22 novembre 2017

Violenza donne. Alla Camera dei Deputati presentata una ricerca sulla tratta delle migranti africane

Ieri, a Roma nella Sala della Lupa della Camera dei Deputati, D.i.Re, Donne in Rete contro la violenza ha presentato la ricerca sulle donne migranti vittime di tratta. La rete nazionale dei centri anti-violenza D.i.Re è con le donne da oltre 30 anni.


A pochi giorni dalla Giornata Internazionale di lotta per l’eliminazione della violenza contro le donne, Lella Palladino, presidente D.i.Re, oltre a spiegare le attività svolte in questi anni dalle operatrici dei Centri anti-violenza della Rete D.i.Re, rivela in anteprima i risultati del Progetto Samira. La ricerca ha l’obiettivo di contribuire a individuare donne e minori migranti in arrivo in Italia, sopravvissute alla violenza sessuale e di genere e a migliorare la qualità dei percorsi di aiuto.

Due gli scopi: approfondire la conoscenza di pratiche, competenze e criticità dei sistemi dell’accoglienza, dell'anti-tratta e migliorare i percorsi di accompagnamento e di aiuto.

I dati sono stati raccolti grazie a: una reportistica nazionale e internazionale, interviste a responsabili, operatori e operatrici, mediatori e mediatrici interculturali di organizzazioni governative, organizzazioni internazionali, centri di prima e seconda accoglienza, centri anti-violenza, associazioni e reti anti-tratta, associazioni di donne migranti, istituti confessionali, centri sanitari, ONG e associazioni del privato sociale operanti sia in mare a bordo di navi umanitarie di soccorso sia a terra, gestite da Medici Senza Frontiere (MSF), Save the Children e Proactiva Openarms.

Nei questionari sottoposti alle operatrici dei centri anti-violenza della Rete D.i.Re sono stati analizzati i vari stadi del percorso di approdo e di accoglienza nel nostro Paese:
  • il salvataggio in mare e l’arrivo a bordo delle navi di soccorso;
  • l’arrivo al porto e le procedure di sbarco;
  • il passaggio in hotspot;
  • l’accesso ai percorsi di prima e seconda accoglienza;
  • l’accesso ai servizi sanitari e per l’assistenza e la tutela delle persone vittime di tratta.
Questi alcuni dati della ricerca
I numeri. Da gennaio a luglio 2017 i Paesi di origine da cui sono partiti i migranti in maggior numero sono: Nigeria, Bangladesh, Guinea, Costa d’Avorio, Gambia ed Eritrea, con un aumento, rispetto al 2016, dei migranti provenienti dai paesi dell’Africa Occidentale e del Bangladesh. 93.369 le persone arrivate, di cui l’11% donne. Si stima che 2.360 persone abbiano perso la vita nel Mar Mediterraneo e circa 17.350 dal 2010 a oggi.

L’OIM (Organizzazione internazionale per le migrazioni) stima che l’80% delle donne e delle minori nigeriane arrivate nel 2016 via mare in Italia sia probabilmente vittima di tratta a fini di sfruttamento sessuale in Europa. Poiché il numero delle nigeriane sta aumentando esponenzialmente di anno in anno, si può pensare che il numero delle vittime o presunte tali aumenti in misura simile.

Le tipologie di violenza raccontate sono:
  • violenza coniugale o familiare,
  • mutilazioni genitali,
  • matrimoni precoci o forzati,
  • stupri a volte di massa,
  • sfruttamento sessuale da parte di datori di lavoro o nell'ambito del circuito della tratta,
  • altre forme di sfruttamento,
  • violenza fisica, psicologica ed economica.

I luoghi dove abusi, torture e violenze sono descritti “comuni come il panesono i Paesi di transito, come Libia, Sudan e Niger. Nel deserto del Sahara molte donne raccontano di aver subito stupri e abusi da parte delle guardie di frontiera e dei gruppi di trafficanti.

