29 febbraio 2016

Tratta di esseri umani, il governo vara un piano nazionale

Lo scopo è quello di "definire strategie pluriennali di intervento per la prevenzione e il contrasto del traffico e del commercio di persone, oltre che azioni per la sensibilizzazione, alla prevenzione e l'emersione delle vittime. Il piano è propedeutico alla emanazione del nuovo programma unico di assistenza ed integrazione sociale e le relative modalità di attuazione e finanziamento"

Il Consiglio dei Ministri ha adottato il primo Piano nazionale d'azione contro la tratta e il grave sfruttamento degli esseri umani, a norma dell'articolo 9 del decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 24.

La tratta di esseri umani è il mezzo con cui sempre più persone vengono schiavizzate. Riguarda tutti i continenti e quasi tutti i paesi del mondo. Per chiarire perché questo commercio è da considerarsi un tipo di schiavitù e un tipo di violazione dei diritti umani, Anti-Slavery International ha stilato questa lista di domande e risposte. La tratta degli esseri umani è il trasferimento di persone con la violenza, l'inganno o la forza, finalizzato al lavoro forzato, alla servitù, allo sfruttamento sessuale o lavorativo, e a pratiche assimilabili alla schiavitù.

I dati più recenti. Sono quasi 250mila i migranti sbarcati in Europa nel corso del 2015, di cui almeno 93.540 persone in Italia secondo le cifre fornite dal ministero dell’interno. Capita che solo nel corso di una sola settimana siano centinaia le persone che perdono la vita mentre cercavano di raggiungere una vita migliore in Europa.

Migranti trovati a bordo di camion abbandonati nel deserto, oppure gente che annega durante drammatiche traversate a bordo di gommoni sgonfi, assiepati di persone, e con poco carburante per il motore. Gente che invece arriva sano e salvo però non smette di correre rischi al suo arrivo in Europa. Le probabilità di rimanere vittima di una rete di sfruttamento, prostituzione o lavoro forzato, rimane altissima, perché sovente il trafficante che gli ha permesso l’attraversamento illecito dei confini si trasforma in sfruttatore o mette il migrante nelle mani di una rete di sfruttamento.

I più a rischio sono i minori non accompagnati. Secondo Save the Children, le vittime di tratta che sono entrate in programmi di protezione sono contate a migliaia e tra questi centinaia sono bambini o adolescenti. Provengono generalmente da Siria, Afghanistan, Eritrea, Sud Sudan, Niger, Nigeria, Marocco, Ghana, Senegal.

A rischio le ragazze adolescenti non accompagnate provenienti dai paesi dell’Europa dell’Est e dalla Nigeria per quanto riguarda lo sfruttamento sessuale e i minori afgani e i minori eritrei in quanto principali gruppi di migranti in transito in Italia, lungo un viaggio estenuante di mesi o anni nel quale subiscono violenze sempre più efferate, e i minori egiziani, che sono il gruppo più coinvolto in situazioni di sfruttamento lavorativo nel nostro Paese.

Durante il viaggio i minori sono vittime di tratta, sfruttamento e violenze sempre più efferate. I minori intervistati da Save the Children hanno raccontato in particolare di violenze subite durante l’attraversamento del deserto libico o durante la detenzione in Libia.

Spunti di riflessione
Alla luce delle evoluzioni che hanno interessato negli ultimi anni il fenomeno della tratta di esseri umani in Italia, facendo emergere rilevanti interconnessioni con i flussi di richiedenti protezione internazionale ospitati sul nostro territorio sono stati elaborati dalle associazioni coinvolte nell'accoglienza e nella protezione di "vittime di tratta" alcuni spunti di riflessione, per il raggiungimento di un modello di identificazione, protezione ed accoglienza di tali individui completo e caratterizzato da un approccio multi-agente e multidisciplinare, pur nel rispetto delle competenze e specificità di ciascun settore coinvolto.

Identificazione delle vittime di tratta presenti all'interno dei flussi di richiedenti protezione internazionale

L'esistenza di procedure efficaci di identificazione, tra i richiedenti protezione internazionale, di coloro che sono vittime della tratta è condizione preliminare e irrinunciabile per un funzionamento efficiente tanto del sistema anti-tratta quanto del sistema di asilo, nonché per un loro proficuo raccordo.

