Zawadi Luendo, 30 anni |
"Se al mercato del matrimonio una donna vale una dote di 22 capre, una ragazza stuprata ne vale solo due"
Nord Kivu, nord-est della Repubblica Democratica del Congo e in una sola ora 48 donne saranno stuprate. Ma evidentemente questi numeri non fanno abbastanza impressione: 400mila donne violentate in un anno, una media di 48 all’ora, quasi una al minuto.
Zawadi Luendo (la ragazza nella foto) è una delle tante. Ha 30 anni e la vedete mentre culla sua figlia. Nella casa sullo sfondo Zawadi è stata stuprata da tre miliziani nel giugno scorso a Luvungi.
Accade ogni giorno, ogni minuto nella remotissima parte orientale della Repubblica Democratica del Congo (RDC), da anni teatro di una guerra irregolare affollata di eserciti e milizie più o meno legate a Paesi vicini (Rwanda), conflitti etnici (non solo Hutu e Tutsi) e battaglie per il controllo delle risorse naturali. Questo "paradiso" sta tra il Nord Kivu e il Sud Kivu, nella regione dei Grandi Laghi.
L'ONU è presente con una forza di peace-keeping (MONUC) che chiaramente non basta (quando non è coinvolta in qualche scandalo). L’ultimo studio dell’American Journal of Public Health diffuso in questi giorni alza di molto le stime delle Nazioni Unite che parlavano "solo" di 16 mila casi di violenza sessuale all'anno. Perché tanta differenza? Mentre l'Onu si basava sui rapporti della polizia, l’aggiornamento si fonda sui dati delle strutture sanitarie (dove ci sono). Nell’est del Congo una donna può dover camminare cento chilometri prima di trovare un centro di assistenza. E malgrado la frequenza degli abusi, e il "marchio sociale" nei confronti di chi ne è stata oggetto è ancora fortissimo.
Al mercato del matrimonio una donna vale una dote di 22 capre, una ragazza stuprata ne vale 2. Violenza, vergogna, isolamento sociale, e internazionale. Quattrocentomila donne violentate dai 15 ai 49 anni, anche se non c’è limite di età.
L’Economist ha raccontato che l’Harvard Humanitarian Initiative ha preso in esame un gruppo di vittime all’ospedale Panzi di Bukavu. Età? Dai 3 agli 80 anni. Single, sposate, vedove, di tutte le etnie. Violentate a casa o nella foresta, davanti ai mariti, il 60% sottoposte a violenza collettiva.
Casi di figli costretti ad abusare delle madri sotto la minaccia delle armi. Da sempre la violenza contro le donne si accompagna alle guerre degli uomini. Dal Sacco di Roma raccontato da Sant'Agostino ai crimini dei soldati giapponesi a Nankino fino alla Bosnia, dove i serbi avevano organizzato "rape camps" per mettere incinta le donne musulmane. Una forma di pulizia etnica attraverso le nascite.
Oggi il Congo (RDC) ha il posto di capitale mondiale degli abusi sessuali. Anche il linguaggio degli operatori umanitari non ha eguali, ha un vero e proprio vocabolario. Per esempio si dice "re-rape" perché succede spesso di essere violentate più volte. Poi si parla di "auto-cannibalismo" perché le bande armate mutilano le vittime costringendole a cibarsi della loro stessa carne. L’ultimo censimento dà un’immagine ancora più spaventosa di una tragedia che, essendo cronica, viene spesso data per scontata e quindi dimenticata.
Nell'Est Congo sono morte negli ultimi anni 6 milioni di persone. Nel Sud Kivu le donne sono il 55% della popolazione perché gli uomini sono stati ammazzati. Così è nella Repubblica Democratica del Congo, stato fallito, dove negli ultimi due anni si sono celebrati solo 45 processi (36 condanne) per violenza sessuale. Trentasei condanne su 400mila casi all'anno.
Ci vogliono numeri iperbolici per fare notizia, e forse nemmeno quelli. Ci vogliono paragoni con la nostra realtà. Quattrocentomila sono gli abitanti dell’intera provincia di Pisa, o dell’isola di Malta. Eppure io oggi mentre stavo scrivendo questo articolo, più o meno un'ora, almeno 48 donne sono state stuprate in Congo.
Dov’è la notizia? Forse accade questo, c’è una massa critica oltre la quale un fenomeno diventa notizia. Ma quando la massa diventa ancora più critica (e cronica), cessa di colpirci. Così è in Congo, e le 48 donne violentate ogni ora diventano una cifra scontata, come i 50 gol di Leo Messi.
Nella clinica delle "Donne Stuprate"
L'ospedale di Goma, fondato da una dottoressa canadese nel 2003, ha già curato 10 mila casi di donne violentate, dalle neonate alle 80enni. In quest’enorme e ricchissimo Paese africano, la popolazione vive in uno stato di soggezione, fisica e psicologica, verso i potenti, dai capi tribù, fin su su al presidente della Repubblica.
La maggior parte della gente subisce violenze tutti i giorni. I più colpiti sono i bambini e le donne, i primi usati come forza lavoro o piccoli soldati, le seconde violentate, picchiate, torturate, schiavizzate.
A Goma, nell'estremo est del Congo quasi al confine con il Rwanda, al centro di una zona ricca di miniere, contesa da fazioni, milizie e vari signori della guerra, dove i saccheggi nei villaggi sono continui, non esiste nessuna legge e i capi villaggio hanno perso il tradizionale ruolo di protettori dei concittadini, in questo conteso opera un ospedale chirurgico che si occupa di donne stuprate.
Le pazienti ricoverate nell'ospedale del DOCS (Doctors on Call for Service) sono affette da fistola, la rottura della membrana che separa la vagina, la vescica e il retto. La lacerazione si può verificare per problemi di parto ma qui, molto più spesso, è provocata da stupri multipli e continuati e da torture inflitte con baionette, coltelli, bastoni, asce.
"Talvolta infilano la canna di una pistola nella vagina e poi sparano" Le donne si vergognano di raccontare le loro storie a uomini sconosciuti.
Le donne ricoverate nell’ospedale di Goma rivelano particolari agghiaccianti, difficili da credere. L’inferno della dura realtà quotidiana, fatta di massacri feroci, spietati e senza senso.
Francine, 24 anni di Shabunda. "Cinque uomini di una banda armata interahmwe (ribelli hutu ruandesi: combattono contro il governo del Ruanda ma sono sbandati in Congo) sono entrati nella mia capanna, hanno ammazzato mio marito e i miei figli. Mi hanno trascinato nella foresta e, dopo avermi fracassato con le baionette le braccia, mi hanno violentata a ripetizione. Per nove mesi sono rimasta loro prigioniera, per nove mesi mi violentavano a turno quasi tutti i giorni"
Linda, 24 anni di Ufamando. "Ero incinta e stavo lavorando il campo quando sono arrivati i nemici e mi hanno stuprato. Il bimbo ha cercato di nascere ma è morto. Perdevo urina da tutte le parti e in queste condizioni ho raggiunto il mio villaggio. Tutte le case erano state bruciate e la gente, compresa mia madre, uccisa"
Bernardine, 20 anni. "Sono stata rapita dagli interahmwe e portata nelle foresta. Mi violentavano in continuazione, senza alcuna pietà. Quando sono rimasta incinta i miei carcerieri hanno deciso di rimuovere il mio bambino prima con le mani, poi con una baionetta. Mi hanno devastata e lasciata in una capanna. Ho sofferto tantissimo"
Nel Rapporto Human Rights Watch di 240 pagine di testimonianze presentate all'ONU vi sono racconti che vanno oltre l'immaginazione.
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