08 novembre 2013

Ouidah, la Strada degli Schiavi


A duecento anni dall'abolizione inglese della tratta, sono ancora evidenti in Africa i terribili ricordi della schiavitù.


Venticinque marzo 1807, la Gran Bretagna è la prima nazione a mettere fuorilegge la schiavitù. È l’inizio della fine per la tratta degli schiavi praticata dalle principali potenze europee sin dal Cinquecento. In tre secoli, almeno dodici milioni di esseri umani vengono prelevati con la forza dall'Africa e stivati nelle navi negriere dirette in America. Un traffico mostruoso di donne e uomini che avrebbe contribuito in modo determinante alla stagnazione demografica dell’Africa e alla spoliazione delle sue preziose materie prime. Una delle pagine più oscure della storia dell’uomo.

La Porta del non Ritorno
Tra il XVII ed il XIX secolo Ouidah fu uno dei principali empori dell’Africa occidentale per la tratta degli schiavi. Situata nell'odierna Repubblica del Benin, questa città vide partire oltre un milione di schiavi africani. Spesso erano africani anche coloro che li riducevano a mera merce umana da scambiare con prodotti quali alcol, stoffe, bracciali, coltelli, spade e soprattutto armi da fuoco, molto richieste per via dei conflitti inter-tribali.

Si calcola che tra il XVI ed il XIX secolo circa 12 milioni di africani siano stati trasferiti al di là dell’Atlantico per sopperire alla richiesta di schiavi nelle piantagioni e nelle miniere del Nuovo Mondo. A questo proposito un libro afferma che circa l’85 per cento degli schiavi “raggiunse il Brasile e le varie colonie fondate nelle Antille da inglesi, francesi, spagnoli e olandesi”. (American Slavery 1619-1877). A quanto pare il 6 per cento degli schiavi arrivò nelle colonie che successivamente avrebbero fatto parte degli Stati Uniti.


Rotte dalle navi negriere che partivano dalla Costa degli Schiavi
La maggior parte di questi schiavi "provenivano" dai paesi che si affacciano nell'attuale Golfo di Guinea, conosciuta in passato anche come Costa degli Schiavi.

All'inizio del loro viaggio, dopo essere stati incatenati, percossi e marchiati a fuoco, molti schiavi percorrevano a piedi il tratto di 4 chilometri che oggi collega il Museo di Storia di Ouidah, un forte completamente ricostruito, alla cosiddetta Porta del non ritorno, che sorge sulla spiaggia. La porta rappresenta la fine della Via degli schiavi e ha un valore simbolico, dal momento che la partenza degli schiavi non avveniva sempre dallo stesso punto.

Una storia lunga e triste
In epoche lontane i sovrani africani erano soliti vendere i prigionieri di guerra ai mercanti arabi. In seguito le potenze europee entrarono nel commercio degli schiavi, in particolare dopo aver fondato colonie nelle Americhe. A quel tempo i prigionieri catturati nel corso dei conflitti inter-tribali costituivano un enorme serbatoio da cui attingere schiavi, il che rese la guerra un’attività redditizia e per i vincitori e per gli avidi trafficanti di schiavi. Inoltre per trovare gli schiavi si ricorreva al rapimento o ci si rivolgeva ai mercanti africani, che li reperivano nelle zone interne del loro continente. Praticamente chiunque poteva essere venduto come schiavo, persino un principe che non era più nelle grazie del re.

Un noto trafficante di schiavi fu il brasiliano Francisco Félix de Souza. Nel 1788 De Souza assunse il comando del forte che era il fulcro del mercato degli schiavi di Ouidah, nel Golfo del Benin. A quel tempo Ouidah faceva parte del Regno del Dahomey. De Souza, comunque, ebbe un dissidio con il re Adandozan. Pertanto, forse mentre si trovava in prigione, ordì una cospirazione in combutta con il fratello del re. Insieme nel 1818 detronizzarono il sovrano. Così tra Ghezo, il nuovo re, e De Souza, al quale fu affidato il controllo del commercio degli schiavi, nacque un rapporto di affari lucroso.

Ghezo intendeva estendere i confini del suo regno e per farlo aveva bisogno di armi provenienti dall’Europa. Quindi nominò De Souza viceré di Ouidah perché lo aiutasse a curare gli affari con gli europei. Detenendo il monopolio degli schiavi in quella regione dell’Africa, presto De Souza accumulò enormi fortune, e il mercato degli schiavi, ubicato vicino a casa sua, divenne un punto di riferimento per acquirenti stranieri e locali.