A questo proposito si ritiene che debbano essere necessariamente rispettati i seguenti criteri:
  • l'identificazione della vittima deve essere demandata a operatori che possiedono competenze specifiche e che sono pertanto in grado di cogliere tutti gli indicatori di una potenziale situazione di tratta e sfruttamento, escludendosi invece l'utilizzo di criteri di identificazione sommari ed arbitrari (quali, ad esempio, la nazionalità del soggetto). A questo proposito, è necessario prevedere, nei futuri bandi SPRAR e Emergenza profughi, capitoli di spesa specifici per la realizzazione di tali colloqui da parte degli enti anti-tratta;
  • la verifica circa l'esistenza di un'ipotesi di tratta deve essere effettuata in tutte le fasi della procedura di accoglienza dei richiedenti asilo e, dunque: allo sbarco (tramite colloquio con personale esperto), al momento della formalizzazione della domanda (tramite colloquio con personale esperto e, in ogni caso, tramite la consegna di un opuscolo informativo contenente informazioni specifiche sul fenomeno della tratta di esseri umani) e al momento dell'ingresso nel centro di accoglienza (tramite colloquio con personale esperto);
  • deve essere garantita su tutto il territorio nazionale l'uniformità dei criteri di identificazione.
Audizione delle vittime e delle potenziali vittime della tratta di esseri umani avanti alla Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale

Considerata la complessità del fenomeno della tratta di esseri umani a scopo di sfruttamento e la peculiarità della condizione in cui si trovano le vittime di tratta che accedono al sistema per il riconoscimento della protezione internazionale, è fondamentale che l'audizione di tali soggetti venga effettuata con la disposizione di particolari garanzie, nonché da operatori che possiedono competenze specifiche.

A tal fine è indispensabile che, ove emergano nel corso dell'audizione potenziali situazioni di tratta, le Commissioni territoriali sospendano temporaneamente il colloquio, rimettendolo ad un operatore in possesso di competenze specifiche. Tale prassi, già diffusa in diverse regioni in Italia, deve essere applicata uniformemente a livello nazionale, anche tramite la sottoscrizione di Protocolli d'intesa tra le Prefetture e gli enti anti-tratta.

Preme inoltre sottolineare l'importanza che, su tutto il territorio nazionale, vengano assicurate alle potenziali vittime di tratta due ulteriori garanzie procedurali:
  • nel caso in cui, nel corso dell'audizione, emerga una probabile situazione di tratta, ma il soggetto non abbia ancora maturato una sufficiente consapevolezza circa la propria condizione, l'audizione deve essere sospesa e rinviata di un tempo sufficiente a permettergli di riflettere e maturare la propria decisione;
  • le informazioni relative all'esperienza di tratta offerte dalla vittima alla Commissione Territoriale in sede di audizione devono essere considerate riservate e deve, dunque, essere escluso ogni automatismo nel passaggio di tali informazioni alla Procura territorialmente competente rispetto ad eventuali ipotesi di sfruttamento avvenute sul territorio italiano.
La decisione delle Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale sulla richiesta di protezione internazionale avanzata da una vittima di tratta di esseri umani

Si auspica che, compatibilmente con le peculiarità delle vicende personali riferite dalle richiedenti protezione internazionale vittime di tratta, le Commissioni territoriali provvedano ad uniformare su tutto il territorio nazionale la forma di protezione da riconoscere.

Accoglienza dei richiedenti protezione internazionale potenziali vittime e vittime della tratta di esseri umani

Si propone un sistema di accoglienza strutturato come segue:
  • fase precedente all'identificazione della richiedente protezione internazionale quale vittima di tratta: in questa fase, fondamentale per l'emersione di una sospetta ipotesi di tratta, si auspica che la richiedente protezione internazionale sia accolta in una struttura, afferente al circuito SPRAR o a quello Emergenza profughi, dedicata a target femminile; nell'identificazione della struttura, sarebbe preferibile dare la precedenza agli Enti iscritti alla II Sezione del Registro degli enti ed associazioni che svolgono programmi di assistenza e protezione sociale disciplinati dall'art. 18 TUI (Testo Unico Immigrazione, Legge Bossi-Fini), promuovendo la sottoscrizione di convenzioni tra tali Enti e le Prefetture per l’accoglienza di potenziali vittime di tratta provenienti dal circuito dei richiedenti protezione internazionale (come già sperimentato, del resto, in alcune aree del territorio nazionale);
  • fase successiva all'identificazione della richiedente protezione internazionale quale vittima di tratta: a seguito dell'accertamento della condizione di tratta e sfruttamento, è opportuno che la vittima venga trasferita in una struttura anti-tratta.
  • Tali strutture devono essere afferenti al sistema anti-tratta o, se afferenti al sistema asilo, possono essere ammesse all'accoglienza delle vittime di tratta solo se l'Ente che le ha in gestione è iscritto alla Seconda Sezione del Registro degli enti ed associazioni che svolgono programmi di assistenza e protezione sociale disciplinati dall'art. 18 TUI istituito presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, a garanzia dello standard di professionalità e dell'uniformità degli interventi.
  • Parallelamente, sarebbe opportuno valorizzare, nei futuri bandi emessi dal Dipartimento Pari Opportunità per la realizzazione dei programmi unici di emersione, assistenza e integrazione sociale, la collaborazione degli operatori del sistema anti-tratta con le Commissioni territoriali per il riconoscimento della Protezione Internazionale, le Prefetture e lo SPRAR.
  • Si precisa, inoltre, che l'adesione al programma unico di emersione, assistenza e integrazione sociale di cui all'art. 18 co 3bis TUI deve essere assolutamente spontanea e, conseguentemente, l'inserimento della vittima in tali strutture deve essere sempre conseguenza di una scelta volontaria e deve avvenire in assenza di qualsiasi pressione o coazione, anche al fine di tutelare il percorso delle altre ospiti.
Infine, a fronte dell'elevato numero di richiedenti protezione internazionale vittime di tratta minorenni registrati sul territorio, si segnala l'intollerabilità della prassi diffusa di inserire tali soggetti nelle ordinarie strutture di accoglienza dei richiedenti protezione internazionale adulti, in quelle per le vittime della tratta adulte ovvero nelle ordinarie strutture per l'accoglienza di minori: a fronte della specificità ed irrinunciabilità delle esigenze che caratterizzano tale target, occorre prevedere con urgenza l'apertura, su tutto il territorio nazionale, di strutture di accoglienza ad hoc.
(Fonti: Piattaforma Nazionale Antitratta)


