07 dicembre 2018

Il neo-colonialismo francese sottomette i paesi dell'Africa sub-sahariana

Emmanuel Macron e la continuità dell’impero francese in Africa. La Francia chiude i suoi confini ai migranti africani che essa stessa ha contribuito a provocare con politiche di controllo militare ed economico sulle sue ex-colonie.


Qualunque candidato alla presidenza francese, che sia di desta o di sinistra, durante la campagna elettorale deve chiarire la sua posizione nelle relazioni con le ex-colonie africane.

Normalmente l’argomento, pur essendo pubblico, è riservato alle élite imprenditoriale, finanziaria e alla Cellula Africana del Eliseo (nota come France Afrique), un dipartimento speciale per gli affari africani che sembra vivere di vita propria. Talmente potente da condizionare la politica estera di tutti i presidenti eletti in Francia dal dopo guerra.

Ogni candidato è ben consapevole che la sua posizione sull'Africa determinerà l’appoggio o meno del grande capitale e dell'alta finanza visto che le ex-colonie rappresentano il 45% del PIL nazionale francese grazie alle risorse naturali e alla moneta unica che le ex-colonie sono costrette ad adottare, il Franco CFA, e imposta alle sue colonie africane il 26 dicembre 1945.

Una delle principali ragioni dell’intervento francese in Libia fu quella di distruggere il progetto del Colonnello Gheddafi di sostituire il Franco CFA con una moneta unica del Nord Africa e dell’Africa Occidentale garantita dalle immense riserve d’oro e di petrodollari custodite presso la Banca Centrale a Tripoli e ora ovviamente sparite. Un progetto che Gheddafi ha pagato con la morte e la Libia con l’orribile caos che sembra non aver fine.

La tenuta della supremazia francese nelle sue colonie africane è messa in discussione

L’afflusso di materie prime continua dalla periferia alla Madre Patria, come continuano gli affari delle multinazionali francesi nel Continente e il controllo finanziario su tutte le Banche Centrali dei paesi africani francofoni. Eppure venti di ribellione sono sorti dal 2014 e stanno aprendo pericolose crepe nel sistema France Afrique.

I numeri della France Afrique sono impressionanti, oltre 40 interventi diretti tesi a difendere regimi filo-francesi, sia democratici che dittatoriali, o ad aiutare dei ribelli a rovesciare dei regimi ostili.

Attualmente la Francia è legata a 12 Paesi da accordi militari di tipo difensivo, ed è presente in 10 Paesi con missioni militari, per un totale di oltre 5mila unità.

Dietro la scusante della guerra contro l'imperialismo delle multinazionali occidentali, la Francia ha utilizzato la compagnia di sicurezza privata dello storico mercenario Bob Denard per combattere in Katanga e Biafra, e tentare dei cambi di regime in Gabon, Angola, Zimbabwe, Benin, Repubblica Democratica del Congo e Unione delle Comore.

Lo Sdece (Direzione generale per la sicurezza esterna) è stato il principale strumento di difesa della France Afrique coinvolto in numerosi omicidi politici, soprattutto di leader carismatici noti per le loro denunce nei confronti della sottomissione del continente all'imperialismo occidentale: Ruben Um Byobe e Félix-Roland Moumié dell'Unione Popolare del Camerun, Barthélemy Boganda del Partito Nazionalista Centrafricano, l'oppositore politico Ciadiano Outel Bono, l'attivista anti-apartheid Dulcie September, fino ad arrivare ai mostri sacri del fronte nazionalista africano Thomas Sankara e Patrice Lumumba.

Spesso e volentieri i governi francesi hanno sfruttato le tensioni inter-etniche e inter-religiose presenti nei paesi più eteregonei per alimentare guerre civili decennali, attraverso le quali mantenere i regimi più ostili, o i territori più ricchi, in un costante stato di assedio e sottosviluppo, utilizzato per acquistare a basso costo materie prime contrabbandate da terrorismo e ribelli, un vero e proprio capitalalismo di rapina.

Vari Paesi africani stanno mettendo in discussione il Franco CFA, il meccanismo principale per continuare la cosiddetta ‘schiavitù economica‘ a vantaggio della Francia. Il Burkina Faso è perso. La rivoluzione democratica del 2014 ha messo fine alla trentennale dittatura di Blaise Compaorè, che conquistò il potere uccidendo il suo compagno politico Thomas Sankara, considerato dalla Francia il nemico numero uno durante la sua breve presidenza negli Anni Ottanta.

I sentimenti antifrancesi nelle colonie sono ormai incontenibili
Dai governi alle popolazioni, tutti invocano (a diversi gradi di intensità) l’indipendenza economica. L’Africa è diventata il continente più pericoloso per i cittadini francesi. A decine sono stati rapiti o uccisi negli ultimi dieci anni. L’esercito francese e la Legione Straniera (corpo d’élite sempre utilizzato da Parigi per azioni eversive in Africa e responsabile di diversi crimini di guerra) sono sempre più sotto pressione per le guerre create dalla Francia in Mali e Repubblica Centrafricana.

Guerre civili create per spodestare vecchi dittatori divenuti scomodi o ribelli, ora fuori controllo della France Afrique. I tentativi di attuare un cambiamento di regime per vie democratiche sono tutti falliti. L’ultimo in Gabon.

La Francia non riesce nemmeno a stabilizzare il suo gioiello coloniale: la Costa d’Avorio, periodicamente colpita da rivolte all'interno delle forze armate che mettono a rischio la tenuta del Presidente Alassane Ouattara messo al potere dai francesi "manu militari".

Gli imprenditori francesi non riescono a penetrare nel mercato dell'Africa anglofona in quanto le loro mosse di egemonia economica vengono sistematicamente vanificate dai governi africani. Ultimo esempio il tentativo della TOTAL di acquisire una posizione di monopolio sul petrolio ugandese. La principale compagnia di comunicazioni: Orange ha fallito in otto Paesi dell’Africa anglofona e mantiene il monopolio nell'Africa francofona solo grazie alle dinamiche di controllo imposte dalla France Afrique.

Il Rwanda a distanza di quasi 25 anni non è stato riconquistato
A Kigali non c’è un governo amico facilmente manovrabile da Parigi e fino ad ora i milioni spesi nel sostegno finanziario e militare dei gruppo terroristico ruandese FDLR (quelli che oggi stuprano in massa donne e bambine nel Nord-Kivu, in Congo) non hanno creato i risultati sperati. In Rwanda rimane stabile un governo antagonista della Francia, guidato da un partito: il Fronte Patriottico Ruandese a cui la France Afrique non ha mai perdonato di aver provocato la scintilla della perdita di controllo nell'Africa Centrale e Orientale. Ultimo baluardo del Grandeur Francese rimane il Burundi.

In una recente intetrvista Macron dichiara di voler abbandonare il network di connivenze con i vari dittatori africani per instaurare nuovi rapporti con l’Africa basati sulla trasparenza.

