Erabor, una ragazzina nigeriana, arrivò in Italia che aveva si e no 16 anni. La sua storia si consumò in Piemonte, tra Mondovì, Cuneo e Torino tra il 2009 e il 2011, ma il processo che ha condannato in via definitiva i suoi aguzzini si è concluso solo da pochi mesi. Abbiamo anche noi conosciuto Erabor che ora potrebbe avere 22 anni (la sua data di nascita è sconosciuta) e vive in una struttura protetta del nord Italia.
Raccontiamo la sua vicenda personale perché è una storia di una violenza estrema, e vorremmo che sia un monito sia per le stesse ragazze nigeriane che a migliaia stanno arrivando in Italia ingannate dai trafficanti di uomini, ma soprattutto sia di monito per i "clienti" che ogni giorno frequentano queste ragazzine senza immaginare (o forse facendo finta di non sapere) che "quelle" sono delle vere e proprie schiave e non prostitute, e che vendersi per 20 euro a prestazione non è quello che avrebbero voluto fare.
Dalla Nigeria in Piemonte, chiusa per mesi in casa, frustata e brutalizzata. Al telefono la chiamavano la bambina. E in effetti Erabor era arrivata a Torino con la faccia acerba, le gambe magre da ragazzina, venduta dal padre perché ritenuta la più resistente della famiglia. Da Uromi, villaggio di fango nel sud della Nigeria, all'Europa dei ricchi.
Avrebbe dovuto lavorare per tutti. Come baby-sitter, a parole. Ma era chiaro che sarebbe arrivata in Italia per prostituirsi. Il fatto è che la "bambina" non voleva vendersi. E quando una sera di ottobre del 2011 è comparsa barcollando davanti al pronto soccorso dell’ospedale Martini di Torino, i medici non sapevano cosa pensare, mai aveva visto il corpo di una ragazzina così martoriato.
Il referto è riassunto dal GIP Silvia Bersano Begey, nella sentenza che ha condannato a 11 e 7 anni di carcere i suoi aguzzini. "Gravi lesioni agli arti inferiori e superiori, estese ulcere profonde, amputazione parziale dell’orecchio sinistro, perdita di sostanza cutanea su tutta la sommità del cranio con completa asportazione dello scalpo"
Deturpata e terrorizzata, Erabor non parlava. Aveva paura delle possibili ritorsioni sui famigliari per il mancato guadagno. Anche davanti ai poliziotti, alcuni giorni dopo, è rimasta in silenzio a lungo. Solo quando ha ottenuto che il verbale venisse stracciato, con la garanzia che nessuno scrivesse, allora ha iniziato a raccontare.
Era stata istruita bene. Diceva di avere 18 anni, anche se secondo un primo accertamento medico poteva averne 15 o 16. Il viaggio, prima fino a Lagos con una jeep e poi in aereo fino Parigi, e quindi in treno fino a Torino. Era stata vittima di riti woodoo, privata del passaporto e costretta a pagare 40 mila euro per poterlo riscattare. Una storia simile a quella di molte altre ragazze nigeriane vittime della tratta, fino a questo punto.
Ma quello è accaduto dopo alla "bambina" nessuno lo aveva mai visto. È finita nelle mani di una mamam nigeriana e di un pensionato piemontese, Mabel Imade e Angelo Bossolasco. È stata tenuta prigioniera per quasi due anni in una casa di Mondovì, in provincia di Cuneo. Costretta in ginocchio nella stessa stanza senza finestre per notti intere, obbligata a farsi pipì addosso. Aveva piaghe da decubito, le ossa fuori dalla carne. Sulla pelle, acidi e cavi elettrici. Frustata e bastonata, fino al distacco completo dello scalpo. La mamam ha cercato di tenere a bada le infezioni con l’acqua bollente. Ma la bambina andava persuasa "Non portava rispetto e guadagnava poco"
Gli investigatori hanno proibito le pubblicazione delle foto di Erabor. "Sono assolutamente eloquenti, anche in assenza di approfondimenti clinici. La ragazza è stata sottoposta a tentativi di ricostruzione a mezzo di chirurgia plastica con esiti comunque devastanti"
Nella casa di Mondovì, il luminol ha evidenziato tracce di sangue ovunque, lenzuola, sedie, rubinetti, prese della luce, in tutte le stanze, anche nel ripostiglio. I suoi aguzzini, la mamam nigeriana e il suo convivente piemontese, sono stati condannati per tratta di essere umani, riduzione in schiavitù, lesioni prolungate aggravate dalle sevizie. Materialmente è stata lei ad infierire. Ma il ruolo di lui, il pensionato piemontese, è stato ritenuto decisivo "La condizione fondamentale per il reato di riduzione in schiavitù è stata la messa a disposizione da parte del Bossolasco dei locali per detenere la ragazza, segregarla e occultarla, mano a mano che le sue condizioni fisiche si aggravavano"
Parole agghiaccianti, quelle del GIP "Bossolasco non concorre nella prima parte dell’incredibile vicenda della Erabor, l’introduzione in Italia e l’acquisto del corpo, ma il suo preventivo consenso per la gestione futura della merce è circostanza essenziale"
Ora Erabor vive in un comunità protetta, ha un permesso di soggiorno, eppure resta "soggiogata" e ha chiesto una foto del suo "scalpo" da spedire a casa, "Almeno la mia famiglia capisce perché non posso più guadagnare"
Erabor, per quasi due anni schiava in quella casa. Costretta a prostituirsi tra Torino e Cuneo, e volte a ricevere clienti in casa, e quando si ribellava veniva picchiata e costretta a restare in ginocchio sul pavimento in pietra per notti intere. Negli ultimi mesi il suo corpo non riusciva più a sopportare tutte quelle botte e così Erabor, sempre più stanca e magra, aveva perso anche la volontà di vivere.
Fino ad ottobre del 2011, quando probabilmente un cliente, accortosi delle sue condizioni estremamente gravi la ha accompagnata anonimamente fino all'ingresso del Pronto Soccorso dell'ospedale Martini di Torino.
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