In Italia ci sono circa 120.000 schiave sessuali, il 36% sono ragazze nigeriane, una su tre è minorenne
In Italia ci sono anche 9 milioni di uomini che hanno pagato almeno una volta una prostituta
È arrivato il momento di punire i clienti e considerare reato l'acquisto di sesso
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26 febbraio 2016

Rapporto Darfur 2016, il genocidio continua nel silenzio del mondo

Decine di bombardamenti indiscriminati, 73mila nuovi sfollati, centinaia di vittime in poco più di venti giorni, stupri di massa. Quanto accade nel Darfur, regione occidentale del Sudan, resta una emergenza umanitaria, ormai dimenticata dalla comunità internazionale, che sta per trovarsi di fronte quella che una sopravvissuta ha definito "la soluzione finale".

È quanto emerge dall'annuale rapporto "Italians for Darfur", presentato al Senato dalla presidente dell'associazione, Antonella Napoli. "Siamo di fronte alla crisi umanitaria più lunga del secolo".

È stata la fondatrice negli USA di "Women for Darfur", Niemat Ahmadi, ascoltata in audizione dalla Commissione Diritti Umani del Senato a denunciare le nuove violenze perpetrate dal governo sudanese nei confronti della popolazione. Ahmadi, sopravvissuta e testimone oculare del genocidio, ha rivolto un appello al governo italiano e all'Europa, che la scorsa settimana ha previsto lo stanziamento di 100 milioni di euro per arginare i nuovi flussi migratori dall'Africa sub-sahariana, affinché chiedano al Sudan la sospensione dei bombardamenti.

La guerra invisibile del Darfur, 60 villaggi bruciati, 3mila morti. Presentato il rapporto dell’associazione "Italians for Darfur". L'Unione Europea da 100 milioni al Sudan per fermare i migranti, ma chi pensa a fermare le violenze?

Chi si ricorda del Darfur? Che succede in quell'angolo dimenticato di Africa, per il quale un decennio fa tutti gridavano al genocidio? Succede che "sessanta villaggi sono stati distrutti nelle ultime tre settimane. E almeno 25mila persone sono riuscite a fuggire dai bombardamenti e dai combattimenti tra le forze governative sudanesi e i ribelli del Sudan Liberation Movement nella regione di Jebel Marra"

Women for Darfur
Le vittime. "Le vittime delle violenze sarebbero almeno 3mila, anche se al momento non è possibile avere stime certe. Il 90% degli sfollati sono donne e bambini". Il governo sudanese continua a prendere di mira i civili. "E l’Unione Europea anziché richiamare Khartoum al rispetto dei diritti umani che cosa fa? Dona 100 milioni di euro al Sudan per arginare il flusso dei migranti verso il Mediterraneo"

La scoperta del petrolio. Coincidenza, pochi giorni fa il governo del presidente Omar al—Bashir ha annunciato la scoperta di vasti giacimenti petroliferi nelle regioni occidentali, in Darfur appunto. Un motivo in più per fare piazza pulita di ogni resistenza. Nuova benzina che va ad alimentare un conflitto complesso, che affonda le radici proprio nella lotta per le risorse (acqua, pascoli etc..)

Il presidente impunito. Italians for Darfur denuncia la grande presenza di armi nella regione, nonostante l'embargo sancito dall'ONU nel lontano 2004. E denuncia l’impotenza dei 27mila Caschi Blu della missione UNAMID, che vengono soprattutto da Paesi dell’Unione Africana, la stessa che sostiene pubblicamente il presidente Bashir rigettando le accuse del Tribunale Penale Internazionale che lo vorrebbe processare per crimini contro l’umanità.

È chiaro il corto circuito? I leader africani fanno quadrato intorno a un collega ricercato per la guerra in Darfur. E allo stesso tempo mantengono le loro truppe in Darfur, per vegliare sui civili attaccati dalle truppe governative e dalle milizie paramilitari.