«Inaugurerò una nuova politica verso il Continente africano, basata sulla libertà e la responsabilità. Con priorità chiare: la sicurezza, la lotta contro il cambiamento climatico, i diritti delle donne, l’educazione e la formazione, le infrastrutture con particolare attenzione all'accesso delle popolazione alla energia e alla acqua potabile, lo sviluppo delle imprese private generatrici di occupazione. L’Europa e l’Africa hanno dinnanzi a loro grandi opportunità. È per questo che dobbiamo rifondare le nostre relazioni con l’Africa per creare un nuovo modello di partenariato basato sul equilibrio, reciproca fiducia e sviluppo economico. Mobiliterò tutte le istituzioni europee e i nostri partner internazionali per focalizzare l’attenzione internazionale verso uno sviluppo durevole e il rafforzamento delle economie africane che devono diventare la priorità assoluta in ogni agenda internazionale»

Invitato a spiegare esattamente cosa significano i “nuovi rapporti” con l’Africa, Macron espone con entusiasmo i suoi grandi progetti. “Scriverò una nuova pagina nelle relazioni con l’Africa basata su un aggiornamento della nostra politica nel Continente capace di rispondere alla vitalità e al potenziale africano. È per questo che lancerò un'iniziativa ambiziosa tra Francia, Europa, sud del Mediterraneo e Africa, per rafforzare i nostri comuni interessi in tutti i settori: sicurezza, clima, commercio, occupazione, innovazione tecnologica

La nostra politica estera in Africa cambierà e sarà basata sulla trasparenza e dalla distruzione del network di connivenze franco africane e di influenza di affaristi e speculatori che la politica estera francese ha creato. Relazioni dubbie che persistono nel sistema politico francese sopratutto nella destra ed estrema destra. La mia politica si baserà su nuovi partner, Le forze vive dell’Africa: gli intellettuali, le ONG, le imprese private francesi e africane, la diaspora francese in Africa e quella africana in Francia. La gioventù africana avrà la priorità. Lanceremo le basi necessarie per lo sviluppo di un settore privato dinamico e creativo per sconfiggere la disoccupazione in Africa e attirare gli investimenti internazionali. Fondi sufficienti saranno garantiti per la realizzazione di infrastrutture produttive nel settore acqua, elettricità e comunicazioni

L’intervista rilasciata a Jeune Afrique, ma Macron non ha convinto l’Africa
Tra i corridoi del potere dell’Africa anglofona i propositi del Presidente Macron per il Continente sono definiti “facile propaganda”. Tra i governi dell’Africa francofona vi è il dubbio che Macron voglia utilizzare questo paventato cambiamento nelle relazioni bilaterali come un cavallo di Troia per rafforzare il dominio francese sui Paesi africani. Entrambe le realtà del Continente concordano nel definire l’intervista rilasciata da Macron come un abile esercizio di propaganda che evita di toccare i “mostri” della France Afrique. L’unica vera intenzione del Presidente francese individuata dagli analisti africani è quella di convincere l’Africa ad allearsi alla Francia e alla Unione Europea in difesa degli interessi comuni creando una alleanza economica e politica in grado di sostenere le potenze mondiali tra cui Cina, Russia e Stati Uniti, viste da Macron come entità antagoniste.

Macron rappresenta il meglio della propaganda priva di contenuti dell’alta finanza e della classe imprenditoriale europea ormai speculativa e non produttiva. Entrambi questi potentati stanno lottando disperatamente per continuare nella economia coloniale, dove l’Africa è semplicemente considerata un magazzino di materie prime e un facile mercato per i prodotti lavorati europei

Il delicato tema del Franco CFA è appena accennato
Credo che occorra un dibattito sul Franco CFA ma rimango convinto che prima di tutto è un sistema finanziario che appartiene agli africani. Un sistema che contribuisce a creare stabilità economica e integrazione regionale” Nessun accenno alla ormai profonda crisi diplomatica sotterranea tra Francia e Ciad, causa la campagna politica continentale del Presidente Idris Debi Itno per superare il Franco CFA.

La France Afrique è una realtà multidimensionale, agisce sul piano economico, politico, diplomatico ed ideologico di numerosi paesi, dal Magreb al Sahel all'Africa Sub-Sahariana.

La sottomissione economica è essenzialmente esplicitata nell'esistenza della così detta area-franco, di cui fanno parte 14 Paesi africani, obbligati ad utilizzare il Franco CFA, della cui convertibilità in Euro se ne occupa il Ministero dell'economia e delle finanze francese.

L'appartenenza all'area "franco CFA" prevede inoltre che i paesi membri depositino il 65% delle riserve di moneta estera in Francia. Inoltre, le grandi realtà francesi dei settori energetico e minerario godono di trattamenti privilegiati nello sfruttamento del territorio e nella divisione dei profitti con gli Stati.

La dimensione politico-diplomatica riguarda le pressioni fatte ai Paesi della France Afrique affinché essi sostengano gli interessi nazionali, le posizioni e le dottrine di politica estera francesi in sede internazionale, ad esempio in luogo dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite.

La dimensione ideologica ha riguardato inizialmente il contenimento delle spinte anti-coloniali di liberazione nazionale durante l'epoca della decolonizzazione, in seguito si è concentrata sul contenimento dei movimenti comunisti nel continente foraggiati dall'Unione Sovietica, ed oggi è principalmente focalizzata su due fronti: la competizione con l'Italia per l'egemonia su Libia e Tunisia ed il contenimento dell'espansionismo sinico (politica basata su ricerca ed innovazione, finalizzata a nuove soluzioni ed idee per un mercato dinamico in costante espansione come quello africano), quest'ultimo molto più difficile del primo obiettivo, tanto che nel vocabolario di politologi e geopolitici è entrato a pieno titolo il neologismo "Cinafrica"

Le scomode alleanze con dittatori africani che mirano alla Presidenza a Vita e al diritto ereditario della Presidenza, sono abilmente confuse da Macron grazie a frasi generiche sul rispetto della Carta Africana per la Democrazia, che regola i principi di "governance", i sistemi democratici e le elezioni nel Continente. Macron si impegna a far rispettare questi principi in tutti i Paesi africani. Eppure continua dietro le quinte il sostegno francese a delle dittature come quella controllata dal Joseph Kabila in Congo.

I presidenti africani che hanno modificato la Costituzione per accedere a un terzo, quarto, quinto mandato o che risiedono alla Presidenza illegalmente (come l’ex presidente Pierre Nkurunziza nel Burundi) sono trattati con tutti gli onori dalla Francia che non ha mai messo in discussione la loro legalità, palesemente assente.

Il periodo coloniale diretto è criticato da Macron che lo definisce un sistema violento che ha negato lo statuto di esseri umani alle vittime. Affidando il compito di rivedere il periodo coloniale esclusivamente a storici francesi, Macron afferma di essere pronto ad assumere le responsabilità storiche per guardare con serenità il futuro delle relazioni con l’Africa. Non accenna minimamente la metamorfosi coloniale attuata dal Generale De Gaulle nel dopo guerra. Una metamorfosi che terminò la fase coloniale del controllo diretto e occupazione militare dei territori, per iniziare il colonialismo economico indiretto.

Per quanto riguarda la presenza militare francese in Africa Macron si dice cosciente dei sospetti di interferenza negli affari interni di Paesi sovrani ma afferma che le forze armate francesi in Africa giocano un ruolo fondamentale nella lotta contro il terrorismo, la prevenzione delle crisi e il rafforzamento delle capacità di difesa delle Nazioni africane.

Nessun accenno ai rifornimenti di armi al gruppo terroristico nigeriano Boko Haram intercettati dall’esercito camerunese nel 2015 con l’arresto di sei agenti speciali francesi colti sul fatto.

Nessun accenno al corpo speciale di istruttori presente a Goma, capoluogo della provincia del Nord Kivu, Congo che gestiscono l’addestramento militare, approvvigionamento in armi e consigli su tattiche belliche, tutti servizi offerti al gruppo terroristico ruandese Forze Democratiche di Liberazione del Rwanda (FDLR). Un gruppo terroristico che controlla varie miniere di coltan e oro e responsabile di atrocità inaudite e pulizie etniche all’est del Congo mentre in Burundi sta pianificando l’invasione del Rwanda.