Un cammino coperto di lacrime
Per coloro che oggi visitano la Via degli schiavi di Ouidah il tour ha inizio dal Forte, costruito dai portoghesi nel 1721, che oggi ospita il museo. I prigionieri destinati a diventare schiavi venivano tenuti nel grande cortile centrale. Molti di loro avevano camminato per diverse notti incatenati l’uno all'altro. Venivano fatti viaggiare di notte. Per impedire loro di orientarsi. Chiunque fosse riuscito a scappare avrebbe fatto fatica a ritrovare la strada di casa.

Una volta arrivati, gli schiavi venivano messi all'asta, dopo di che i mercanti che li avevano acquistati li marchiavano a fuoco. Gli schiavi destinati ai paesi oltremare venivano dapprima condotti sulla spiaggia e poi trasportati fino alle navi a bordo di canoe o piccole imbarcazioni.

Un’altra tappa lungo la storica Via degli schiavi è il luogo in cui un tempo si trovava l’Albero dell’oblio. Ai nostri giorni un monumento commemorativo ha preso il posto di quell'albero, intorno al quale gli schiavi erano costretti a marciare (a quanto pare gli uomini dovevano fare nove giri e le donne sette). Agli schiavi veniva detto che questo avrebbe rimosso dalla loro mente il ricordo della terra natia smorzando il loro istinto di ribellione.

Lungo il percorso si trova anche un monumento che commemora le capanne Zomaï, che oggi non esistono più. La parola Zomaï si riferisce al fatto che all'interno delle capanne non penetrava mai la luce, il che per i prigionieri che vi venivano stipati costituiva un assaggio delle condizioni orrende che li aspettavano sulle navi. È possibile che rimanessero nelle capanne per mesi prima di partire. Quelli che morivano durante la terribile attesa venivano ammassati in una fossa comune.

Un monumento particolarmente toccante è lo Zomachi, emblema del pentimento e della riconciliazione. Qui tutti gli anni nel mese di gennaio discendenti di schiavi e mercanti si riuniscono per chiedere il perdono per coloro che si macchiarono di terribili colpe.

L’ultima tappa del tour è la Porta del non ritorno, monumento che commemora gli ultimi istanti trascorsi dagli schiavi sul suolo africano. Questo ampio arco è fregiato con bassorilievi raffiguranti due file di africani incatenati che confluiscono sulla vicina spiaggia prospiciente l’Atlantico. Si dice che a quel punto alcuni prigionieri, in preda alla disperazione, abbiano inghiottito della sabbia per conservare il ricordo della loro patria. Altri, invece, preferirono morire strangolandosi con le catene.

Ouidah, la strada degli schiavi (Video)



La fine della schiavitù
Schiavitù negli USA nel 1860
A partire dagli inizi del XIX secolo si intensificò l’impegno per ottenere l’abolizione della schiavitù. L’ultimo carico di schiavi partito da Ouidah alla volta degli Stati Uniti fece il suo arrivo a Mobile, in Alabama, nel luglio del 1860. Comunque la loro schiavitù durò poco, dal momento che nel 1863 il governo degli Stati Uniti emanò il proclama di emancipazione. Nel 1888, allorché fu abolita anche in Brasile, la schiavitù cessò di esistere definitivamente nell’emisfero occidentale.

La tratta degli schiavi ha avuto l’effetto di generare una vera e propria diaspora degli africani, con un forte impatto, evidente ancora oggi, sull'assetto demografico e sulla cultura di molti paesi delle Americhe. Un altro effetto è stato la diffusione del woodoo, culto in cui si ricorre a riti magici e incantesimi, presente in particolar modo ad Haiti. L’Encyclopædia Britannica spiega che la parola "woodoo" deriva da vodun, che nella lingua della popolazione Fon del Benin (antico Dahomey) indica una divinità o un "essere spirituale".

Purtroppo alcune forme di oppressione sono sopravvissute fino ai nostri giorni, anche se non si tratta sempre di schiavitù in senso letterale. Ad esempio, sono milioni coloro che conducono una vita in povertà assoluta a causa di condizioni economiche proibitive. Altri sono schiacciati da regimi oppressivi. Milioni di persone, inoltre, sono schiave delle superstizioni e di falsi insegnamenti religiosi.



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