Uomini senza pietà. Dieci anni fa si chiamavano janjawid, le temute milizie arabe a cavallo. Ora hanno un nome più "neutro", Rapid Support Forces, un gruppo nato nel 2013. I metodi e le violenze però sono gli stessi, come ha documentato un rapporto di Human Rights Watch intitolato "Men with no mercy".

HRW ha intervistato centinaia di vittime e testimoni. In base ai loro racconti risulta chiaro che le azioni di questi "uomini senza pietà" (stupri, uccisioni) avvengono in villaggi e città dove al momento degli attacchi non c’è traccia di ribelli.

Campo Profughi Darfur
Confessioni di un violentatore e la banalità del male. Ibrahim, 19 anni, disertore dell’RSF (Rapid Support Forces), ha raccontato. "Una volta ho cercato di violentare una donna. Lei mi ha colpito. Ho perso la testa e le ho sparato. L'ho uccisa. Sono dispiaciuto. Ma dovete capire che ero sotto il comando di uomini senza pietà"

Clooney dove sei, non rifaresti una capatina tra i monti del Jebel Marra per attirare l’attenzione del mondo? Nella sua ultima relazione sul Darfur il Segretario Generale dell’Onu Ban Ki-moon ha detto che "la continua mancanza di progressi verso una soluzione politica del conflitto in Darfur è fonte di grave preoccupazione". Su una popolazione di circa 7 milioni di abitanti, 4 milioni e mezzo dipendono dagli aiuti umanitari per la loro sopravvivenza, e 2 milioni e 600 mila sono sfollati interni.

Impossibile a chiunque entrare in Darfur, anche alle ong umanitarie

Non dimentichiamoci del Darfur. Anche per motivi nostri, se non vogliamo che gli sfollati interni diventino esterni. E prima di dare 100 milioni al governo di Khartoum per gestire la crisi migranti, chiediamo conto di quei disperati in fuga, di quei 60 villaggi distrutti nelle ultime tre settimane.






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22 febbraio 2016

L'esercito delle Spose Bambine

Sono 720 milioni le ragazze costrette al matrimonio quando le coetanee giocano ancora con le bambole. Una mattina, tornata da scuola, Djenabou trovò un uomo ad attenderla. Aveva quarant'anni, due mogli e cinque figli. Djenabou frequentava la quinta elementare.

L'uomo la fece sua prendendola in moglie, stuprandola e massacrandola di botte perché lei, bambina, non era capace di cucinare secondo i suoi gusti. Djenabou subì l'odio delle altre due mogli e, rimasta incinta, si ammalò. Il marito aguzzino la cacciò di casa. Djenabou fece così ritorno nel suo villaggio, ma il padre si rifiutò di accoglierla.

Djenabou, bambina incinta e ammalata, disperata e per strada, minaccia il suicidio. I vicini intervengono. Il padre la accetta giusto il tempo per farla partorire. Poi è un'associazione a prendersi cura di lei, provando a ridarle dignità e fiducia negli esseri umani.

Questa storia è avvenuta nell'estremo nord del Camerun. Djenabou è diventata un simbolo delle spose bambine, impegnata a divulgare nei villaggi e nelle scuole del suo Paese la cultura del rispetto femminile. Ha trasformato le violenze che ha subito in un balsamo che cura le ragazzine costrette a lasciare la scuola per il matrimonio. Trasmette alle famiglie la sua storia come esempio di errore da non ripetere mai.

Come Djenabou, ci sono Jasvinder dall'India, Usha dal Rajasthan, migliaia di ex spose bambine in tutto il mondo che hanno deciso di dedicare la loro vita a battersi per i diritti delle piccole donne. Adesso è il loro momento. Una generazione di bambine spose diventate grandi che danno battaglia ai ladri dell'infanzia.

Sono 720 milioni (dati Unicef 2014) le donne che si sono sposate ancora minorenni. Una cifra enorme, l'intera popolazione dell'Europa, un decimo di quella mondiale. E diventeranno un miliardo e duecento milioni nel 2050 se non scatta una ribellione globale, "se i leader religiosi non prendono posizione"

Il primato delle spose minorenni è dell'India, con 33 milioni di matrimoni in cui la donna ha meno di 18 anni, 4 milioni in Europa. Sarebbero sedici milioni poi le bambine costrette al matrimonio prima dell'adolescenza e sessanta milioni le spose minorenni gettate tra le braccia di mariti sconosciuti.

La famiglia torna nel villaggio natale e la bambina è raggiunta da invitati vestiti a festa. È successo a Usha in Rajasthan. Aveva 14 anni, giocava con altri bambini e i parenti le dissero solo di avvolgersi in un "sari" da cerimonia. Poi le disegnarono in fronte il puntino di polvere rossa che indica che una donna è sposata. La madre era ossessionata dall'idea di sposare le figlie giovani, perché, più bassa è l'età della ragazza, più modesta è la dote del matrimonio. Anche questo è un elemento importante della cultura delle unioni precoci. Ora Usha è maestra e attraverso l'associazione Vikalp da lei fondata ha salvato centinaia di bambine.