Fin dal 2015 è stato chiaro che la Francia forniva armi perfino al gruppo terroristico nigeriano Boko Haram.

All'indomani di attacchi commessi in Camerun e Ciad da parte degli integralisti islamici di Boko Haram nel marzo 2015, i servizi di sicurezza nigeriani e camerunensi hanno scoperto che gli ordigni utilizzati dai kamikaze erano di fabbricazione francese, e precisamente le granate contenute nelle bombe a grappolo, le famigerate "Beluga".

Gli ordigni a grappolo sono delle testate, utilizzate dall'aviazione, contenenti delle bombe più piccole chiamate appunto sotto munizioni. E sono state proprio queste sotto-munizioni le armi con cui i miliziani di Boko Haram hanno compiuto diversi massacri.

Sulla base di questa scoperta ed in seguito ad indagini sui rifornimenti di armi a Boko Haram furono arrestati in Camerun sei trafficanti francesi "colti sul fatto" mentre stavano fornendo esplosivi a personaggi inequivocabilmente riconducibili a Boko Haram. (Leggi anche "Quelle maledette armi francesi dietro alle stragi di Boko Haram")

Appaiono chiare l'ipocrisia e la doppia faccia dei francesi che, mentre giustificano la loro massiccia presenza militare in Africa con la scusa del terrorismo islamico e la sicurezza, dall'altra forniscono di armi proprio quei gruppi integralisti che destabilizzano paesi a loro "non compiacenti" (come la Nigeria)

Nessun accenno alla alleanza eversiva con Arabia Saudita e Qatar per la promozione del terrorismo salafista in Africa inserito nella strategia della tensione e del caos contro governi africani non più amici.
  • Nessun accenno ai due tentativi di colpo di stato organizzati dalla Francia per distruggere la democrazia in Burkina Faso e re-instaurare al potere il dittatore Compaorè.
  • Nessun accenno alle operazioni segrete dell’esercito francese in Centrafrica per far giungere al potere le milizie mussulmane Seleka successivamente combattute dalla Francia in quanto incontrollabili per poi ritirarsi militarmente lasciando il Paese nel caos.
  • Nessun accenno ai vari crimini sessuali ed esecuzione sommarie compiuti dai soldati francesi in Africa senza alcun problema giudiziario in Patria.
Influenza della Francia in Africa
In Africa sono presenti 10.000 soldati francesi impegnati nei teatri di guerra creati dalla Francia per mantenere il controllo delle risorse naturali. Dal 2014 la Francia sta utilizzando vari gruppi terroristici salafiti attivi in Africa Occidentale per destabilizzare le colonie africane ribelli e potenze economiche come la Nigeria. Il tutto mascherato da lotta contro il terrorismo.

Una politica eversiva applicata in pieno anche in Siria. Macron non accenna minimamente alla Legione Straniera. Un corpo della Armée de terre française che permette di arruolare dei soldati stranieri (vale a dire dei mercenari). Un corpo formato nel 1831 che gode di una indipendenza a livello di reclutamento e operazionale. Un corpo totalmente fuori dal controllo del Parlamento francese che lo rende di fatto un esercito d’oltremare da utilizzare per mantenere la supremazia politica ed economica della Francia in Africa.

Legione Straniera e genocidio Rwanda 1994
La Legione Straniera è formata anche da criminali ricercati che vi trovano rifugio riuscendo a scappare dalla giustizia. Dopo 5 anni di servizio operativo (leggi combattimenti) i criminali stranieri ricevono amnistia e nazionalità francese. Dal 2012 la Legione Straniera arruola anche immigrati clandestini arrestati in Francia. Gli elementi maschi più promettenti ricevono la possibilità di scegliere tra la deportazione nei loro Paesi d’origine e raggiungere la Legione Straniera.

In sintesi la Legione Straniera è un corpo di repressione pura utilizzata dalla Francia per le peggiori operazioni militari al fianco di regimi dittatoriali e genocidari alleati di Parigi.

Nel 1994 in Rwanda la 13° semi-brigata della Legione Straniera, il 2° reggimento straniero di fanteria, il 2° reggimento straniero di paracadutisti e il 6° reggimento straniero del genio hanno partecipato alla Operation Turquoise che aveva un solo obiettivo: quello di proteggere il regime genocidario di Aghate Habyrimna e le milizie Interahamwe responsabili di un milione di morti, per la maggioranza tutsi.

La 13° semi brigata si scontrò direttamente contro l’esercito di liberazione del Fronte Patriottico Rwandase vicino a Cyangugu frontiera con il Congo per proteggere la ritirata dell’esercito genocidario. Fu sconfitta in quanto gli Stati Uniti vietarono categoricamente alla Francia l’uso dell’aviazione militare. Vari soldati francesi sono sospettati di aver partecipato attivamente o tollerato il genocidio compiuto al nord est del Rwanda nel 1994.

Burundi e Rwanda
Troppi crimini si nascondono dietro alle controverse relazioni con i due Paesi africani.

In Burundi la Francia è tra i principali finanziatori del regime dell’ex presidente Nkurunziza, assieme a Cina e Russia. Dopo le prime inappropriate dichiarazioni fatte dal regime nel novembre 2015 a proposito dei suoi piani genocidari contro la minoranza tutsi la Francia è stata costretta a prendere le distanze e a pronunciare condanne formali al regime.

Questa nuova linea non ha impedito la recente offensiva diplomatica di Parigi a favore del regime (contemporanea e parallela a quella di Pechino) per bloccare la richiesta di intervento militare prima dell’irreparabile (il genocidio) sottoposta dal Presidente Donald Trump al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

Non si intravvedono cambiamenti di politica estera nei confronti del Burundi da parte di Macron.

Non dice nulla della consegna di armi e munizioni al regime burundese che sta avvenendo in questi giorni: 1,5 milioni di dollari di armi e munizioni di fabbricazione russa, pagate dalla Francia e spedite, attraverso il Congo. Una consegna che doveva essere tenuta segreta e che ha l’obiettivo di garantire le condizioni militari, alle forze lealiste di Nkurunziza e ai terroristi ruandesi FDLR (quelli che stuprano donne nel Kivu), per poter respingere una eventuale offensiva militare dell’opposizione armata, appoggiata da Washington, Londra, Tel-Aviv e da potenze regionali. Un gesto che potrebbe risultare criminale in quanto si sta fornendo armi ad un regime che, a più riprese, dal 2015 ha reso pubbliche le sue intenzioni (piani genocidari contro la minoranza tutsi)

Nessuno in Rwanda si aspetta dal Presidente francese una chiara ammissione delle responsabilità durante il genocidio: 100 giorni, 1 milione di vittime, 10.000 al giorno

Nonostante che monsieur Macron con ll suo movimento En Marche si sia distinto dal classico spettro politico francese occorre considerare le sue origini. Macron è un socialista, della stessa famiglia politica che preparò minuziosamente, gestì e coprì il genocidio in Rwanda. Non vedo nessuna intenzione da parte di Macron di denunciare i suoi predecessori, qualcuno ancora in vita in Francia lontano da ogni problema giudiziario” afferma il Professore Aggee Shyaka Mugabe docente di scienze politiche presso l’Università del Rwanda ed esperto in ricostruzione post bellica, e Giustizia sui crimini di guerra e contro l’umanità.

