17 luglio 2018

Il dramma di Vivian intrappolata nel "Juju"

Vivian è stata stuprata e sfruttata già prima di arrivare in Italia, ma in Italia è stata "fortunata", ha trovato subito chi ha potuto aiutarla.


Le ragazze nigeriane sbarcate in Europa sono decuplicate negli ultimi tre anni. Vittime di una rete potente che le sottomette anche con la magia nera e il woodoo. Vivian racconta come anche lei è rimasta intrappolata.

A Vivian non piace ricordare. Tutti i giorni, dal lunedì alla venerdì, si sveglia alle 6.30 e cammina spedita verso la metro che la porterà al lavoro, nella mensa di una scuola elementare di Roma. E si perché oggi Vivian, grazie all'aiuto di un'associazione si è liberata della schiavitù e dei suoi sfruttatori.

Non si volta indietro. Ma ogni tanto il passato calpesta il suo sonno. Si rivede con indosso un vestito bianco macchiato di sangue, rivede "papa" e lo sciamano. Nell'incubo non hanno volto, però ripetono nei suoi confronti quel rituale di quasi quattro anni fa. Tanto è trascorso dal giorno del "juju", variante nigeriana del rituale woodoo, con cui è cominciato il suo viaggio verso l’Italia.


JuJu
«Mi spogliarono completamente nuda, mi fecero indossare una tonaca bianca e inginocchiare su una pozzanghera d'acqua. "Papa" (il ragazzo che l'ha convinta a partire) sgozzò un gallo vivo che aveva portato per l'occasione, squarciò il ventre e ne prese le interiora e le poggiò sulla mia testa schiacciando forte perché il sangue mi colasse sul corpo.

La tonaca bianca iniziò a macchiarsi con il sangue del gallo ucciso, gocciolando a fiotti prima sul mio viso, poi sul collo, sentivo quel sangue perfino sul mio seno mentre lo sciamano cominciò la preghiera che diceva: "Se onorerai il tuo debito la tua vita proseguirà liscia come l’acqua di questo mare. Se non paghi finirai in un vortice. Tu se non onorerai il debito subirai torture e morirai, la tua famiglia sarà per sempre maledetta"

"Poi mi costrinsero a togliere la tonaca bianca bagnata e intrisa del sangue del gallo. Restai così di nuovo completamente nuda, lo sciamano mi si avvicinò, prima mi tagliò una ciocca di capelli e i peli della mia vagina, ed infine con un rasoio affilato mi fece due piccoli segni tra i miei seni". I peli del pube e la ciocca di capelli simboleggiano il pegno da consegnare alla mamam in Italia, la piccola cicatrice tra i seni è il simbolo permanente che ricorda alla ragazza, tutti i giorni, il giuramento.

«Io promisi. Anche se non ci credevo. Non so se ci credevo, in quel momento sentivo che il "juju" era più forte, che mi soggiogava»

Così racconta Vivian (nome di fantasia), ricordando quel momento. Adesso è abbastanza libera da sfidare se stessa nello sforzo di voltarsi indietro, solo per qualche ora.


Iniziano sempre così le storie delle ragazze vittime di tratta dalla Nigeria. Destinate allo sfruttamento sessuale in Europa, in tre anni quelle arrivate via mare in Italia sono più che decuplicate: 433 nel 2013, 1.454 nel 2014, 5.633 nel 2015, 11.009 nel 2016, oltre 9.000 nel 2017. Questi i numeri denunciati dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim). Un aumento spropositato anche rispetto alla crescita generale di persone sbarcate sulle coste italiane nello stesso periodo.

L’approdo di Vivian a Lampedusa si colloca quasi all'inizio di questa curva crescente, nel settembre del 2015. La sua è una vicenda che si discosta, nella prima parte, dal copione classico. Oggi, a differenza di una decina di anni fa, quasi sempre i parenti sanno che le ragazze andranno a prostituirsi, o comunque lo sospettano. È un "mestiere" accompagnato dalla vergogna solo se non ti arricchisci; se invece fai i soldi è tollerato. Per questo sempre più ragazze diventano anche "mamam" (a loro volta sfruttatrici).

