Molte ipotesi sono state fatte, diventate schiave sessuali, costrette a sposarsi con gli stessi rapitori, vendute al mercato del sesso, torturate o uccise, oppure come è stato scritto anche qualche giorno fa su un'importante quotidiano nazionale, sepolte in fosse comuni quando erano ancora vive. O magari costrette a diventare delle kamikaze. La verità è che, quasi certamente, tutte queste ipotesi sono vere.
Oggi ricordiamo il sequestro di 276 ragazze da una scuola di Chibok avvenuto un anno fa, oggi è il momento di riflettere sul dolore e sulle sofferenze delle vittime, dei loro amici, delle loro mamme e delle loro famiglie. Del dolore del mondo, della crudeltà di questo Islam, della sofferenza della mia Nigeria.
Rivelati nuovi particolari sui metodi brutali usati da Boko Haram, uomini e bambini regolarmente arruolati a forza o sistematicamente uccisi. Donne e bambine rapite, imprigionate e in alcuni casi stuprate, costrette a sposarsi o a partecipare alle azioni armate, a volte contro i loro villaggi e le loro città.
Di solito, Boko Haram porta le donne e le bambine rapite nei suoi campi collocati in zone remote o in centri improvvisati di transito come quello istituito nella prigione di Ngoshe (nord-est Nigeria, Stato di Borno). Da qui, le vittime vengono spostate in città e villaggi e indottrinate sulla versione dell'Islam seguita dal gruppo armato, in vista del matrimonio.
"Spiegano come usare le armi. A me hanno insegnato a sparare, a usare le bombe e ad attaccare i villaggi. L'addestramento è durato tre settimane, poi hanno iniziato a mandarci in azione. Io ho preso parte a un attacco contro il mio villaggio"
Durante i tre mesi di prigionia, Aisha è stata stuprata ripetutamente, talvolta da gruppi di sei combattenti. Ha visto uccidere oltre 50 persone, tra cui sua sorella.
"Alcune avevano rifiutato di convertirsi, altre di imparare a uccidere. Sono state sepolte in una fossa comune nella boscaglia. Hanno preso i loro corpi e li hanno gettati in una larga buca, però poco profonda. Io non la vedevo ma potevo sentire l'odore dei corpi in putrefazione"
"Erano in due a sgozzare coi coltelli. Eravamo seduti a terra aspettando il nostro turno. Prima di passare al nostro gruppo, avevano già ucciso 27 persone. Li contavo uno per uno per capire quando sarebbe stato il mio turno". Secondo la testimonianza di Ahmed, quel giorno Boko Haram ha ucciso almeno 100 uomini che avevano rifiutato di arruolarsi.
A Gwoza, il 6 agosto 2014, Boko Haram ha ucciso almeno 600 persone. I testimoni hanno riferito ad Amnesty International che chiunque cercasse di fuggire non aveva scampo. "Con le moto avevano circondato ogni isolato, ogni angolo di strada. Aspettavano lì e uccidevano. Colpivano solo gli uomini".
Migliaia di persone hanno cercato di fuggire sulle montagne ma i combattenti di Boko Haram li hanno inseguiti e stanati fuori dalle grotte coi gas lacrimogeni. Le donne sono state rapite, gli uomini uccisi.
Almeno 5.900 strutture danneggiate o distrutte da Boko Haram invece in una città vicina, a Bama (circa il 70 per cento della città) prima e durante la sua ritirata, quando l'esercito, a marzo scorso, ne ha ripreso il controllo.
Boko Haram fa rispettare le sue regole con punizioni feroci. Chi non prende parte alle preghiere quotidiane rischia le frustate in pubblico. Una donna di Gamborou che ha trascorso cinque mesi sotto il controllo di Boko Haram ha dichiarato ad Amnesty International di aver visto una donna subire 30 frustate per aver venduto i vestiti dei suoi figli, e una coppia messa a morte in pubblico per adulterio.
Un quindicenne di Bama, graziato da Boko Haram a causa della sua disabilità, ha riferito di aver assistito a 10 lapidazioni. "Li lapidano a morte il venerdì. Radunano tutti i bambini chiedendogli di portare delle pietre. Ho partecipato alle lapidazioni. Scavano una fossa, obbligano la persona a infilarcisi dentro e poi la colpiscono alla testa con le pietre. Quando muore, lasciano lì le pietre fino a quando il corpo non va in putrefazione".
Il rapporto di Amnesty International (clicca qui per il download) descrive anche la crescente tensione tra i cristiani e i musulmani. Molti cristiani della Nigeria ritengono che i musulmani passino informazioni su di loro a Boko Haram o non condividano le notizie sugli attacchi imminenti. È così subentrato un clima di sospetto tra alcune comunità che in precedenza vivevano fianco a fianco in piena armonia. Boko Haram ha distrutto chiese e ucciso cristiani che rifiutavano di convertirsi all'Islam ma ha anche preso di mira musulmani moderati.
(Fonti e testimonianze Rapporto Amnesty "Il regno del terrore di Boko Haram")
Bring Back Our Girls
I primi 100 giorni
- Nostra Pubblicazione -
Quando i miliziani islamisti di Boko Haram rapirono le 276 liceali a Chibok, nel nord della Nigeria, le proteste esplosero in tutto il mondo, gli Stati Uniti offrirono il loro aiuto per ritrovarle, nacque l'hashtag #BringBackOurGirls. Era la notte del 14 aprile 2014. All'inizio di maggio, 57 studentesse riuscirono fortunosamente a scappare dalle mani dei loro aguzzini.
Poi più nulla, il mondo si dimenticò di loro, nonostante la mobilitazione di voci internazionali, da Michelle Obama a Malala, la buona notizia della liberazione sembra ancora lontana.
Ci si indigna solo al momento dell’emergenza. Si piange per un fatto di coscienza, non per un coinvolgimento reale. Terminate le lacrime, finito il pianto, si dimentica tutto e tutti dimenticano,
ma io no, io non dimentico.
Poi più nulla, il mondo si dimenticò di loro, nonostante la mobilitazione di voci internazionali, da Michelle Obama a Malala, la buona notizia della liberazione sembra ancora lontana.
ma io no, io non dimentico.
I nostri articoli sull'orrore di Boko Haram in Nigeria
(Tutti gli articoli di seguito elencati sono contenuti anche nella nostra pubblicazione "Bring Back Our Girls, i primi cento giorni")
"La notte nera e la savana ci hanno aiutate. Ci hanno ingannate. Ci hanno fatto credere che fossero soldati, e quando abbiamo scoperto che erano ribelli era già troppo tardi. Erano in uniforme militare, dicevano di essere venuti a salvarci, quando finalmente abbiamo capito c'era rimasto poco da fare"
(Testimonianza di Amina e Thabita, due ragazze che sono riuscite a fuggire gettandosi dal camion dove furono costrette a salire)
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