Macron ha lanciato critiche sul colonialismo francese in Algeria per attirare i voti del elettorato francese di origine nord africana ma rimane e rimarrà fermo nel ignorare il ruolo della Francia nel genocidio ruandese. Primo perché l’elettorato francese di origine ruandese è insignificante. Secondo perché le complicazioni giuridiche di una eventuale ammissione di colpa sono troppo grandi e incontrollabili per essere gestite bene dal governo Macron senza conseguenze. Il Genocidio a livello giuridico internazionale è un tra i pochi crimini che non vanno in prescrizione

Per la France Afrique è massima priorità attuare un cambiamento di regime in Rwanda installando un governo “amico” poco importa se ancorato o no alla HutuPower. Macron non andrà contro i piani della Cellula Africana del Eliseo.

Piani che identificano come principale attore per riottenere il controllo del Rwanda proprio il gruppo armato ruandese FDLR autore del genocidio del 1994 che ha il quartiere generale politico a qualche centinaia di metri dal Eliseo nonostante che dal 2000 sia stato inserito nella lista delle organizzazioni terroristiche internazionali.

Né tanto meno consegnerà alla giustizia ruandese i genocidari fino ad ora protetti dai vari governi francesi, a partire dalla mente del genocidio 1994: la First Lady Aghate Habirimana. Macron difficilmente avrà il coraggio di rompere con la France Afrique. C’è chi invita alla vigilanza in quanto, storicamente, sono stati proprio i governi socialisti a commettere le peggiori atrocità in Africa e, come ricorda il Professor Mugabe “Macron è un socialista, della stessa famiglia politica che preparò, gestì e coprì il genocidio in Rwanda


Francia, regina dello schiavismo. Dedicato ai razzisti di casa nostra
A quanti lamentano le “invasioni” di migranti bisogna ricordare che i migranti arrivano, in gran parte, da Paesi africani dove, ancora oggi, la Francia, di fatto, esercita un potere pieno e incontrollato.

La Francia di oggi è ancora un Paese colonialista che sfrutta, a tutti i livelli, 14 Paesi africani. Le undici principali componenti del ‘patto di continuazione della colonizzazione’ che risale alla fine degli anni ’50 del secolo passato.

Quando i cronisti di casa nostra ci informano che la maggior parte dei migranti arriva dall’Africa Sub-Sahariana, ci dicono solo la parte finale di una verità orribile e incredibile, che getta infamia su uno dei Paesi più avanzati d’Europa: la Francia, la Francia di Voltaire, di Rousseau, di Ravel, di Monet, di Camus e Sartre.

La Francia che scippa ogni anno alle ex-colonie 500 miliardi di dollari come ristoro delle spese sostenute in quei Paesi durante il periodo coloniale

Si può essere più indegni e schifosi di così? Sì, si può. Quando Sékou Touré della Guinea (o Guinea Konakry) decise, nel 1958, di voler uscire dall'impero coloniale francese, e optò per l’indipendenza del Paese, l'elite coloniale francese a Parigi andò su tutte le furie e, con uno storico gesto, l’amministrazione francese della Guinea distrusse qualsiasi cosa che nel Paese rappresentasse quelli che definivano i vantaggi della colonizzazione francese.

Tremila francesi lasciarono il Paese, prendendo tutte le proprietà e distruggendo qualsiasi cosa che non si muovesse: scuole, ambulatori, immobili dell’amministrazione pubblica furono distrutti; macchine, libri, strumenti degli istituti di ricerca, trattori furono sabotati; i cavalli e le mucche nelle fattorie furono uccisi, e le derrate alimentari nei magazzini furono bruciate o avvelenate. L’obiettivo di questo gesto indegno era quello di mandare un messaggio chiaro a tutte le altre colonie: il costo di rigettare la Francia sarebbe stato molto alto. E ci sono riusciti.

Durante quel turbolento periodo in cui gli africani lottavano per liberarsi dalla colonizzazione europea, la Francia usò ripetutamente molti ex-legionari stranieri per guidare colpi di Stato contro i presidente eletti

Ecco qualche nome che ancora fa inorridire. "Anime Nere" sempre sostenute dai francesi
  • Jean-Bédel Bokassa, un ex soldato francese della legione straniera, che guidò un colpo di stato contro David Dacko, il primo presidente della Repubblica Centrafricana; Bokassa il cannibale, si vantava di mangiare il cuore dei suoi nemici.
  • Yaméogo Aboubacar Sangoulé Lamizana, Alto Volta ora Burkina Faso, un ex legionario francese che combatté con i francesi in Indonesia e Algeria contro le indipendenze di quei Paesi. È stato presidente da gennaio 1966 fino al novembre 1980.
  • Mathieu Kérékou, che era una guardia del corpo del presidente Hubert Maga, il primo presidente della Repubblica del Benin, guidò un colpo di Stato contro il presidente, dopo aver frequentato le scuole militari francesi dal 1968 al 1970. È stato Presidente del Benin dal 1972 al 1991, e poi ancora dal 1996 al 2006.
Negli ultimi 50 anni un totale di 67 colpi di Stato si sono susseguiti in 26 Paesi africani, 16 di questi ultimi sono ex colonie francesi, il che significa che il 61% dei colpi di Stato si sono verificati nell'Africa francofona.

Come dimostrano questi numeri, la Francia è abbastanza disperata ma attiva nel tenere sotto controllo le sue colonie, a qualsiasi prezzo, a qualsiasi condizione.

Senza l’Africa, la Francia scivolerebbe a livello di una potenza del terzo mondo

Il predecessore di Chirac, François Mitterand, già nel 1957, profetizzava che: “Senza l’Africa, la Francia non avrà storia nel 21mo secolo

14 Paesi africani sono costretti dalla Francia, attraverso un patto coloniale, a depositare l’85% delle loro riserve di valute estere nella Banca centrale francese controllata dal ministero delle finanze di Parigi.

Il Togo e altri 13 Paesi africani pagano un debito coloniale alla Francia. I leader africani che rifiutano vengono uccisi o restano vittime di colpi di Stato. Coloro che obbediscono sono sostenuti e ricompensati dalla Francia con stili di vita faraonici mentre le loro popolazioni vivono in estrema povertà e disperazione (È la forma più elefantiaca di ascarismo della Storia).

È chiaro chi sono i migranti, poveri disgraziati tenuti in misera perché la Francia possa vivere al di sopra delle sue possibilità e possa dare lezioni all'Italia? Razzisti e salviniani, che cosa significa aiutarli a casa loro (frase detta ad minchiam)? Significa dichiarare pubblicamente che la Francia è l’abominio dell‘Europa, una Paese colonialista, razzista e schiavista.

La Francia non rinuncerà mai a questo sistema malvagio
Non è affatto disposta a recedere da quel sistema coloniale che muove 500 miliardi di dollari dall'Africa al suo ministero del Tesoro ogni anno.

La verità è questa. La Francia ha accettato soltanto un’“indipendenza sulla carta” per le sue colonie, siglando sotto la minaccia delle armi “Accordi di Cooperazione”, specificando la natura delle loro relazioni con la Francia, in particolare i legami con la moneta coloniale francese (il Franco CFA), il sistema educativo francese, le preferenze militari e commerciali.
Franco CFA: Il paradosso africano della moneta forte in un'economia debole
(Video)


Ecco le 11 principali clausole del patto che le ex-colonie francesi sono stati obbligati a sottoscrivere in cambio dell'indipendenza. Un'indipendenza solo fittizia.

1. Debito coloniale a vantaggio della colonizzazione francese. Siccome i francesi gli hanno fatto un favore, i neo “indipendenti” Paesi pagano per ogni infrastruttura costruita dalla Francia nel Paese durante la colonizzazione.

2. Confisca automatica delle riserve nazionali. I Paesi africani devono depositare le proprie riserve monetarie nazionali nella Banca centrale francese.

