Il sistema non è preparato ad accogliere le vittime di "trafficking". Lo denuncia l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, che in un report racconta le violenze subite lungo le rotte migratorie. La preoccupazione di associazioni ed ex-vittime.
Quello della tratta è un fenomeno in "crescita esponenziale" anche sul territorio italiano, tanto che la situazione "rischia di essere fuori controllo". Il campanello d’allarme è stato suonato da OIM, Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, in occasione della Giornata Europea contro la Tratta, celebrata lo scorso 18 ottobre. "Sono sempre di più le vittime, mentre manca un’identificazione accurata, e i posti per accogliere chi è ricattato delle organizzazioni criminali sono del tutto insufficienti"
Violenze "affini" a quelle della tratta. A preoccupare l'OIM, che gestisce programmi di ritorno volontario e assistenza ai migranti in quasi tutto il mondo, sono anche quelle situazioni di violenza e abuso a cui è esposta la maggior parte delle persone che arrivano in Italia via mare, transitando da Egitto, Libia e dai paesi del Maghreb. Secondo un report dell’organizzazione, presentato in occasione della Giornata contro la Tratta, e basato su novemila interviste realizzate in 10 mesi, il 71 per cento di queste persone subisce infatti "pratiche affini a quelle della tratta", ovvero detenzioni arbitrarie, rapimenti a scopo estorsivo, lavoro forzato o non pagato e offerta di soldi in cambio di sangue o organi.
Situazioni para-schiavistiche. I più esposti sono, sottolinea il rapporto, i cittadini dell’Africa occidentale, provenienti in gran parte da Nigeria, Senegal, Gambia, Guinea Conakry, Costa D’Avorio e Mali. Spesso giovanissimi, fra il 18 e 25 anni, si imbattono in gruppi criminali in Niger, Libia ed Algeria, paesi di transito verso l’Italia e l’Europa. La lunga durata dei viaggi, che nel 35 per cento dei casi superano i sei mesi, rende più probabile il trovarsi in situazioni para-schiavistiche, tanto che queste pratiche sono, secondo l'OIM, "di una dimensione e frequenza estremamente preoccupante"
Sempre più donne nigeriane in Italia. Se chi ha subito violenze in queste rotte andrebbe assistito, attenzione ancora maggiore andrebbe dedicata alle vittime della tratta, ovvero a chi viene mantenuto in uno stato di assoggettamento fisico e psicologico anche una volta arrivato sul territorio italiano. Parliamo, in gran parte, di donne sfruttate a scopo sessuale. Sempre OIM denunciava lo scorso agosto la crescita, all'interno dei flussi di persone in arrivo dalla Libia, di donne nigeriane. 4.600 nei primi nove mesi del 2016, l’80 per cento delle quali è nelle mani di network criminali organizzatissimi e capaci di intercettarle anche nei centri di prima accoglienza, in tutta la penisola. Moltissime sono ragazzine, quasi bambine.
Un sistema già sovraccarico. All'allarme lanciato da OIM hanno fatto eco le voci delle organizzazioni che lavorano contro la tratta in Italia. "La recentissima adozione del Piano Nazionale Anti-tratta fa ben sperare, ma l’accoglienza delle ragazze nigeriane non può ricadere su un sistema già sovraccarico". Le risorse insomma sono state stanziate, sono 15 milioni di euro per 28 progetti di accoglienza nei prossimi 15 mesi, ma non coprono tutto il territorio nazionale e, se non saranno affiancate da fondi per il contrasto e per le indagini da parte delle forze di polizia, rischiano di avere un’efficacia limitata.
Network criminali e ruolo delle ex-vittime. Va soprattutto considerato che "ci si trova di fronte a gruppi criminali che hanno risorse enormi e strategie ben oliate, e dunque inattaccabili senza una contro-strategia". Altro elemento critico è il coinvolgimento delle stesse vittime e delle donne sopravvissute allo sfruttamento nei percorsi di protezione.
Per Isoke Aikpitanyi, sopravvissuta ad anni di violenze e oggi animatrice di “Le Ragazze di Benin City”, una rete di ex-vittime, “le politiche contro la tratta hanno bisogno di un grande rinnovamento, superando la burocrazia dei bandi, che non premiano l’innovazione e l’apertura a nuovi soggetti”. Non sarebbe insomma solo questione di fondi, ma anche di approccio.
Favour, Lilian, io stessa, e tante altre. Troppe donne vittime e troppo spesso "morte di tratta" in Italia. Insieme ad altre ex-vittime, Aikpitanyi sta cercando di dare un nome alle centinaia di donne uccise in Italia da organizzazioni criminali, come Favour, Loveth e Bose, assassinate a Palermo, Cristina, crocifissa a Firenze, o Leona, transessuale che si è impiccata pur di non tornare nelle mani dei suoi sfruttatori. Storie marginali, spesso relegate nelle cronache locali, che raccontano però la forza delle reti transnazionali della tratta, costruita su abusi e terrore.
“Io stessa potrei non essere qui oggi, perché quando mi sono ribellata ai trafficanti nessuno mi ha protetta. Per questo non si possono immaginare politiche contro la tratta senza ascoltare le vittime, che devono diventare protagoniste e non solo usufruire passivamente di servizi sociali”
Condividi la nostra Campagna Informativa contro il Traffico di esseri umani - clicca qui - |
Articolo curato da
Nessun commento:
Posta un commento
Ci è sempre gradito un tuo commento. Grazie