%) in Africa, mentre l’Europa (UE) ne ha ospitati circa il 13% (2,7 milioni).

In Italia erano 128mila a fronte dei 207mila registrati nel 2019. Il nostro non rientra tra i paesi più impegnati nell’accoglienza: con 2,2 rifugiati ogni mille abitanti si colloca al 15° posto nella graduatoria dei paesi UE per numero di persone accolte. Un dato simile a quello spagnolo, ma decisamente inferiore a quello registrato in Svezia (24 rifugiati ogni mille abitanti), Germania (14,6) o Francia (6,5). Anche considerando il 2019, un anno non influenzato dalla pandemia, l’Italia si trova sempre a metà classifica (13ª posizione).

"Il rifugiato è colui che temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori del Paese di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese; oppure che, non avendo cittadinanza e trovandosi fuori del Paese in cui aveva residenza abituale a seguito di tali avvenimenti, non può o non vuole tornarvi per il timore di cui sopra
(Articolo 1 Convenzione di Ginevra)

02 luglio 2021

Quello che nessuno osa dire di Maometto

Sono molto orgogliosa di essere definita "razzista" perché NON amo l'Islam

Non odio i mussulmani in quanto persone, poveretti sono nati semplicemente in un posto sbagliato, in mezzo ad una cultura intrisa di Islam, non hanno colpe. Ma non capisco coloro che si convertono all'Islam da grandi. Semplicemente inconcepibile, come Silvia Romano, convertita nella religione di chi la rapì.
Fatevi qualche domanda, tra tutte le religioni al mondo l'Islam è l'unica che nasce dall'oggi al domani per "ispirazione" di un certo Maometto. Si dice che il Corano non lo scrisse nemmeno lui, il Profeta, (alcuni pensano, anche in ambienti islamici, che era pure analfabeta), ma lo dettò ai suoi seguaci, e la stesura definitiva fu scritta da "qualcuno" dopo la sua morte.
Ma chi era Maometto
Perfino Dante lo colloca all'Inferno (Canto XXVIII)
Tra i commenti dei miei post c'è sempre qualcuno che mi definisce "razzista". Ma se essere definita "razzista" perché odio Maometto, un terrorista dei suoi tempi (ve lo immaginate una religione fondata da un terrorista ??).
Nel 627 d.C. Maometto partecipò di persona alla decapitazione di circa 800 ebrei della tribù dei Banu Qurayza alle porte di Medina in Arabia Saudita, e questo al giorno d'oggi lo definiremo massacro. (Fatto storico).
Ma se essere definita "razzista" perché odio Maometto, un pedofilo (ve lo immaginate una religione fondata da un pedofilo ??)
Sposò Aisha, la sua sesta moglie, quando lei aveva solo sei anni, matrimonio combinato, poi la stuprò quando ne aveva nove. Tutto scritto nero su bianco nel Corano.
Essere definita "razzista" da gente che crede ancora che Maometto sia l'incarnazione del bene, mi rende orgogliosa. È tutta "gente" che rinnega la storia e che oggi, in nome di un Dio "fantasma" continua ad UCCIDERE.

In Nigeria non si può più essere cristiani

Bambini e neonati uccisi, donne e disabili massacrati, case incendiate. Racconto della strage di Natale per mano dei pastori...