50 anni fa il Biafra. Un nome cancellato dalle mappe geografiche della Nigeria. E questa è Storia.
Operatore umanitario mentre lava un bambino del Biafra, un "barile", uno di quelli destinati ad essere riempiti di petrolio |
"Pensa ai bambini del Biafra". In quanti se lo sono sentiti dire o lo dicono ancora ai propri figli di fronte a un capriccio a tavola. Ma chi erano i bambini del Biafra, e perché dopo cinquant'anni si parla ancora di loro.
"Gli Igbo si impiccano da soli". Dice così un proverbio nigeriano riferito al gruppo etnico di una regione ricchissima di petrolio, che nel 1967 tentò di far nascere la Repubblica autonoma del Biafra. Forse mai, come in questo caso, la storia conferma quanto fosse azzeccata quella profezia.
Mia madre è Igbo, quell'orrore lo ha visto da vicino e quando tutto ebbe inizio era una ragazza poco più che ventenne. Vide quei bambini morire di fame e stenti mentre le compagnie petrolifere continuavano imperterrite ad estrarre il petrolio.
Alla fine di quella guerra perduta anche mia madre con i suoi familiari fu costretta ad andarsene, assieme ad altri 5 milioni di profughi. Dovette abbandonare la terra che fu di suo padre e prima ancora di suo nonno per far posto ai pozzi di petrolio. Terre rubate, vendute per pochi naira a compagnie petrolifere "straniere" che sulla terra degli Igbo costruirono le loro ricchezze.
Fu davvero una sorte tragica quella degli Igbo e di alcune altre etnie minoritarie che abitavano nella regione Sud-orientale della Nigeria. Una sorte segnata dalla scelta di autoproclamarsi repubblica indipendente, in un tentativo di secessione che costò la vita a oltre tre milioni di persone, un terzo dei quali erano bambini, lasciati letteralmente morire di fame, a causa di un blocco economico durato più di tre anni.
Per intere generazioni, e ancora oggi, il Biafra, i "bambini del Biafra", sono una frequentazione proverbiale, quasi mitologica. In quanti hanno sentito dire, o dicono ancora ai propri figli quando rifiutano il cibo: "Pensa ai bambini del Biafra". Ma quanti sanno di cosa stiamo parlando, e perché si parla del Biafra. Per rispondere bisogna andare indietro di mezzo secolo.
Come in molte nazioni africane, dove la fragilità degli equilibri multietnici fa pagare prezzi altissimi, in termini di vite umane, di instabilità politica, di tensioni sociali e sottosviluppo, anche la Nigeria, tra il maggio del 1967 e il gennaio del 1970, conobbe gli orrori di un conflitto civile, che provocò un vero e proprio sterminio per fame.
Il governo centrale nigeriano, in risposta al tentativo di secessione, mise in atto un accerchiamento severissimo attorno alla regione che aspirava all'autonomia. Fu un vero e proprio strangolamento, perché venne fin da subito impedito l'arrivo nella regione anche del minimo necessario alla sopravvivenza della popolazione.
Avvolgendo di poco il nastro per comprendere meglio il contesto storico che fece da sfondo alla tragedia del Biafra, occorre arrivare al gennaio del 1966. C'erano appena state le elezioni presidenziali, seguite dal solito strascico di accuse di brogli reciproche. Fu per questo che alcuni reparti dell'esercito nigeriano, nella maggioranza ufficiali di etnia Igbo, per mettere fine alle polemiche e ai disordini, organizzarono un colpo di Stato.
Al governo fu insediato un generale, Johnson Aguiyi-Ironsi, anche lui di etnia Igbo e subito preso di mira dagli oppositori, con l'accusa di aver fatto promozioni di militari del suo stesso gruppo, a danno di altri di etnia diversa.
Alla fine di luglio dello stesso anno, dal Nord del Paese partì un contro-colpo di Stato, che portò alla guida della Nigeria Yakubu Gowon. In tutto il Paese si scatenò l'inferno, che provocò il massacro di minoranze Igbo di religione cristiana, residenti nel Nord dove la maggioranza è mussulmana.