«Purtroppo in un Paese dove indigenza estrema e corruzione sono diffusissime, la ricchezza è un valore enorme», osserva Simona Moscarelli, esperta legale dell’Oim. Quello che spesso non si conosce è la portata reale del debito contratto: «Prima era attorno ai 50 mila euro, adesso è sceso a 30 mila. Si tratta in ogni caso di somme che pensano di poter restituire con qualche mese di lavoro in strada. Ma non è così»

Vivian non è stata venduta da familiari consenzienti, spinti dalla povertà, in cerca di una chance di sopravvivenza o di un riscatto sociale. Vivian è finita nella rete di trafficanti e mamam per mancanza di appigli. Il fratello maggiore scomparso in circostanze ignote. La seconda moglie del padre musulmano che, rimasta vedova, si appropria di tutto il poco che hanno e la taglia fuori dalla nuova famiglia. La madre, cristiana pentecostale, uccisa poco dopo da un’infezione da diabete che non aveva potuto curare. Uno zio che le lascia le prime violazioni sul corpo e la violenta ripetutamente.

Sola a 22 anni, incontra l’uomo che ancora oggi chiama "papa". «Probabilmente un trafficante improvvisato», ricostruisce Chiara Spampinati dell’associazione Differenza donna, la prima a parlare con Vivian quando arrivò nel Cie di Ponte Galeria a Roma, convincendola a sporgere denuncia. È lui a prometterle il passaporto e un lavoro in un ristorante in Niger. «Mi spiegò che non mi conosceva, e che quindi prima di andare a Benin City per fare i documenti dovevamo fare il rito, altrimenti non si sarebbe potuto fidare di me», ricorda la ragazza.

Il juju si svolge in una delle piccole località della Nigeria, dove il fiume Niger si divide in tanti rami prima di sfociare nel Golfo di Guinea. Quello subìto da Vivian non è tra i più violenti, «il rito canonico prevede che alla ragazza si taglino una ciocca di capelli, i peli delle ascelle o quelli pubici, e che le si pratichi un taglio tra le scapole, in mezzo al seno oppure sul braccio. A volte si procede durante le mestruazioni, dando alla vittima nuovi indumenti intimi nel corso della cerimonia». Una cerimonia di espropriazione dell’anima, «un atto in cui non conta tanto la violenza in sé, ma il simbolismo. Sancisce la perdita della proprietà di te stessa, è un rito di magia nera, in teoria slegato dalla religione ma percepito come strettamente connesso ad essa, ed è per questo che lo subiscono tutte»

Il lavoro nel ristorante di Agadez, in Niger, durerà pochi mesi. «Il marito della proprietaria mi violentava. Lei lo scoprì, s’infuriò e mi cacciò via». Vivian così finisce nelle mani di una mamam. «Appena fuori, sulla strada di fronte al ristorante vidi una donna su un pick-up. Disse che andava in Libia e si offrì di portarmi con lei. Avrei pagato all’arrivo». Di nuovo senza alternative, spaventata e bisognosa di qualcuno di cui fidarsi, accetta.

La rotta per la Libia è la solita, quella che passa per Dirkou, da anni check-point dei trafficanti prima di passare il confine tra Niger e Libia. «C’erano auto cariche di persone, si fermavano tutti lì a prendere le taniche d’acqua». Ma arrivate a Zuara, in Libia sulla costa del Mediterraneo, dopo qualche settimana come aiutante domestica in una casa, la mamam alza la posta: i soldi che guadagna non bastano per ripagare il viaggio. «Mi mise in contatto con un uomo, che mi portò in una connection house». È il ghetto dell’addestramento verso la schiavitù in Europa: a quel punto il destino delle ragazze come Vivian è già deciso, vengono abituate a prostituirsi, stuprate, torturate.

Connection House, Libia

L’obiettivo è piegarle psicologicamente, ammaestrarle a non fidarsi dell’uomo bianco. «L’instabilità politica in Libia e la presenza di Boko Haram nel nord della Nigeria hanno amplificato la capacità criminale di queste organizzazioni di trafficanti, che con il traffico di donne hanno trovato un business redditizio e funzionale al controllo del territorio». Prima del 2015 le ragazze si muovevano anche in aereo, con documenti falsi, da Lagos verso gli hub di Parigi, Madrid, Milano. Ora i controlli più rigorosi negli scali europei favoriscono la rotta attraverso il deserto e il Mediterraneo.

