I 700 mila profughi sud sudanesi rifugiati nell'islamico Sudan, bambini compresi, costretti a pregare Allah per mangiare. E le ONG tacciono.
Nessuna di quelle grandi Ong che si strappa le vesti per i migranti in Libia, denuncia le vessazioni subite dai cristiani del Sud Sudan, un paese devastato da una guerra fratricida, che hanno trovato rifugio nell'islamico Sudan.
I piccoli bambini cristiani sono lontani, non fanno notizia e la loro fede è d'intralcio in nome del politicamente corretto che non ama puntare il dito sulle discriminazioni religiose perpetrate dagli islamici.
Gli unici a denunciare tali nefandezze sono le organizzazioni cristiane, come Aiuto alla chiesa che soffre (Acs), fondazione pontificia. «I bambini cristiani nei campi profughi sudanesi sono costretti a recitare le preghiere islamiche per ricevere il cibo» ha rivelato una fonte locale protetta dall'anonimato per timore di ritorsioni.
Almeno 700mila cristiani del Sud Sudan, in fuga dall'orribile guerra civile che sconvolge il paese africano ormai da quattro anni e indipendente solo dal 2011, hanno trovato un rifugio precario sul territorio controllato dal governo islamista di Khartoum di Omar al Bashir (Sudan).
I profughi sono costretti a vivere in condizioni drammatiche confinati in campi poco degni di questo nome «perché il governo non permette loro di proseguire verso nord e raggiungere le città». Nei campi le razioni di viveri sono spesso insufficienti. La quantità fornita ogni mese a ciascuno famiglia dura appena per due settimane. Il motivo della scarsità di viveri è semplice: gran parte degli aiuti arrivano dalle agenzie per i rifugiati dell'Onu, ma vengono in gran parte trafugati e venduti al mercato nero. Spesso sui sacchi di aiuti in vendita sono ben visibili i marchi dell'Onu, che li ha donati per i rifugiati.
Acs denuncia che «il governo impedisce alle organizzazioni umanitarie di vigilare sulla distribuzione degli aiuti e non permette alle associazioni legate alla Chiesa di offrire alcun sostegno ai rifugiati»
Non stupisce che i cristiani non solo si trovino ad affrontare la miseria, ma pure la discriminazione se non persecuzione. In questo contesto si sono verificati i casi dei più piccoli costretti a recitare versi del Corano per ottenere il cibo quotidiano.
La discriminazione religiosa è «una piaga purtroppo diffusa in tutto il Sudan, afferma il direttore di Acs-Italia Alessandro Monteduro. Nel Sudan guidato dal regime islamista di Al Bashir, in cui vige la sharia islamica, la persecuzione anti cristiana ha raggiunto livelli gravissimi»
Diverse donne sono state arrestate all'uscita dalle chiese per «abbigliamento indecente» ovvero semplici pantaloni o gonne. I rappresentanti pastorali di due milioni di cristiani hanno inviato in maggio una lettera aperta al governo denunciando a chiare lettere la discriminazione, e protestando per le demolizioni delle chiese, la confisca di proprietà ecclesiastiche, l'impossibilità di costruire nuovi edifici di culto e le restrizioni agli spostamenti dei rappresentanti religiosi.
Mentre in Italia "qualcuno" sta ancora pensando di costruire moschee per gli immigrati di fede islamica, nell'islamico Sudan almeno 17 chiese sono state distrutte (dal governo) con la scusa che non rispettavano le norme vigenti. «E molte altre rischiano di essere abbattute», continua Monteduro. La motivazione addottata da Khartoum è la violazione dei piani regolatori, ma è ben noto l'intento di al-Bashir di eliminare la presenza cristiana dal Paese. Non a caso il Sudan è nei primi posti della lista nera dei paesi nel mondo per il mancato rispetto della libertà religiosa.
(Fonte "Aiuto alla Chiesa che Soffre")
(Fonte "Aiuto alla Chiesa che Soffre")
Sud Sudan, il più grande serbatoio di migranti del mondo
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Dunque un milione di rifugiati all’anno. Un ritmo insostenibile che non accenna a diminuire. Il Sud Sudan continua a sgocciolare profughi in Uganda, ma anche in altri paesi confinanti.
Ma la guerra sud sudanese fa ben di più di ciò che sta facendo in Uganda e che oggi sta allarmando le grandi agenzie Onu e l’opinione pubblica mondiale. Dal dicembre del 2013, cioè da quando è scoppiata la guerra civile in Sud Sudan, questo paese ha distribuito fuggiaschi in tutti i paesi vicini: in Etiopia, in Kenya, soprattutto nel già martoriato Congo e anche nel vecchio nemico del nord, il Sudan di Omar Al Bachir.
In totale, tra quelli in Uganda e quelli negli altri paesi, il Sud Sudan ha prodotto abbondantemente più di tre milioni di profughi. E ancora non è finita, perché poi ci sono gli sfollati interni che formalmente non rientrano nel computo dei rifugiati perché sono scappati, si, ma sono rimasti nel loro paese, senza casa, senza nulla, senza aiuti ma nel loro paese.
Insomma il Sud Sudan è uno dei più grandi produttori di rifugiati del mondo e, non si può non dirlo visto che il tema è di grande attualità, uno dei più grandi serbatoi del mondo di migranti che, prima o poi, prenderanno la strada del nord.
Ma perché i sud sudanesi hanno questa propensione a muoversi, questa vocazione a viaggiare? Manco a dirlo il motore di tutto questo attivismo è la guerra, una guerra assurda scoppiata poco prima del Natale del 2013. Un conflitto che ha bruciato sul nascere almeno 25 accordi di cessate il fuoco, e che oppone due personaggi che non vogliono sentire ragioni: il presidente Salva Kiir e il suo ex vice Riek Machar. Il primo di etnia Dinka, il secondo di etnia Nuer, entrambi non hanno esitato ad innescare l’arma più odiosa, quella etnica.
Ora il conflitto è uno scontro frontale tra Dinka e Nuer. Il loro vecchio nemico del nord, Omar al Bashir, è accusato di crimini di guerra dalla Corte Internazionale ma loro no.
Loro si fanno forti delle immense ricchezze del loro paese: petrolio e le preziose acque del Nilo alle quali ambiscono le grandi potenze del pianeta, quelle emergenti asiatiche, le vecchie potenze coloniali, le monarchie del Golfo. Salva Kiir e Machar promettono a tutti concessioni, contratti appalti quando avranno vinto la guerra, naturalmente. Intanto producono profughi e ipotecano il futuro.
Degli oltre tre milioni di rifugiati, ben il 60% sono bambini
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