15 luglio 2014

I bambini dimenticati della Repubblica Centrafricana

L'origine dell'attuale crisi nella Repubblica Centrafricana risale a circa due anni fa, ma le radici del conflitto sono più profonde e si innestano su una situazione di estrema vulnerabilità.
  • L'aspettativa di vita del paese è la più bassa del mondo, 48 anni.
  • 129 bambini su mille muoiono prima di aver compiuto i 5 anni.
  • Malnutrizione cronica.
  • Malattie legate alla mancanza di pulizia come il tifo, e poi morbillo, meningite, malaria.
  • Un sistema sanitario disastrato già prima dell'attuale crisi, e ora del tutto distrutto.
Nel marzo 2013, il colpo di stato dei combattenti mussulmani di Séléka ha gettato il paese in una situazione di grave conflitto. Per otto lunghi mesi i mussulmani hanno creato terrore nella popolazione con uccisioni indiscriminate, imposizione della Sharia islamica, provocando fughe forzate della popolazione.

A partire dallo scorso novembre (2013) la tensione tra cristiani e mussulmani è ulteriormente cresciuta, per esplodere a dicembre. Con il cambio di governo e l'offensiva Anti-Balaka di matrice cristiana, molti ex-membri dei Séléka hanno formato gruppi frammentati estremamente pericolosi e fuori controllo.

Nel paese il livello di violenza è senza precedenti, diversi gruppi si attaccano l'un l'altro e colpiscono civili, gli ospedali e le organizzazioni umanitarie. Per rappresaglia contro gli atti di violenza commessi dalle forze ex-Séléka, le milizie di autodifesa locale "Anti-Balaka" lanciano attacchi collettivi contro i civili mussulmani, che considerano la potenziale base politica dei Séléka.

Questo ha portato a una catena di violenza e razzie che colpisce indiscriminatamente entrambi i gruppi religiosi, cristiani e mussulmani.

In questo contesto un numero imprecisato di minori è stato arruolato per combattere. Bambini che vengono obbligati a combattere anche dagli stessi parenti, altri presi a forza durante le razzie ai villaggi, altri ancora, rimasti orfani si uniscono ai gruppi armati. Né l'Unicef, né altre organizzazioni internazionali hanno potuto quantificare quanti siano attualmente i bambini soldato nella Repubblica Centrafricana.

I gruppi armati sono forti dell'impunità perché né un governo debole, né le forze francesi intervenute a difesa della popolazione civile, né la stessa missione ONU riescono a garantire. Per la missione dell'ONU (denominata MINUSCA, UN Multidimensional Integrated Stabilisation Mission) le Nazioni Unite e la Comunità Europea hanno stanziato 26 milioni di dollari e circa 10 mila uomini. Al momento è tutto inutile, perché le violenze continuano nel silenzio più assoluto dell'occidente.

Nonostante le forze internazionali crescano sempre in maggior numero non sono infatti in grado di proteggere la popolazione civile e di prevenire attacchi alle organizzazione umanitarie come, per esempio, quello accaduto a Boguila del 26 aprile scorso che ha causato 16 morti tra cui 3 operatori di Medici Senza Frontiere in un ospedale.

Il numero di sfollati interni nella Repubblica Centrafricana ha raggiunto e superato le 600 mila persone (un sesto degli abitanti del paese), di cui 130 mila nella sola capitale Bangui. È la stagione della piogge e le condizioni di vita degli sfollati e il rischio di malattie, come malaria, infezioni respiratorie e malattie diarroiche sono peggiorate.

Altri rifugiati della Repubblica Centrafricana di trovano nei paesi vicini.
  • 100.000 in Ciad,
  • 77.000 in Camerun,
  • oltre 60.000 nella Repubblica Democratica del Congo,
  • quasi 10.000 in Congo.
L'11 maggio scorso le truppe del contingente dell'Unione Africana (MISCA) si sono ritirate dalla Repubblica Centrafricana in segno di protesta e il Ciad ha annunciato la chiusura delle frontiere fino a quando la crisi non sarà risolta.

A gennaio 2014, dopo le dimissioni dell'ex-Presidente Michele Djotodia a prendere in mano le sorti politiche del paese è una donna Chaterine Samba-Panza, la quale a 100 giorni dal suo insediamento, ha effettuato un robusto rimpasto di governo dopo le accuse che la dipingevano come un governo debole e incapace di arginare le violenze.