L’Italia, ultima tappa di un percorso di violenze e sfruttamento. Molte donne vengono avviate alla prostituzione già nelle aree limitrofe ai centri di accoglienza e di identificazione

Altre subiscono violenze nei diversi luoghi e ‘non luoghi’ che frequentano:
  • la strada con i clienti italiani,
  • all'interno delle strutture di accoglienza da parte di trafficanti e intermediari della tratta,
  • ma anche di altri ospiti e degli stessi partner violenti;
  • nelle case di famiglie italiane da parte dei datori di lavoro;
  • negli stessi appartamenti delle donne che vengono spinte da mariti e compagni alla prostituzione per contribuire al budget familiare.

Nelle interviste gli operatori sono concordi nell'affermare che, per far emergere abusi e violenze, sono fondamentali i due o tre giorni che intercorrono tra il salvataggio in mare e lo sbarco in Italia, durante i quali il personale presta cure e soccorso alle persone ospitate a bordo

«Quando vedono le coste italiane, le donne vedono un nuovo futuro; vogliono lasciare dietro di sé le esperienze di stupro e di violenza, vogliono cominciare una nuova vita, quindi è difficile renderle consapevoli dei benefici della condivisione di una storia traumatica»

La presenza di mediatori e mediatrici interculturali di varie origini e con competenza in diverse aree linguistiche (inglese, francese, araba, tigrina, amarica e di dialetti nigeriani e subsahariani) è preziosa.

«Avere la pelle dello stesso colore e parlare lo stesso dialetto può aprire porte che non si possono aprire in altro modo», afferma una mediatrice. «Molte ragazze ripetono compulsivamente “ho paura, ho paura, ho paura”. Paura di quello che le aspetta, paura di essere rimandate indietro in Nigeria o in Libia. Dicono: “Preferisco morire in mare che essere riportata in Libia’. Dobbiamo rassicurarle che la nave non le riporterà indietro

Alcune criticità emerse dalla ricerca: Il numero limitato di personale addetto all'individuazione di casi di violenza e di tratta. L’OIM non sembra in grado di garantire una presenza costante dei suoi operatori a tutti gli sbarchi. Inoltre c’è un insufficiente numero di mediatori e mediatrici culturali, soprattutto di origine nigeriana. La lacuna più grave è la carenza di centri protetti, senza i quali si può vanificare ogni sforzo di individuazione precoce di tratta ed esporre la persona a situazioni di rischio. . L’insufficiente competenza culturale del personale di molti centri di prima accoglienza.

Alcune raccomandazioni emerse: La necessità di elaborare e adottare meccanismi comuni per una sistematica e precoce individuazione e il trattamento dei casi vulnerabili, in particolare della violenza di genere e della tratta di esseri umani secondo un approccio di genere. Un accesso tempestivo ai servizi e ai percorsi di aiuto per permettere un’elaborazione del trauma subito e un percorso per uscirne anche grazie all'integrazione sociale ed economica. Una maggiore professionalizzazione di tutti i servizi pubblici e privati che si occupano di accoglienza e assistenza della popolazione straniera.

La necessità di lavorare in rete con la procura, la polizia, la magistratura, i servizi sociali del Comune, i tutori per minori, le strutture di assistenza e le associazioni del territorio.

D.i.Re. Donne in Rete contro la violenza, nasce nel 2008, inizialmente fondata da 45 Associazioni di donne, impegnate da oltre 15 anni di attività politica e culturale contro la violenza alle donne, e riunite in un’unica associazione nazionale. Oggi conta 70 realtà associative distribuite su tutto il territorio italiano, ognuna delle quali gestisce Centri Antiviolenza per le donne che hanno subito violenza. L’Assemblea delle socie è formato da un Consiglio Nazionale che rappresenta le diverse realtà territoriali e al suo interno ha avvocate civili e penali, un gruppo internazionale, un gruppo ricerca e rilevazione, un gruppo stampa e un gruppo case rifugio.



Articolo a cura di
Maris Davis

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