La Francia detiene le riserve nazionali di quattordici Paesi africani dal 1961: Benin, Burkina Faso, Guinea-Bissau, Costa d’Avorio, Mali, Niger, Senegal, Togo, Camerun, Repubblica Centrafricana, Ciad, Congo-Brazzaville, Guinea Equatoriale e Gabon.

Non è una coincidenza che i migranti vengano da quei Paesi. Più dell’ 80% delle riserve valutarie straniere di questi Paesi africani sono depositate in “operations accounts” controllati dal Tesoro francese. Le due banche CFA sono africane di nome, ma non hanno una politica monetaria propria. Gli stessi Paesi non sanno, né viene detto loro, quanto del bacino delle riserve valutarie estere detenute presso il ministero del Tesoro a Parigi appartiene a loro come gruppo o individualmente.

Si stima che la Francia detenga all'incirca 500 miliardi di monete provenienti dagli Stati africani, e farebbe qualsiasi cosa per combattere chiunque voglia fare luce su questo lato oscuro del vecchio impero. Gli Stati africani non hanno accesso a quel denaro. L’ex presidente francese Jacques Chirac ha detto: “Dobbiamo essere onesti e riconoscere che una gran parte dei soldi nelle nostre banche provengono dallo sfruttamento del continente africano

3. Diritto di primo rifiuto su qualsiasi materia prima o risorsa naturale scoperta nel Paese. La Francia ha il primo diritto di comprare qualsiasi risorsa naturale trovata nella terra delle sue ex colonie. Solo dopo un “Non sono interessata” della Francia, i Paesi africani hanno il permesso di cercare altri partners.

4. Priorità agli interessi francesi e alle società negli appalti pubblici. Nei contratti governativi, le società francesi devono essere prese in considerazione per prime, e solo dopo, questi Paesi possono guardare altrove.

Non importa se i Paesi africani possono ottenere un miglior servizio ad un prezzo migliore altrove. Di conseguenza, in molte delle ex colonie francesi, tutti i maggiori asset economici dei Paesi sono nelle mani degli espatriati francesi. In Costa d’Avorio, per esempio, le società francesi possiedono e controllano le più importanti utilities, acqua, elettricità, telefoni, trasporti, porti, e le più importanti banche. Lo stesso nel commercio, nelle costruzioni e in agricoltura. Gli africani vivono in un Continente di proprietà degli europei.

5. Diritto esclusivo a fornire equipaggiamento militare e formazione ai quadri militari del Paese. Attraverso un sofisticato schema di borse di studio e “Accordi di Difesa” allegati al Patto Coloniale, gli africani devono inviare i loro quadri militari per la formazione in Francia o in strutture gestite dai francesi. La situazione nel Continente adesso è che la Francia ha formato centinaia, anche migliaia di traditori e li foraggia. Restano dormienti quando non c’è bisogno di loro, e vengono riattivati quando è necessario un colpo di Stato o per qualsiasi altro scopo.

6. Diritto della Francia di inviare le proprie truppe e intervenire militarmente nel Paese per difendere i propri interessi. In base a qualcosa chiamato “Accordi di Difesa” allegati al Patto Coloniale, la Francia ha il diritto di intervenire militarmente negli Stati africani e anche di fare stazionare truppe permanentemente nelle basi e nei presidi militari in quei Paesi, gestiti interamente dai francesi.

7. Obbligo di dichiarare il francese lingua ufficiale del paese e lingua del sistema educativo. Oui, Monsieur. Vous devez parlez français, la langue de Molière! "Sì, signore. Dovete parlare francese, la lingua di Molière". Se il francese è l’unica lingua che parli, hai accesso al solo 4% dell’umanità, del sapere e delle idee. Molto limitante.

8. Obbligo di usare la moneta coloniale francese FCFA. Questa è la vera mucca d’oro della Francia, tuttavia è un sistema talmente malefico che finanche l’Unione Europea lo ha denunciato. La Francia però non è pronta a lasciar perdere il sistema coloniale che inietta all'incirca 500 miliardi di dollari africani nelle sue ‘casse’.

9. Obbligo di inviare in Francia il budget annuale e il report sulle riserve. Senza report, niente soldi.

10. Rinuncia a siglare alleanze militari con qualsiasi paese se non autorizzati dalla Francia. I Paesi africani in genere sono quelli che hanno il minor numero di alleanze militari regionali. La maggior parte dei Paesi ha solo alleanze militari con gli ex-colonizzatori (divertente, ma si può fare di meglio).

11. Obbligo di allearsi con la Francia in caso di guerre o crisi globali. Più di un milione di soldati africani hanno combattuto per sconfiggere il nazismo e il fascismo durante la seconda guerra mondiale.

Ovviamente, il venir meno ad uno soltanto di questi patti comporta reazioni militari sanguinosissime.


C’è qualcosa di psicopatico nel rapporto che la Francia ha con l’Africa


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Articolo di
Maris Davis


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03 dicembre 2018

Decreto Salvini. Tutto ma non sicurezza, ed è anche contro le donne vittime di tratta

A centinaia in strada, senza dimora. Pure i bimbi. È il «decreto sicurezza». Proprio oggi il Presidente della Repubblica lo ha firmato (purtroppo). Adesso è a tutti gli effetti una "legge razziale" di Stato, una vergogna per il Bel Paese sul quale adesso calano le ombre nere della discriminazione.


Sulla pelle dei poveri del mondo. È iniziata la fase 2 della strategia Salvini. Prima strombazzare un'emergenza che non c'è, poi crearla ad arte sbattendo per strada da un giorno all'altro persone con regolare permesso umanitario

Una norma cattiva e parole al vento. Il presepe vivente e il Natale alle porte
Il presepe di cui qui si parla è vivente. Loro sono giovanissimi: Giuseppe (Yousuf), Fede (Faith) e la loro creatura. Che è già nata, è una bimba e ha appena cinque mesi. Giuseppe viene dal Ghana, Fede è nigeriana, entrambi godono, è questo il verbo tecnico, della «protezione umanitaria» accordata dalla Repubblica Italiana. Ora stanno godendo di questa protezione umanitaria in mezzo a una strada.

Una strada che comincia appena fuori di un Cara calabrese e che, senza passare da nessuna casa, porta dritto sino al Natale. Il Natale di Gesù: uno che se ne intende di povertà e grandezza, di folle adoranti e masse furenti, di ascolto e di rifiuto, del "" che tutto accoglie e tutti salva e dei "no" che si fanno prima porte sbattute in faccia e poi chiodi di croce.

Giuseppe e Fede solo stati abbandonati, con la loro creatura, sulla strada che porta al Natale e, poi, non si sa dove. Sono parte di un nuovo popolo di "scartati", che sta andando a cercare riparo ai bordi delle vie e delle piazze, delle città e dell’ordine costituito, ingrossando le file dei senza niente.

Sono i senza più niente. Avevano trovato timbri ufficiali e un "luogo" che si chiama Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) su cui contare per essere inclusi legalmente nella società italiana, apprendendo la nostra lingua, valorizzando le proprie competenze, studiando per imparare cose nuove e utili a se stessi e al Paese che li stava accogliendo.

Adesso quel luogo non li riguarda più. I "rifugiati" , i "protetti" no. E a loro non resta che la strada, una strada senza libertà vera, e gli incontri che la strada sempre offre e qualche volta impone: persone perbene e persone permale, mani tese a dare e a carezzare e mani tese a prendere e a picchiare, indifferenza o solidarietà.