In questo obbrobrio non sono esclusi i Paesi europei, dove i matrimoni precoci avvengono spesso tramite lo stratagemma delle vacanze. Nel solo Regno Unito dal 2003 a oggi 140 adolescenti sono state uccise perché si ribellavano alle unioni combinate. In Italia circa duemila bambine ogni anno sarebbero costrette al matrimonio con viaggi forzati nei paesi di origine.

Jasvinder Sanghera, indiana, data in sposa a 14 anni quando abitava con la famiglia nella cittadina britannica di Derby, dopo la fuga di casa e dopo essere stata rinnegata da tutta la famiglia, si è ricostruita una vita e ha fondato l'organizzazione Karma Nirvana, che in otto anni ha ricevuto più di 48mila chiamate di aiuto. Karma Nirvana consiglia il trucco del cucchiaino, quando le ragazze partono per le vacanze e hanno il sospetto che la famiglia stia tramando cerimonie indesiderate, devono infilarne uno sotto i vestiti in valigia. Al controllo del metal detector i poliziotti fermeranno la giovane e la porteranno magari in una stanza privata, dove la ragazza avrà modo di raccontare la sua storia.

Le catastrofi ambientali e sanitarie degli ultimi anni hanno solo peggiorato la situazione

In Sierra Leone le scuole sono rimaste chiuse per nove mesi a causa dell'epidemia di ebola. Le bambine sono state escluse ancora di più dalla società e la scorsa primavera ci sono state più di mille gravidanze tra adolescenti e pre-adolescenti.

In Nepal bambine di tutte le età vengono violentate nelle tende in cui sono ammassati gli sfollati del terremoto che ha colpito il paese il 25 aprile del 2015, soprattutto a Kathmandu.

In Mozambico e in Zambia è molto diffusa l'usanza di "campi di iniziazione sessuale per imparare a soddisfare un uomo". Questi sono regni di ipocrisia. Vige il divieto del matrimonio prima della maggiore età, ma le bambine vengono obbligate ad "addestrarsi", tra gli 8 e i 13 anni, subito dopo la prima mestruazione.

La situazione in Africa è drammatica. Se gli attuali livelli rimarranno stabili il numero totale delle spose bambine in Africa aumenterà dai 125 milioni ai 310 milioni entro il 2050. Un’analisi del matrimonio infantile in Africa, individua nei lenti tassi di riduzione del fenomeno combinati con il rapido aumento della popolazione, le maggiori cause di questo previsto aumento.

In tutta l’Africa, la percentuale di giovani donne che si sono sposate da bambine è diminuita dal 44% del 1990 al 34% di oggi. È previsto che il totale della popolazione femminile africana aumenti dagli attuali 275 milioni ai 465 milioni del 2050, sono quindi necessari interventi molto più ambiziosi, poiché persino raddoppiare l’attuale tasso di riduzione del matrimonio infantile significherebbe avere ancora un aumento del numero delle spose bambine.

"In Africa, il grande numero delle bambine coinvolte, e ciò che questo rappresenta in termini di infanzie perdute e futuri distrutti, sottolinea l’urgenza di mettere al bando la pratica del matrimonio infantile una volta per tutte. I dati sono chiari nel mostrare che per porre fine al matrimonio infantile è necessario interventi maggiormente indirizzati a raggiungere le bambine più povere e marginalizzate, quelle che ne hanno maggiore bisogno e quelle maggiormente a rischio, con un’istruzione di qualità e l’offerta di altri servizi di protezione. Sono in gioco le loro vite e il futuro delle loro comunità. Ogni sposa bambina rappresenta una tragedia individuale. Un aumento del loro numero è intollerabile"

Le spose bambine hanno meno probabilità di terminare gli studi, sono più a rischio di essere vittime di violenze e di contrarre il virus dell’Hiv

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18 febbraio 2016

Senato, rapporto sui CIE in Italia. Diritti Umani violati

La Commissione Diritti Umani del Senato evidenzia diverse criticità, dagli hotspot ai CIE, dalle identificazioni all'andamento sui respingimenti. Il rapporto evidenzia inoltre gravi violazioni dei diritti umani nei Centri di Identificazione, lungaggini nelle pratiche per il riconoscimento dell'asilo. Il quadro che ne esce del sistema dell'accoglienza in Italia non è lusinghiero.

Gli hotspot per la registrazione dei migranti che sbarcano in Italia sono un fallimento. Istituiti per ordine della Commissione europea, a cinque mesi dal loro debutto non garantiscono il ricollocamento dei profughi né il rimpatrio degli stranieri che non possono chiedere l'asilo politico. Anzi, aumentano il numero degli immigrati irregolari.