Questo spiega in parte il forte incremento del flusso via mare. Oltre ad una richiesta, evidentemente alta. E che negli ultimi tempi si caratterizza per un aumento delle minorenni, l’anno scorso le minorenni erano due su cinque, istruite a dichiarare la maggiore età, e di donne incinta.

E poi le violenze già in Libia. Nell'ultima relazione dell’Oim (Organizzazione Internationale per le Migrazioni) si legge che i trafficanti sanno che «la presenza di un bambino piccolo, o di una donna incinta favorisce spesso la permanenza legale delle donne nei Paesi di destinazione, lasciandole più libere in seguito di prostituirsi e quindi di essere sfruttate». E soprattutto per questo che vengono stuprate.

«Dopo circa due mesi l’uomo mi disse, ti porto in Europa con la barca, non so dove finirai ma se ti va bene qualcuno all'arrivo ti aiuterà. Tu non hai nessuno, non ti conviene restare qui»

La partenza avviene da Tripoli, passando per altre violenze in un’altra connection house. Vivian, nella tragedia, è stata fortunata. Il barcone con cui ha fatto la traversata è andato in avaria, nei soccorsi è stata separata dal trafficante che era a bordo con lei, 24 ore dopo l’attracco a Lampedusa era al Cie di Ponte Galeria. Ma non va sempre così. Spesso le ragazze viaggiano con in tasca un "pizzino" con il numero di telefono di una mamam che le aspetta in Italia, e sono proprio le ragazze a dover chiamare.

Perché, per contraddittorio che sembri, le ragazze nigeriane guardano ai loro aguzzini con un sentimento di gratitudine, «come a qualcuno che ha comunque permesso loro di arrivare in Europa; e allo sfruttamento stesso come a un prezzo da pagare per raggiungere una situazione di benessere»

Gli operatori Oim, nel 2017, hanno individuato 6.592 vittime (certe) di tratta sbarcate sulle coste del sud d’Italia.

Ciò significa che otto ragazze nigeriane su dieci che arrivano in Italia sono certamente vittime di sfruttamento sessuale

Se va bene, al porto riescono a parlare con loro, informandole su diritti e vie d’uscita possibili. Ma quelle convinte a denunciare subito sono state appena 91, tra le quali 36 erano minorenni. Nulla, perché soprattutto le nigeriane, hanno paura del "juju", ma hanno imparato molto bene anche a "non fidarsi" degli italiani che dicono di volerle aiutare.

È come svuotare il mare con un cucchiaino. Per l’informativa, colloquio che ogni migrante fa subito dopo lo sbarco alla presenza di mediatori culturali, ci sono pochi minuti a disposizione, la si fa per gruppi nei quali è spesso presente anche la mamam, non c’è privacy. Molte di loro non denunciano perché immaginano maledizioni conseguenti al tradimento del rito woodoo, o temono ritorsioni nei confronti dei familiari rimasti in Nigeria. Che non sono rare.

«Noi pensiamo che le vittime di tratta siano circa 8 su dieci fra le nigeriane che sbarcano. Per questo è importante, già in Nigeria, lavorare a partire dal fattore culturale e dell'istruzione»

La fine del 2017 e la prima metà del 2018 ha segnato un calo drastico degli arrivi di migranti, e quindi un drastico calo anche di arrivi di nuove ragazze nigeriane a rischio sfruttamento. Ma non sono calati in proporzione anche le partenze dalla Nigeria di queste ragazze che, come Vivian, saranno violentate, stuprate e sfruttate già in Niger, o in Mali, ma soprattutto nelle connection-house libiche dove, con la chiusura dei porti italiani, i periodi di permanenza diventeranno sempre più lunghi, quasi infiniti.

Il neo-ministro dell'interno Salvini va dicendo che chiudendo i porti e impedendo ai migranti di sbarcare, si impedisce anche il business ai trafficanti di esseri umani. Nulla di più falso, ma questo lo sa anche Salvini. A Salvini interessa solo mettere la cenere sotto il tappeto.

Quello che Salvini non vuole sapere è che una volta arrivati in Libia, un paese in guerra, i migranti vengono imprigionati, picchiati, le donne violentate, sfruttate nelle connection-house per mesi e mesi e che, anche se lo volessero, NON possono più tornare indietro.




Articolo a cura di
Maris Davis


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