Si può essere certi che il ministro dell’Interno, come i parlamentari che hanno votato e convertito in legge il suo decreto su sicurezza e immigrazione, non ce l’avesse con Giuseppe, Fede e la loro bimba di cinque mesi. Ma è un fatto: tutti insieme se la sono presa anche con loro tre, e con tutti gli altri che il Sistema sta scaricando fuori dalla porta. Viene voglia di chiamarla "la Legge della strada". Che come si sa è dura, persino feroce, non sopporta i deboli e, darwinianamente, li elimina. È un fatto: la nuova "Legge della strada" già comanda sulla vita di centinaia di persone che diverranno migliaia e poi decine di migliaia. Proprio come avevamo avvertito che sarebbe accaduto, passando per buonisti e allarmisti.

Eccolo allora, davanti ai nostri occhi, il presepe vivente del Natale 2018. Allestito in una fabbrica dell’illegalità costruita a suon di norme e di commi. Campane senza gioia, fatte suonare per persone, e famiglie, alle quali resta per tetto e per letto un misero foglio di carta, che ironicamente e ormai vuotamente le definisce meritevoli di «protezione umanitaria». Ma quelle campane tristi suonano anche per noi.

E per favore, chi ha votato la "Legge della strada" ci risparmi almeno parole al vento e ai social sullo spirito del Natale, sul presepe e sul nome di Gesù. Prima di nominarlo, Lui, bisogna riconoscerlo

La denuncia della Comunità di Sant'Egidio
«A Catania stanno facendo dimissioni a tutto spiano, anche di donne vulnerabili con bambini piccoli o con problemi psichici. Sono una marea, arrivano anche da altri Cas siciliani»


No, non sono uscite programmate né fisiologiche dai Cara. Se non è già emergenza, manca poco. Segnalazioni di allontanamenti dai centri di accoglienza arrivano da varie città. Situazione analoga a quella di Isola di Capo Rizzuto, nel Crotonese, è vissuta nel Cara di Mineo, come segnala la Comunità di Sant’Egidio di Catania. «Sono stati mandati via in 50 con la protezione umanitaria. E sono solo i primi. Stanno consegnando i permessi di soggiorno e se ne devono andare. Così la città si sta riempiendo di gente che vive per strada. Ce ne accorgiamo la sera quando portiamo la cena ai senza dimora. Sono una marea. Vengono anche da altri Cas della Sicilia orientale. Stanno facendo dimissioni a tutto spiano, anche di donne vulnerabili con bambini piccoli o con problemi psichici»

Ad Aversa (provincia di Caserta) c’è la fila davanti allo sportello dell’Ufficio immigrazione diocesano. Decine gli immigrati fatti uscire dai Cas della provincia di Caserta. Anche a Rieti e Latina i centri stanno applicando il decreto sicurezza, su invito delle prefetture. Molti uomini e donne per strada mentre altri hanno raggiunto Roma dove, almeno per ora, la situazione appare meno drammatica.

Crotone, migranti espulsi dal Cara bivaccano davanti alla stazione

A Crotone (in Calabria) ci sono i due volti del dramma. Da un lato l’allontanamento di migranti di ogni età, situazione familiare e quadro clinico, dal Centro d’accoglienza richiedenti asilo uno dei più grandi d’Italia e tra i più grandi d’Europa coi suoi 1.216 posti. Dall'altro la risposta fondamentale di Caritas, Croce Rossa, cooperative e altre realtà laiche e cattoliche.

Assieme alla giovane africana incinta di tre mesi messa al cancello venerdì pomeriggio col marito e la figlia di cinque mesi, in libera uscita due donne vittime di tratta, un paio di ragazzi con problemi psichiatrici e molti altri.

Sono 24 (solo a Crotone) ma altri subiranno la stessa sorte nei prossimi giorni. Cento, forse il doppio, e forse già domani. Alcuni giovani che avevano inscenato un sit-in nel Cara rifiutando di abbandonare la struttura, sono stati trasportati in pullman alla stazione ferroviaria, e scaricati lì. In base a quanto stabilisce il “decreto sicurezza” d'altronde i destinatari di questi provvedimenti, pur avendo diritto a stare in Italia, dopo il primo periodo nei Cara non possono beneficiare di quello all'accoglienza di secondo livello nel sistema Sprar.

Ragazze nigeriane vittime di tratta

Centinaia e centinaia di donne e ragazze nigeriane, vittime di tratta, ora accolte in case protette, centri Sprar e di accoglienza, che avevano intrapreso la via del riscatto, ora rischiano di ricadere nelle mani dei loro sfruttatori

Ancora da definire la destinazione di centinaia di donne vittime di tratta, soprattutto nigeriane, per ora accolte dalla Croce Rossa. Buttate in strada anche le giovani nigeriane che avevano denunciato i loro sfruttatori ottenendo la "protezione umanitaria". Vittime due volte, prima dei loro sfruttatori e adesso di quello Stato che aveva promesso di proteggerle. Saranno facile prede di sfruttatori e magnaccia.

In prima linea c’è il direttore della Caritas diocesana, don Rino Le Pera: «Si ritrovano in mezzo alla strada, dovendo sopravvivere in qualche maniera. Invisibili, non clandestini», sottolinea don Rino che si sente impotente perché al di là dell’assistenza garantita con la mensa dei poveri e il camper di strada che ogni notte gira per Crotone e l’hinterland offrendo aiuto, la Caritas non riesce a fare di più. Oltre alla parrocchia che accoglierà una famiglia, altre associazioni hanno messo a disposizione locali. Ma non basta, soprattutto nel lungo periodo. Il vescovo di Crotone-Santa Severina, Domenico Graziani, ha invitato a rispondere al problema «con il Vangelo in mano», lo stesso su cui aveva giurato il ruspante ministro dell'interno e oggi mente ideologica di una "legge razziale"

Quarantamila migranti saranno costretti a vivere per strada. Anche se titolari di protezione umanitaria. In questo modo Salvini alimenta la paura che gli porta consenso. Sulla pelle degli ultimi.
Che fine ha fatto il Vangelo che agitava in campagna elettorale?

Secondo la Lega crotonese invece non c’è stata nessuna espulsione. «In esecuzione a una normativa antecedente al “decreto Salvini” 24 migranti nigeriani e nigeriane (e non saranno i soli) dopo la permanenza per alcuni giorni nell’hub regionale di Isola Capo Rizzuto per l’espletamento dell’istruttoria volta ad ottenere il permesso di soggiorno, ottenutolo "per motivi umanitari" e non avendo motivo ulteriore di permanere, sono stati invitati a lasciare la struttura»

Ma non è così che si tutela la sicurezza

Macché sicurezza, questo decreto è anche contro le donne
Donne incinta o con bimbi nati da stupri buttate in mezzo a una strada. Si iniziano a vedere gli effetti deleteri del decreto Salvini

Ci siamo. Gli effetti deleteri del Decreto Sicurezza cominciano a vedersi in questi giorni, e le donne incinte o con bimbi nati da stupri buttate letteralmente in mezzo a una strada smascherano definitivamente quell'apparente schierarsi al fianco delle donne con provvedimenti roboanti quanto elusivi tipo il Codice rosso, che di fatto interviene su misure già ampiamente previste dal Codice ma disapplicate nei fatti, e non tocca invece il meccanismo della rivittimizzazione secondaria che rende i processi una nuova violenza per le donne che hanno osato denunciare.

Anziché far funzionare le misure esistenti, costruite anche di concerto con le organizzazioni che da anni lavorano sulla violenza contro le donne, e semmai migliorarle nei punti critici che tali organizzazioni hanno evidenziato, si fa un’operazione di maquillage a beneficio esclusivo di propaganda elettorale.