Fu così che gli abitanti della parte sud-orientale del Paese, cioè quella più ricca di risorse petrolifere, si sentirono esclusi e cominciò a diffondersi la convinzione che tutte le immense ricchezze del sottosuolo (di cui comunque la popolazione nigeriana nel suo complesso non ha mai goduto i benefici) venissero sfruttate dal nuovo blocco di potere costituito dalle etnie del Nord. Fu dunque questo stato di cose a far maturare l'impulso alla secessione degli Igbo.
I "biafrani" all'epoca dei fatti erano circa 11 milioni e vivevano in quella parte della Nigeria orientale che "galleggia" su un mare di petrolio. Un regione governata da un militare, un tenente colonnello dell'eserito dal nome lunghissimo e impronunciabile, Chukwuemeka Odumegwu Ojukwu. Fu lui ad esporsi per primo e a dichiarare l'indipendenza dalla Nigeria, eleggendo come capitale la città di Enugu. Ma fu anche il primo a tagliare la corda, non appena le cose cominciarono a mettersi male per il Biafra.
Mentre un milione di bambini moriva di fame, nello stesso luogo qualcuno continuava ad estrarre, non curante, il petrolio
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All'inizio Ojukwu, forse pensando di fare affari d'oro con gli Stati africani (e non solo con loro) che avevano assicurato appoggio alla secessione, il Gabon, Haiti, la Costa d'Avorio, la Tanzania, Israele e lo Zambia, cominciò a muovere le sue truppe e tentare di creare una zona-cuscinetto verso Ovest, invadendo così quello che, secondo i nuovi presunti confini, continuava ad essere comunque territorio nigeriano.
La risposta del governo centrale fu immediata. Venne immediatamente imposto un drastico blocco economico, che portò alla morte per fame di decine di migliaia di biafrani (duemilioni secondo le stime quelli che morirono solo di fame e di stenti), soprattutto bambini.
È allora che la parola "biafrano" diventa sinonimo, in occidente e in Italia, di emergenza alimentare, bambini denutriti, mosche sugli occhi e pance gonfie. Le immagini che arrivano dall'Africa sono impietose, colpiscono l'immaginario collettivo. Le iniziative benefiche, dai giornali alle parrocchie, si moltiplicano.
Poco più di un mese dopo la dichiarazione di indipendenza, l'esercito nazionale invase la neonata Repubblica biafrana. La pressione dei militari mandati dal governo impose alle autorità separatiste di spostare indietro la loro linea di attacco, tanto da essere indotti a trasferire più volte la capitale da Enugu, via via fino a Owerri. Qui, nel maggio del '69, a due anni esatti dall'auto-proclamazione, i militari nigeriani compirono una strage di cittadini, proprio nei pressi di una base dell'italiana ENI. Vennero coinvolti anche dieci tecnici italiani, che persero la vita nell'attacco. Sette mesi e qualche giorno più tardi, il 13 gennaio 1970, la Repubblica del Biafra non esisteva più.
Il nome "Biafra" è stato addirittura cancellato da tutte le mappe geografiche della Nigeria e quello che fu uno stato indipendente per soli tre anni ora è un territorio smembrato in ben nove entità territoriali diverse che sono diventati nove Stati Federati della Repubblica di Nigeria, Enugu, Ebonyi, Cross Rivers, Abia, Anambra, Imo, Rivers, Beyelsa, Akwa e Ibom.
A conservare la memoria di quella tragedia resta soltanto quel modo di dire perso nei ricordi di un mondo occidentale che oggi respinge i migranti e che non sa chi erano i "bambini del Biafra"
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Purtroppo, il Biafra è passato nel dimenticatoio. Le amministrazioni di USA, GB, Francia, Russia hanno generato tragedie simili in Afganistan, Iraq, Libya, Syria, obbligando le popolazioni di questi paesi a soffrire e morire come l'etnia ygbo nigeriana.
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