La denuncia della Commissione per i diritti umani del Senato è limpida e per la prima volta tocca il sistema dei centri per l'identificazione immediata (hotspot) dei profughi, che arrivano sulle coste italiane. Per il momento sono tre: Lampedusa, Pozzallo e Trapani. "Entro la fine di febbraio sarà operativo anche quello di Taranto".

Deficitari anche i dati sul ricollocamento dei profughi, anche questo un importante punto dell'agenda migranti dell'Unione Europea. Soltanto 279 dei 4.597 migranti arrivati e identificati a Lampedusa dal 1 settembre 2015 hanno già lasciato l'Italia per chiedere asilo altrove in Europa, 198 sono in attesa di partire mentre 86 hanno appena avviato la procedura. Numeri risibili se paragonati alle decine di migliaia di profughi che secondo la stessa Unione Europe dovevano trovare rifugio in un paese europeo dopo lo sbarco in Italia.

"L'unico risultato tangibile degli hotspot è l'aumento di stranieri con in mano un decreto di respingimento differito del Questore che intima di lasciare l'Italia entro 7 giorni e che invece rimangono sul territorio. Migranti irregolari che al 100% spariranno"

Stesso tenore sui rimpatri. Solo il 52% degli stranieri presenti nei Centri di identificazione ed espulsione (CIE) sono effettivamente tornati a casa. Si tratta di circa 2.600 persone in un anno, a fronte delle 153mila sbarcate nel 2015.

Numeri insufficienti anche secondo il presidente consiglio Matteo Renzi. "Tra i Paesi europei l'Italia è quello che ha fatto più rimpatri eppure è opinione condivisa che non siano sufficienti", lo ha dichiarato proprio in Senato parlando di immigrazione e chiedendo ancora una volta "un diritto unico d'asilo nell'Unione Europea"

Il rapporto punta il dito anche sulla modalità di identificazione negli hotspot che "desta preoccupazione". "I migranti ancora sotto choc per il viaggio vengono sottoposti a un questionario veloce che deve decidere in pochi minuti il destino di queste persone, richiedenti asilo o persone da rimpatriare". Si parla senza mezzi termini di "esame sommario e superficiale che non tutela pienamente il diritto a chiedere una eventuale protezione internazionale"

La Commissione per i diritti umani del Senato chiede al governo di fare delle "rimostranze presso l'Unione europea, e favorire la revisione del Trattato di Dublino". Una richiesta che riceve lo stop proprio in queste ore delle stesse istituzioni europee, "il trattato sull'asilo è escluso che possa diventare un nuovo tema poiché non ci sarebbe niente di peggio che aprire nuovi cantieri"

I migranti devono rimanere alcune ore senza poter uscire per poi essere inviati ai centri di accoglienza. Per ora la quota di profughi identificati con le impronte digitali sono l'80%. Il 20% mancante è imputabile a problemi tecnici ma anche al fatto che numerosi richiedenti asilo rifiutano la registrazione per non rimanere in Italia. È il caso dei 184 eritrei attualmente a Lampedusa. "La soluzione è l'aumento della presenza delle associazioni umanitarie negli hotspot e la presenza di mediatori culturali che parlino più delle 4 lingue attualmente garantite nei centri"

Riconoscere le vittime della tratta. Necessaria la presenza di mediatori culturali e di associazioni che si occupano di vittime di tratta per il riconoscimento dei casi di minori, donne e ragazze in palese stato di schiavitù o sottomissione. In questo senso resta grave e drammatica la situazione delle donne e delle ragazze nigeriane che passano prima attraverso gli hotspot e poi attraverso i Centri di accoglienza, ma che finiscono comunque nelle mani della mafia nigeriana che le avvia al mercato della prostituzione. Sono state oltre cinquemila le nigeriane arrivate in Italia via mare nel 2015, ma solo per un centinaio di loro è stato riconosciuto lo "status di protezione sociale" (Art. 18)

Centri di Identificazione ed Espulsione. "L'Unione europea deve prendersi le sue responsabilità aprendo corridoi umanitari e stringendo rapporti bi-laterali per il rimpatrio di coloro che hanno diritto all'asilo"

Il dossier della commissione diritti umani del Senato considera i CIE "Luoghi orribili, aumentati di numero a causa dell'ondata di profughi". Oggi sono sei i CIE funzionanti (Bari, Brindisi, Caltanissetta, Crotone, Roma e Torino) per un totale di 720 posti.

Molte volte si tratta di persone che da molti anni vivono insieme alle loro famiglie in Italia, e non hanno più alcun legame con i loro paesi di origine. Stranieri nati e cresciuti in Italia ma non regolari perché non studiano o non hanno un contratto di lavoro, o che non sono riusciti a rinnovare il permesso di soggiorno entro 12 mesi perché hanno perso il lavoro. Richiedenti asilo che hanno potuto formalizzare la propria domanda solo dopo avere ricevuto un provvedimento di espulsione.