La Corte Penale Internazionale ha avviato una missione esplorativa individuando possibili crimini di guerra e gravi violazioni dei diritti umani da marzo 2013. L'istruttoria della Corte Penale sarà disponibile fra alcuni mesi.

I bambini dimenticati della Repubblica Centrafricana.
Dozzine di bambini sono stati uccisi, centinaia sono stati mutilati, migliaia sono sfollati. Le violenze nella Repubblica Centrafricana sono indicibili per loro brutalità e la loro ferocia, e i bambini non sono risparmiati.


In media negli ultimi sei mesi, almeno un bambino ogni giorno è stato mutilato o ucciso durante gli scontri. L'Unicef ha verificato che 277 bambini sono stati mutilati e 74 uccisi negli ultimi sei mesi. I numeri attuali però non tengono conto delle morte causate dalle malattie e dal totale collasso dei servizi di base, e che a causa delle implacabili violenze nemmeno l'Unicef può verificare tutti i casi di violazioni nei confronti dei bambini.



I ragazzini nei gruppi armati. Un peggioramento della situazione del paese, compresa la capitale Bangui, sta costringendo ancora una volta sempre più persone e bambini a lasciare le proprie case. Tra i 600 mila profughi almeno un terzo sono minori. Tra i rifugiati l'Unicef sta facendo di tutto per proteggere i bambini dalle violenze realizzando spazi sicuri per l'istruzione e il supporto psico-sociale per i bambini più colpiti.


I minorenni separati dalle proprie famiglie sono registrati per essere riunificati il prima possibile. I negoziati con i gruppi armati che hanno reclutato bambini sono in corso per assicurare il loro immediato rilascio e il reintegro nelle comunità il più presto possibile.



L'Unicef conferma che nei campi profughi della Repubblica Centrafricana e dei paesi vicini sono necessari in continuazione beni di prima necessità quali acqua pulita, servizi igienico-sanitari adeguati, tende e teloni. È in corso la stagione delle piogge che durerà fino a settembre e, al momento, rende i soccorsi ancor più difficili.



Gli stati donatori hanno stanziato fondi per gli aiuti umanitari pari a 120 milioni di dollari, necessari a coprire le esigenze del 2014 ma, al momento sono stati versati meno del 25% una cifra del tutto inadeguata per fornire un valido aiuto ai profughi della Repubblica Centrafricana durante i restanti mesi di quest'anno.



(Fonti e dati Unicef)
Questo articolo fa parte della Campagna informativa sulle Guerre dimenticate dell'Africa



Articolo scritto curato da


01 luglio 2014

Nigeria, un gigante senza domani

Lagos, Nigeria (le seconda metropoli dell'Africa)
La Nigeria è uno dei paesi più corrotti del mondo (144° su 177 per Trasparency International), dove quasi il 70% della popolazione vive sotto il livello di povertà. Una corruzione così vorace che viene stimato che, dall'indipendenza (1960) ad oggi, circa 400 miliardi di dollari siano spariti nelle tasche di pochi noti.

Tra le strutture dello Stato, i più corrotti sono i poliziotti, seguiti dalla classe politica e dalla magistratura. Il primato incontrastato in questa gara a chi ruba meglio è storicamente assegnato all'ex-presidente Sani Abacha che negli anni '90 si impossessava sistematicamente del 2-3% del prodotto interno lordo. Ma a questa competizione hanno partecipato un po' tutti i presidenti nigeriani, senza distinzioni di religione o di etnia.

La corruzione al potere
Alison-Madueke
(Ministro del Petrolio)
L'attuale presidente, Goodluck Jonathan, in carica dal 2011, sta facendo anche lui abbondantemente la sua parte con la fattiva concorrenza dei sui ministri. La ministra del petrolio, Diezani Alison-Madueke, è in forte odore di corruzione anche perché gestisce la fetta più grossa degli introiti dello Stato. Nessuno però indaga. Anzi, Jonathan si è subito dedicato ad attingere dalla stessa torta.

È del febbraio 2014 le decisione di una commissione di inchiesta del Parlamento nigeriano di annullare la vendita dei diritti di sfruttamento di alcuni giacimenti con riserve stimate pari a 9 miliardi di barili di greggio. Originariamente assegnato alla Malabu Oil, società fondata da un figlio di Abacha e dall'allora ministro del Petrolio, è stato invece "comprato" dall'italiana ENI, attraverso la controllata Agip, per tramite della Shell.