Nel contempo si interviene, qui sì concretamente, rendendo la vita di tutti e in particolare quella delle donne migranti un inferno che non rispetta nemmeno i più basilari diritti umani, per non parlare dei principi costituzionali.

Un’Italia fatta di cittadini di serie A, nati da genitori italiani e possibilmente esclusivamente bianchi, e cittadini di serie B, la cui cittadinanza acquisita è un requisito condizionato e privo delle garanzie e tutele che uno stato deve a ogni essere umano residente sul proprio territorio.

Residente, appunto
Ma da qualche giorno chi arriva nel nostro paese come richiedente asilo non ha più il diritto e la possibilità di avere un indirizzo di residenza, nemmeno presso le strutture di accoglienza. Decine di migliaia di persone, uomini, donne, spesso con i loro bambini, a cui viene riconosciuto un solo diritto: quello di chiedere asilo. Ma che dovrebbero essere invisibili e disincarnati, così da non “pesare” in alcun modo sul sistema Italia.

Questa misura inclusa nel Decreto Sicurezza è gravissima nei confronti di tutti, in particolare delle donne richiedenti asilo, spesso vittime di tratta, che nei centri anti-violenza hanno finora trovato un sostegno concreto per dare una svolta alla propria vita.


Non resteremo in silenzio di fronte a tutto questo
Ci opporremo al tentativo di riportare le donne a una funzione ancillare, domestica e subordinata al potere maschile.

Ci opporremo a una ideologia fascista che si insinua in tutti i provvedimenti di questo governo a cominciare dalle misure volte a privare di risorse le organizzazioni del terzo settore per ridurne la capacità di azione e di critica.

Ci opporremo ad un approccio securitario e di controllo sociale imposto a colpi di teaser e porto d’armi agevolato, dimenticando che le donne sono le prime vittime delle armi da fuoco quando queste entrano in casa.

La marea che ha attraversato le strade di Roma il 24 novembre scorso, le migliaia di persone in piazza il 10 novembre per dire un sonoro NO al disegno di legge Pillon (affido condiviso dei figli con buona pace del coniuge economicamente più debole, la donna) sono solo i primi passi di una mobilitazione che, come ribadito insieme al movimento Non una di meno, sarà permanente.

Ci saremo sempre. E non siamo sole. Anzi. Siamo una marea crescente e decisa a difendere i valori e principi iscritti nella Costituzione e vilmente calpestati da questo governo.
(Maris)




Articolo di
Maris Davis


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01 dicembre 2018

HIV e AIDS. Allarme Unicef, ogni due minuti un adolescente contagiato

Primo dicembre, giornata mondiale dell'Aids. Pochi i bambini dei paesi in via di sviluppo curati per il virus. Quattromila i nuovi contagi ogni anno in Italia.


Sono 35,3 milioni le persone che convivono con l'HIV in tutto il mondo, e tra questi circa 3,3 milioni sono minori sotto i 15 anni. Tra le giovani donne il rischio più alto.

Tre milioni di bambini e adolescenti sieropositivi, e ogni giorno si contagiano quasi 700 adolescenti tra i 10 e 19 anni, uno ogni due minuti. Anche se entro il 2030 il numero di nuovi contagi da Hiv tra i bambini sotto i dieci anni sarà dimezzato, quello tra gli adolescenti calerà solo del 29%. Progressi che avanzano troppo lentamente. La denuncia è dell'Unicef nel rapporto "Bambini, Hiv e Aids: il mondo nel 2030"

Da qui al 2030, secondo le stime, circa 360.000 adolescenti moriranno per malattie collegate all'Aids, cioè 76 ogni giorno, senza ulteriori investimenti nei programmi di prevenzione, diagnosi e cura dell'Hiv. Sulla base di previsioni sulla popolazione e secondo i trend attuali, il numero di nuovi contagi da Hiv tra bambini e giovani tra 0 e 19 anni nel 2030 raggiungerà circa i 270.000 casi, con un calo di un terzo rispetto alle stime attuali, mentre il numero di bambini e adolescenti che muore per cause collegate all'Aids scenderà dai 119.000 attuali a 56.000 nel 2030.

"Il rapporto mostra chiaramente che il mondo non è sulla strada giusta quando si tratta di porre fine all'Aids tra i bambini e gli adolescenti entro il 2030"

"I programmi per prevenire la trasmissione dell'Hiv materno-infantile stanno dando i loro frutti, ma non è ancora abbastanza, mentre i programmi per curare il virus e prevenirne la diffusione tra i ragazzi più grandi non si sono avvicinati al punto in cui si dovrebbero trovare". Per rispondere a queste mancanze, il rapporto raccomanda test incentrati sulla famiglia che aiutino a indentificare e curare i bambini sieropositivi ancora non diagnosticati, migliorare la diagnosi precoce tra i neonati, servizi a misura di adolescente e azioni comuni focalizzate sugli adolescenti.

E intanto Medici Senza Frontiere lancia l'allarme sulla bassa copertura terapeutica tra i bambini affetti da HIV, con solo il 52% dei bambini sieropositivi sotto trattamento nel 2017. Nel corso dello scorso anno le malattie legate all'AIDS hanno ucciso 110.000 bambini in tutto il mondo.


I Paesi in via di sviluppo hanno difficoltà a fornire ai bambini sieropositivi i trattamenti raccomandati dall'OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) poiché le versioni pediatriche di questi farmaci non sono disponibili laddove ce ne sarebbe bisogno. "L'HIV pediatrico rimane una malattia trascurata. Essendo il mercato dei farmaci pediatrici limitato. Questi non sono mai stati una priorità per le multinazionali farmaceutiche o per i produttori di generici. Nonostante le promesse, pochi passi vengono fatti per sviluppare nuove formulazioni di farmaci pediatrici e potenziare quelle esistenti"

Per molti anni la comunità internazionale ha assistito, con senso di frustrazione, all'espansione inarrestabile della pandemia da HIV-AIDS, soprattutto nell'Africa Sub-Sahariana.

In questi anni l'UNICEF e molte altre organizzazioni umanitarie hanno profuso un impegno ininterrotto nei programmi per la prevenzione del contagio, l'espansione dell'accesso alle terapie e per misure di protezione sociale per le persone malate. Sono dunque da accogliere con entusiasmo i dati che rivelano, pur tra luci e ombre, il chiaro segno di una inversione di tendenza nella pandemia.

