L’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari, Ocha, e la comunità umanitaria del Sudan meridionale prima di Natale hanno lanciato un allarme per trovare 1,72 miliardi di dollari per assistere sei milioni di persone colpite dal conflitto, sfollamenti e fame.
«Cresce il bisogno di assistenza umanitaria con sfollamenti, insicurezza alimentare, malnutrizione, violenza e declino economico che si ripercuotono sulla salute, la sicurezza e i mezzi di sussistenza delle persone bisognose», ha dichiarato Alain Noudéhou, coordinatore umanitario per il Sudan meridionale, in un comunicato stampa dell’Ocha. «Oggi chiediamo 1,72 miliardi di dollari per continuare a fornire assistenza e protezione salvavita a sei milioni di persone più bisognose del Sud Sudan», ha dichiarato, sottolineando l’attenzione del piano sulla protezione dei gruppi vulnerabili, in particolare donne e bambini.
Dall’inizio del conflitto nel dicembre 2013, circa quattro milioni di persone sono state costrette a fuggire dalle loro case, tra cui quasi 1,9 milioni di sfollati nel paese e circa 2,1 milioni nei paesi vicini. Man mano che il conflitto continua in alcune parti del paese, fame e malnutrizione sono aumentati e, senza interventi precoci, migliaia di persone in più aree rischiano la fame. |
Tra il Sudan meridionale e Sud Sudan, un inizio della stagione magra più precoce del normale trascinerà, tra gennaio e marzo 2018, a 5,1 milioni di persone, pari al 48 per cento della popolazione, in una grave insicurezza alimentare. Inoltre, le indagini nutrizionali rivelano che circa la metà dei bambini sud sudanesi sotto i cinque anni sperimentano una malnutrizione acuta. Nonostante queste sfide, a fine novembre, le organizzazioni umanitarie avevano raggiunto oltre cinque milioni di persone dall'inizio dell’anno.
L'Ocha ha comunque ringraziato i donatori del Sud Sudan, che hanno contribuito per oltre il 70% al piano per il 2017 e ha invitato tutte le parti interessate a fare la propria parte nell'alleviarne le sofferenze.
A quattro anni esatti dallo scoppio della guerra civile, il Paese vive uno dei suoi momenti più tragici. |
Le truppe fedeli al presidente Salva Kiir (sempre definitosi un fervente cristiano, da anni prende regolarmente la parola nella cattedrale cattolica della capitale Juba) e le milizie dell’ex vice-presidente Riech Machar si combattono senza risparmiare colpi, faticando a trovare una via di dialogo. A farne le spese, neanche a dirlo, una popolazione stremata, colpita dal conflitto, da una carestia di dimensioni bibliche in gran parte causata dall'impossibilità di coltivare terre e allevare bestiame e da una povertà endemica per la quale non si prevedono programmi di recupero.
Le cifre sono impietose. Oltre 300mila persone sono morte negli ultimi 4 anni mentre sono 4 milioni gli individui costretti a lasciare le proprie case per trovare rifugio in altre zone del Paese (1,9 milioni) o oltre confine (2, 1 milioni).
Circa il 60% dei 12 milioni di abitanti soffre di denutrizione o fame. Una delle poche industrie profittevoli per il Paese, quella dell’estrazione del petrolio, è estremamente limitata per l’inaccessibilità dei pozzi a causa del conflitto. Come ha riferito di recente alla Reuters il coordinatore dell’Onu per il Sud Sudan «Se non sarà raggiunta la cifra richiesta dalla Nazioni Unite di 1,72 miliardi di dollari per fronteggiare l’emergenza, la crisi si aggraverà e per la popolazione il 2018 sarà anche peggiore del pessimo 2017»
Il dialogo nazionale convocato dal governo stenta a decollare. L’autorevole rivista Africa Confidential riferisce proprio in questi giorni che l’incontro convocato per lo scorso 18 dicembre ad Addis Abeba tra Salva Kiir e Riech Machar è partito malissimo tra accuse reciproche e rifiuti di compromesso. Il titolo dato ai colloqui, “High Level Revitalisation Forum”, secondo la rivista, «ha già perso significato»
Prima dell'indipendenza del 2011 il Sud Sudan era una provincia del Sudan, che si è staccata solo dopo un guerra durata 20 anni e un referendum fortemente voluto dalle Nazioni Unite
A lanciare l’ennesimo grido di allarme è Eduardo Hiiboro Kussala, vescovo di Tombura-Yambio e presidente della Conferenza episcopale. Vittima lui stesso di conflitti passati. A soli nove mesi, persi entrambi i genitori, ha trovato rifugio tra le braccia della nonna in un campo profughi in Uganda dove è rimasto fino all'età di 5 anni. Dallo scoppio della guerra civile nel 2013 svolge un servizio pastorale all'interno del Sud Sudan e in Paesi limitrofi dove i suoi concittadini hanno trovato rifugio.
«La situazione è molto problematica. Si continua a sparare e bombardare e la sofferenza della gente nei campi così come nelle città e nei villaggi, è aumentata. Non hanno da mangiare e vivono costantemente nel terrore. Infatti sono poche le persone che escono dai campi profughi o dalle case, pochissime quelle che viaggiano, anche perché molte strade sono distrutte. C’è grande penuria di cibo e i beni al mercato hanno raggiunto prezzi esorbitanti specie per molte persone che non percepiscono il salario da oltre sette mesi. Nei campi profughi la sofferenza è davvero troppa. Il cibo del World Food Program non è mai abbastanza e spesso è a base di granturco, un ingrediente poco nutriente»
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