Nel 2018 la Repubblica Democratica del Congo farà tremare di nuovo l’Africa.
L’arroccamento del presidente Kabila al potere alimenta la deriva politica e umanitaria. E nel 2018, segnato dalla corsa verso il voto fin qui negato, l’instabilità del Paese può innescare una nuova “mega-crisi nel continente”. Gli esperti avvertono.
«La crescente instabilità politica e la gigantesca crisi umanitaria nella Repubblica Democratica del Congo nel 2018 daranno origine a una mega-crisi nel continente africano»
La previsione è di Ulrika Blom, direttrice del Consiglio norvegese per i rifugiati nella Repubblica Democratica del Congo, che ha lanciato l’allarme sulla deriva della crisi politica e umanitaria, che sta minando la nazione dei Grandi Laghi.
Un avvertimento sostenuto anche dal rapporto diffuso dai ricercatori del Centro di monitoraggio dei trasferimenti forzati interni (Idmc), da cui emerge che è il Congo-Kinshasa è il Paese con il maggior numero di sfollati interni e supera tutte le altre emergenze in corso a livello mondiale.
L’infausto primato è il risultato della brutale ondata di violenza iniziata nel 2016, che solo nel 2017 ha costretto oltre 1,7 milioni di persone a lasciare le proprie case (una media quotidiana di oltre 5.500 persone) e che secondo gli analisti è stata alimentata dalla crisi politica in atto nel Paese, generata dalla decisione del presidente Joseph Kabila di rimanere in carica anche dopo la fine del suo secondo mandato, ormai un anno fa.
Una decisione che ha suscitato proteste anche nell'ultimo giorno del 2017, quando, stando a fonti Onu sentite dall'Afp, gli scontri tra manifestanti e forze di polizia hanno portato alla morte di sette persone a Kinshasa e una a Kananga. Una crisi crescente e incontrollata continuata, soprattutto nella regione del Kananga, per tutto il mese di gennaio. Le stesse Nazioni Unite e le organizzazioni umanitarie li hanno definiti crimini contro l'umanità, uccisioni, assalti ai villaggi, e soprattutto violenze e stupri di massa compiuti sia fa fazioni di oppositori, milizie armate e lo stesso esercito regolare. Le morti e le uccisioni potrebbero essere ormai centinaia.
Una lunga empasse politica
La sua ostinazione nel restare incollato alla poltrona ha trascinato l’ex colonia belga nell'empasse politica e ha contribuito al rallentamento dell’economia e all'aumento dell’inflazione, che ha provocato un vertiginoso aumento dei prezzi dei prodotti alimentari, rendendo ai congolesi sempre più difficile assicurarsi la sussistenza.
Kabila è salito al potere della Repubblica Democratica del Congo nel 2001 senza essere eletto, all'indomani dell’assassinio di suo padre, Laurent-Désiré Kabila, avvenuto il 16 gennaio 2001. In seguito, ha vinto le elezioni nel 2006 e nel 2011. Poi nel rispetto della Costituzione, che non permette di ricandidarsi per un terzo mandato, avrebbe dovuto lasciare il suo incarico il 20 dicembre 2016.
Tuttavia, Kabila sta continuando a governare adducendo ragioni di sicurezza, dovute alle rivolte interne nelle province orientali del Congo e nella regione del Gran Kasai, quest’ultima innescata proprio dal suo rifiuto di andarsene. Oltre a paventare la minaccia del terrorismo e i rischi dell’aggravamento della crisi economica, Kabila ha prima dichiarato di voler cambiare la Costituzione per poi rigettare ogni forma di trattativa.
Le sue macchinazioni politiche finora gli hanno consentito di restare in carica almeno sino al gennaio 2019, dopo che in spregio dell’Accordo di San Silvestro (siglato il 31 dicembre 2016), che prevedeva la convocazione di nuove elezioni entro la fine di quest’anno, lo scorso 8 novembre, ha stabilito che non si andrà al voto prima del 23 dicembre 2018. Le elezioni locali, invece, sono state fissate per il settembre 2019, garantendo così al suo blocco politico di restare al potere per almeno altri due anni.
In questo modo, Kabila avrà tutto il tempo necessario per escogitare altre soluzioni che gli consentano di continuare a esercitare il controllo sul Congo, dove la corruzione e il malaffare legato al suo clan continuano a farla da padroni, come dimostra un’inchiesta realizzata nel dicembre 2016 da Bloomberg Businessweek.
Dall’indagine, emerge che il presidente non vuole lasciare il potere per non rinunciare a un incarico che ha permesso a lui e alla sua famiglia di controllare le principali ricchezze del Paese, che comprendono l’estrazione di minerali, l’allevamento, la costruzione di strade e di altre infrastrutture.
Un’ulteriore conferma di quanto appurato un anno fa dal settimanale economico statunitense giunge da un’altra recente inchiesta realizzata dalla Ong britannica Global Witness attraverso l’analisi dei dati dell’Extractive Industries Transparency Initiative (EITI), dai quali emerge che un fiume di denaro proveniente dal settore minerario, si è disperso all'interno di una vasta rete corruttiva legata al presidente congolese.
Leggendo il rapporto appare evidente che detenere il potere in Congo, significa gestire affari miliardari con le multinazionali e i Paesi affamati di materie prime. Anche questo spiega perché Kabila non ha rispettato l’accordo di San Silvestro e continua ostinatamente a calpestare la Costituzione, che da più di un anno impone la sua presenza al potere.
Nel frattempo, l’uomo forte di Kinshasa continua a restare indifferente alle vibranti proteste delle opposizioni, alla povertà e agli squilibri sociali che attanagliano il suo Paese, relegato al 176esimo posto su 188, nella graduatoria mondiale dell’indice di sviluppo umano redatta annualmente dalle Nazioni Unite.
Senza dimenticare, che in 57 anni d’indipendenza il Congo è stato condizionato da guerre civili, carestie ed efferate razzie compiute contro la popolazione. In tutto questo tempo, la nazione dell’Africa centrale è stata teatro di ripetuti colpi di stato, che hanno portato al potere tiranni del calibro del colonnello Mobutu Sese Seko, che per 36 lunghi anni ha instaurato una dittatura cleptocratica nel Paese.
Ma soprattutto, da quando ha ottenuto l’indipendenza il Congo non ha mai conosciuto una pace stabile e tra il 1997 e il 2003 è stato teatro di un conflitto passato alla storia come la “prima guerra mondiale africana”, che vide coinvolte otto nazioni africane e 25 gruppi armati, molti dei quali attivi ancora oggi nelle regioni minerarie del Kivu.
Ciò che sta accadendo nella Repubblica Democratica del Congo è una lunga serie di orrori dimenticati dal grande circuito mediatico del mondo occidentale. Oggi, in quel grande paese africano martoriato da sempre da guerre civili e violenze, c'è il più grande numero di profughi al mondo. Ma ancora nessuno se ne accorto, oppure ha fatto finta di non vedere. Il suo presidente, Joseph Kabila, arroccato al potere al di fuori della Costituzione, si interessa di più alle ricche miniere di minerali preziosi che alle sorti del suo popolo. Ma è una situazione che potrebbe presto esplodere coinvolgendo l'intero continente africano. |
Articolo a cura di
Maris Davis
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