HIV e adolescenti. I dati (fonte Unicef)
  • Secondo le ultime stime disponibili, sono 35,3 milioni le persone che convivono con l'HIV in tutto il mondo: circa 3,3 milioni di esse sono minori sotto i 15 anni.
  • Globalmente il numero dei nuovi contagi continuerebbe a diminuire: nel corso del 2012 sarebbero stati circa 2,3 milioni i nuovi contagi da HIV; una riduzione del 33% rispetto ai 3,4 milioni del 2001. In particolare nel 2012 i nuovi contagi tra minori di 15 anni nei paesi a basso e medio reddito sarebbero scesi a 260.000: una riduzione di oltre il 50% rispetto alle cifre del 2001.
  • Nel 2012 9,7 milioni di persone nei Paesi a basso e medio reddito hanno avuto accesso a terapie anti-retro-virali (ARV): ciò significa circa il 60% delle persone bisognose di cure in base alle Linee Guida 2010 dell’Organizzazione Mondiale della Sanità ed il 34% delle persone bisognose di cure in base alle Linee Guida 2013 della medesima Organizzazione.
  • 1,6 milioni le morti per cause riconducibili all’AIDS nel 2012 a fronte dei 2,3 milioni del 2005.
  • I minorenni sieropositivi continuano a riscontrare persistenti diseguaglianze rispetto agli adulti nell'accesso alle cure: nel 2012 647.000 bambini al di sotto dei 15 anni hanno beneficiato di terapie anti-retro-virali ovvero il 14% in più rispetto al 2011. Avendo come riferimento le Linee Guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità del 2010, la copertura delle cure anti-retro-virali per i bambini sieropositivi che ne avevano bisogno risulta dimezzata rispetto alla copertura assicurata agli adulti.
  • Dal 2004 le morti riconducibili alla tubercolosi tra le persone sieropositive sono diminuite del 36% in tutto il mondo; la tubercolosi rimane la principale causa di morte tra le persone sieropositive.
  • Nel 2012 su una stima di circa 1,5 milioni di donne sieropositive in stato di gravidanza in Paesi a basso o medio reddito, circa il 62% (ovvero circa 900.000) ha avuto accesso a farmaci anti-retro-virali nel 2012 e in molti Paesi la copertura ha superato livelli dell’80%.
  • Si stima che nel 2012 il numero di minorenni morti per malattie riconducibili all’AIDS sia stato pari a 210.000 unità.
  • Senza cure, 1/3 dei bambini sieropositivi morirà prima di aver compiuto un anno, mentre la metà morirà prima del secondo compleanno.
  • Sarebbero 17,8 milioni nel mondo i minorenni che hanno perso uno o entrambi i genitori a causa dell’AIDS, l’85% dei quali vive in Africa Sub-Sahariana.
  • Sono stati 850.000 i nuovi contagi tra minori di 15 anni prevenuti tra il 2005 e il 2012 nei Paesi a basso e medio reddito.
  • Nel 2012 sono stati circa 300.000 i nuovi contagi avvenuti tra gli adolescenti (10-19 anni); circa i 2/3 dei nuovi contagi tra gli adolescenti tra i 15 e i 19 anni sono avvenuti tra le ragazze.
  • Nel 2012 sono stati 2,1 milioni gli adolescenti (10-19 anni) sieropositivi, oltre l’80% dei quali vive in Africa Sub-Sahariana.
  • Quattro dei 22 Paesi individuati come prioritari dal Piano Globale, Botswana, Ghana, Namibia e Zambia, hanno già raggiunto l’obiettivo del 90% di copertura della terapia anti-retro-virale per la prevenzione della trasmissione dell’HIV da madre a figlio. Mozambico, Sudafrica, Swaziland e Zimbabwe sono vicini a raggiungerlo.
  • Fare la cosa giusta al momento giusto potrebbe evitare 2 milioni di nuovi contagi tra gli adolescenti (10-19 anni) entro il 2020.
  • Globalmente il numero di decessi per cause riconducibili all'AIDS è diminuito del 30% tra il 2005 e il 2012, ma è invece aumentato del 50% tra gli adolescenti (10-19 anni).
  • Metà dei nuovi casi di contagio da HIV nei bambini avviene durante il periodo d’allattamento al seno quando la maggior parte delle donne in allattamento non sta ricevendo le cure necessarie a prevenire la trasmissione dell’HIV.

Rischio Aids. Nigeriane costrette a prostituirsi e clienti
In Nigeria le malattie correlate all'HIV sono la prima causa di morte, e molte delle ragazze nigeriane che sono arrivate in Italia clandestinamente non sanno avere la malattia.

Il contagio però, nella maggior parte dei casi, NON è avvenuto in Nigeria ma durante in viaggio, in Libia soprattutto, a causa degli stupri o a rapporti sessuali forzati a cui vengono sottoposte le donne durante i lunghi mesi di permanenza in Libia. Spesso queste ragazze vengono costrette a prostituirsi nelle connection-house libiche e il rischio di contagio è molto alto.

Tutti i migranti al momento dello sbarco vengono sottoposti a profilassi sanitaria e, soprattutto per le donne, viene effettuato anche il test HIV.

Tra le nigeriane una su 50 è risultata essere sieropositiva al momento dello sbarco (circa 400 casi negli ultimi tre anni)

Secondo uno studio di Anlaids (Associazione Nazionale per la Lotta contro l'Aids) sulla prevenzione che ha posto l'attenzione proprio sui migranti, non perché veicolo di malattie infettive, ma perché più vulnerabile, il 50% dei migranti risultati essere siero-positivi ha contratto la malattia proprio in Italia. Un percentuale che arriva al 90% tra le donne nigeriane costrette a prostituirsi.

Come spiegare questi dati. Ciò è dovuto alle difficili condizioni cui i migranti sono sottoposti durante il viaggio, la permanenza in Libia e una volta arrivati in Italia. Si aggiunge poi, per le donne, il problema della prostituzione: cui spesso sono costrette.

«Questi dati sono molto forti, specialmente se collegati ad un altro dato che mostra come la permanenza in Libia aumenti di almeno quattro volte il rischio di infezione da Hiv, soprattutto nella popolazione femminile. Violenze, torture e ripetuti abusi sessuali sono un grande problema per quanto riguarda il contagio»

Secondo i dati del Piano Nazionale Aids approvato un anno fa, gli stranieri regolarmente residenti in Italia sono poco più di cinque milioni: circa l’otto per cento della popolazione totale residente in Italia. Di questi, il 52,4 per cento proviene dall’Europa, il 20,5 per cento dall’Africa, il 19,3 per cento dall’Asia ed il 7,7 per cento dall’America. A questi va aggiunta una quota di immigrati regolari non iscritti all'anagrafe e una quota, attualmente difficilmente stimabile, di irregolari.

Roma, volontaria della Croce Rossa sottopone una prostituta nigeriana al test HIV

L’incidenza di nuove diagnosi di infezione da Hiv, pur se diminuita negli anni, è circa quattro volte più alta tra gli stranieri rispetto agli italiani. Oltre sei migranti su dieci acquisiscono l’infezione con rapporti eterosessuali. Di questi, i due terzi sono donne.

I clienti delle prostitute pretendono prestazioni sessuali sempre diverse e sempre più a rischio

Si pretende un rapporto senza preservativo, si fanno video della propria prestazione sessuale per pubblicarlo nei siti porno, e questo deve essere senza preservativo perché sia visto da un maggior numero di persone. Ragazze che accettano rapporti sessuali di gruppo (con più clienti in una sola volta) o prostitute invitate e veri e proprio festini porno, anche tra donne.

Soprattutto le ragazze nigeriane accettano questi comportamenti, pur consapevoli del rischio che corrono, per finire di pagare il "debito del viaggio" ai loro sfruttatori il prima possibile.

Come ha dimostrato lo studio di Anlaids sono proprio i clienti che veicolano il virus dell'HIV tra le prostitute

Spesso inconsapevoli di essere siero-positivi, continuano a "girare" di ragazza in ragazza pretendendo per qualche decina di euro in più un "rapporto a rischio". Virus che poi viene trasmesso anche al partner istituzionale, moglie o fidanzata.

In Italia ci sono 9 milioni di clienti di prostitute. Tra questi solo il 40% ha frequentato una stessa prostituta almeno una volta (nel senso che lo ha fatto sempre con la stessa ragazza), ma c'è anche una percentuale molto alta, circa la metà, che lo fa spesso e con ragazze diverse.

È doveroso, direi obbligatorio, per questa tipologia di clienti sottoporsi con regolarità al test dell'HIV




Articolo di
Maris Davis


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In Nigeria non si può più essere cristiani

Bambini e neonati uccisi, donne e disabili massacrati, case incendiate. Racconto della strage di Natale per mano dei pastori...