Solo il 52% dei 5.242 transitati nei centri è stato effettivamente espulso, la metà quasi esatta, ma in generale si denuncia "la difficoltà del nostro paese a eseguire rimpatri oltre che l'inefficacia dell'intero sistema di trattenimento ed espulsione, che spesso comprende stranieri non rimpatriabili per mancanza di accordi bi-laterali o perché apolidi, o anche migranti cresciuti in Italia e diventati irregolari dopo il 18º anno di età"

"L'Italia tollera all'interno del proprio territorio e del proprio sistema istituzionale che vi siano luoghi così orribili come i CIE. Costruiamo recinti e mettiamo il filo spinato laddove dovremmo invece elaborare strategie razionali e intelligenti per l'accoglienza"

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"No alla Bossi-Fini (legge sull'immigrazione) e Si alla Chiusura dei CIE"
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17 febbraio 2016

Nude e umiliate, il rito che incatena le ragazze nigeriane alla mafia

Nude e umiliate, il rito che incatena le ragazze nigeriane alla mafia e le costringe a fare le prostitute. Castel Volturno, costretta a spogliarsi dalla "mamam" e a promettere fedeltà al boss. Il riscatto fissato in 30 mila euro per uscire dalla schiavitù.

Lo straordinario video-documento è stato girato con un telefonino e pubblicato dal Corriere della Sera. Un'arma di ricatto nei confronti della ragazza, da far vedere ad ogni mancanza, ad ogni sgarro, ogni volta che dirà di "no"



Un cerchio fatto con dei lumini che per la ragazza costretta a stare nel centro, diventerà una gabbia. L’hanno fatta spogliare e poi la filmano mentre le fanno ripetere un giuramento che la obbliga a prostituirsi e a raccogliere denaro per il suo "padrone".

È uno dei tanti abusi che le ragazze africane, che le nostre "Ragazze di Benin City" subiscono da parte di esponenti della mafia nigeriana. Il video è stato girato come prova e come arma di ricatto nei confronti della ragazza. Questa ragazza in particolare, era stata fatta arrivare in Italia con la promessa di un lavoro, ma dopo questo "rito" è stata spedita a prostituirsi a Dubai, Emirati Arabi Uniti.

Il Medio Oriente è la nuova frontiera della tratta delle donne africane da parte della mafia nigeriana, che fa arrivare queste ragazze in Italia e poi le smista in Medio Oriente, un mercato ricco, e dove queste ragazze sono costrette ad arricchire qualche "harem" di qualche signorotto locale, un mercato dove le donne sono solo "giocattoli", dove vengono comprate e vendute come "merce", e da dove con ogni probabilità queste ragazze non torneranno mai più indietro.

Quella di inviare alcune ragazze vittime della tratta nei paesi arabi sembra essere una vera e propria scelta
.

"Le mandano lì perché in Italia c’è crisi e poi perché hanno paura delle denunce. Qui in Italia le donne sono più tutelate. La mafia nigeriana pensa solo a far soldi e ora ha trovato questo nuovo canale per la prostituzione e lo utilizza. Le ragazze vengono ingannate e portate in Italia, se hanno figli glieli tolgono e le ricattano. Poi le sottopongono a questo giuramento e alla fine le mettono sui marciapiedi italiani o le mandano in Medio Oriente"

In questo caso la ragazza ha inviato da Dubai il documento come richiesta di aiuto a Christopher, un suo amico che vive a Castel Volturno, nel casertano, roccaforte del clan africano. Christopher è un nigeriano che spesso collabora con le forze dell’ordine per arrestare i trafficanti di uomini.

"Mi ha chiesto di aiutarla, di portare il video agli inquirenti perché arrestassero i suoi aguzzini e le restituissero la libertà". Nel video però non si vede in faccia né della "mamam" che le fa ripetere il giuramento, né il pastore della chiesa pentecostale dove la ragazza ha detto che è stato girato il filmato.

"Ho denunciato tutto ma spero di trovare altre prove che li incastrino definitivamente. Credo che a tutti noi faccia bene vedere come la mafia tratta le donne, anche se sono immagini drammatiche. Per loro sono solo merce e in questo video la ragazza viene mortificata, spaventata e trattata come una bestia"

Il filmato è girato con un telefonino e mostra una ragazza lasciata nuda che cerca di coprirsi mentre una voce femminile e crudele le urla di tenere giù le mani. La madame le fa giurare che restituirà il riscatto al suo "padrone" lavorando come prostituta.

"Quanto ti abbiamo addebitato?", chiede la mamam, "Non so, non me lo ricordo", risponde la vittima. "Trentamila euro, questo è il costo che addebito alle mie ragazze. Ora io ne ho 5, tu sei la sesta e andrai a Dubai mentre le altre sono ad Abu Dhabi"

Gli ultimi dati dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) e le Caritas Italiane parlano di circa 1.700 ragazze nigeriane vittime di tratta solo a Castel Volturno costrette a prostituirsi con turni massacranti per soli 10 o 15 euro a "prestazione". In tutta Italia si calcola ce ne siano tra le 27.000 e le 30.000. Le nigeriane rappresentano circa il 35% di tutto il mercato della prostituzione coatta del "bel paese".

Nel video la mamam fa dire alla vittima che lavoro dovrà fare per pagare il suo riscatto e lei imbarazzata quasi non ci riesce. "Dillo in inglese, dici bitch!", le urla. "Giura che non darai problemi al tuo padrone e che non lo farai arrabbiare. Se non lo farai arrabbiare sarà buono con te". A quel punto le chiede dei figli. "Quanti ne hai? Maschio o femmina? Lavora, paga il riscatto e potrai farlo viaggiare e dargli il meglio", le dice in maniera subdola. La ragazza prova istintivamente ancora a coprirsi, annuisce sapendo che non sarà mai libera e che con quel giuramento sta firmando la sua condanna (a morte).
(Corriere della Sera)
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04 febbraio 2016

Repubblica Centrafricana, metà della popolazione a rischio fame

Secondo il rapporto del Programma Alimentare Mondiale delle Nazioni Unite (WFP), quasi 2,5 milioni di persone rischia di morire d'inedia e malnutrizione. Sono il doppio rispetto ad un anno fa, a causa del conflitto e della insicurezza che hanno ridotto le possibilità di accesso al cibo. La popolazione è stremata da 3 anni di guerra civile. "Non è un’emergenza come le altre"

Tre anni di crisi hanno stremato la popolazione. Le famiglie sono state molto spesso obbligate a vendere ciò che possedevano, a non mandare i figli a scuola, in alcuni casi a mendicare. "Non si tratta di un’emergenza come le altre. La gente non ha più nulla"

Una donna racconta "Dopo essere stati cacciati dal nostro villaggio siamo arrivati a Saint Saveur siamo qui da quattro mesi, abbiamo molte difficoltà, ho sette figli e nessuno che mi aiuti. Mio marito è scomparso".

Poco cibo in giro e di scarsa qualità. In base alla recente verifica effettuata dal WFP, nel paese una persona su sei combatte contro una malnutrizione grave o molto grave, mentre oltre una persona su tre è "moderatamente" malnutrita e non sa come procurarsi il prossimo pasto.

"Il WFP è estremamente preoccupato di questo allarmante livello di fame. Non solo la gente non ha abbastanza cibo, ma quello che consuma è di scarsa qualità, in termini di costi e valore nutritivo, non rispondendo ai bisogni nutrizionali"

Il raccolto 2014-2015 è stato povero e i prezzi alimentari rimangano alti dal momento che gli agricoltori non hanno potuto coltivare i campi a causa dell’insicurezza, con centinaia di migliaia di persone costrette a fuggire, abbandonando abitazioni, terre e mezzi di sostentamento.

Repubblica Centrafricana. Campo Profughi UNHCR
Un milione di persone in fuga dalla guerra civile. Ulteriori scontri si sono verificati alla fine di settembre, mentre venivano raccolti gran parte dei dati sulla sicurezza alimentare, causando la fuga di altre persone proprio mentre alcuni stavano lentamente facendo ritorno nelle proprie case. Circa un milione di persone sono ancora sfollate nella Repubblica Centrafricana o rifugiate nei paesi vicini. Il rapporto suggerisce interventi come assistenza alimentare d’emergenza continuata alle famiglie sfollate e a quanti sono ritornati a casa.

Il lavoro di WFP (Programma Alimentare Mondiale). "Dobbiamo aiutare i più vulnerabili, essi hanno bisogno di assistenza alimentare d’emergenza per sopravvivere. Non dobbiamo però dimenticare le altre persone nel paese, aiutandole affinché possano ricominciare a ricostruire". Il WFP ha fornito cibo a circa 400.000 persone attraverso distribuzioni generali di cibo, trasferimenti di contante. Assistenza alimentare e tecnica agli agricoltori per poter riprendere il lavoro, creazione di reti di protezione sociale attraverso programmi come quello per i pasti a scuola, sostegno per la riabilitazione delle infrastrutture attraverso attività di cibo in cambio di beni produttivi.

Sono necessari 41 milioni di dollari al Programma Alimentare Mondiale per rispondere ai bisogni urgenti fino alla fine di giugno, nella Repubblica Centrafricana e nei paesi vicini che ospitano i rifugiati. Ad oggi, l’operazione del WFP è finanziata solo al 45 per cento. Il WFP è la più grande agenzia umanitaria che combatte la fame nel mondo fornendo assistenza alimentare in situazioni di emergenza e lavorando con le comunità per migliorare la nutrizione. Ogni anno, il Programma Alimentare Mondiale assiste una media di 80 milioni di persone in circa 80 paesi.



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