L'esorbitante cifra è stata però filtrata prima dalle autorità nigeriane e poi dalla Malabu, che ha dirottato le somme su tutta una serie di conti intestati a dei prestanome. Il sospetto è che fra i beneficiari occulti vi sia lo stesso presidente Jonathan. Non è chiaro adesso che fine faranno i soldi versati dall'ENI e se verranno o meno restituiti.


Ma purtroppo oramai la corruzione in Nigeria è un evento sistematico. Chi ha potere ruba. In Nigeria però sulla corruzione si è creato un sistema di sopravvivenza e di sussistenza. È la componente essenziale su cui si basa il sistema economico del Paese. E questo fenomeno è così diffuso che ormai non fa notizia o scandalo. È parte delle regole del gioco se si vuole vivere in quella parte del mondo.

Quello che fa della Nigeria un caso speciale, o terribilmente banale a seconda dei punti di vista, è la sua enorme ricchezza petrolifera che potrebbe, almeno teoricamente, garantire al paese più popoloso dell'Africa, un tenore di vita dignitoso. Infatti tutto gira intorno al petrolio e al gas che rappresentano il 95% degli introiti di valuta pregiata dello Stato e che quindi alimentano l'intero apparato amministrativo e corruttivo. Un flusso annuo di circa 100 miliardi di dollari che soddisfa gli appetiti di pochi, lasciando nel contempo la stragrande maggioranza della popolazione nell'indigenza più assoluta.

A chi tutto, a chi niente
  • Il 25% dei nigeriani è disoccupato.
  • Il 70% è impiegato nell'agricoltura.
  • Il 40% è analfabeta.
L'industri petrolifera, che da sola potrebbe assorbire tutta la disoccupazione, impiega soltanto il 10% della popolazione locale. Le compagnie petrolifere preferiscono assumere personale e manodopera proveniente dai loro paesi di riferimento o comunque far lavorare i loro operai, piuttosto che utilizzare manodopera nigeriana.

Se il reddito pro-capite medio è di circa 2.700 dollari all'anno, c'è comunque un divario enorme tra il 70% della popolazione che vive con meno di due dollari al giorno e un buon 15% che possiede più della metà della ricchezza del paese.

In Nigeria l'industria è inesistente, le infrastrutture scadenti e il petrolio è divenuto la tipica manna che in Africa fa sovente rima con disgrazia, ma solo per la stragrande maggioranza della popolazione che di quella ricchezza non vede, e non vedrà mai, nemmeno un dollaro.

La Nigeria è uno dei maggiori importatori di autovetture di lusso del continente. Porche, Ferrari, Mercedes circolano abbondantemente per le strade di Abuja e Lagos. Ma questo non deve impressionare perché tra i 40 uomini più ricchi dell'Africa, 11 sono nigeriani.

Il risultato di questa sperequazione nella distribuzione della ricchezza ha degli inevitabili risvolti sociali, un crescente malcontento popolare che sta rendendo endemiche forme di rivolta e terrorismo. Quello di matrice islamica, come i Boko Haram, trova giustificazione e proseliti non solo per motivazioni religiose, ma soprattutto per questioni economiche. E non è un caso che sia l'Islam il veicolo di questo risentimento perché le popolazioni del nord della Nigeria, prevalentemente mussulmana, sono anche le più povere del Paese.

Nello Stato di Sokoto, uno dei 36 Stati della federazione della repubblica di Nigeria, abitato dagli Hausa e geograficamente posizionato ai confini settentrionali, il tasso di disoccupazione è di oltre l'80%. Nel sud invece, dove sono presenti le riserve petrolifere, la percentuale dei senza lavoro è della metà.

Dal malcontento al terrorismo
Il divario sociale tra cristiani e mussulmani si traduce in un pretesto per interpretare in chiave religiosa un problema sociale ed economico.


Se nel nord della Nigeria è Boko Haram a canalizzare il malcontento popolare, nel delta del fiume Niger, lo stesso ruolo lo svolge il MEND (Movimento per l'emancipazione del Delta del Niger). Il MEND non ha una connotazione religiosa, ma comunque i suoi militanti sono quasi tutti di religione cristiana, e considera i Boko Haram un nemico da combattere a da annientare con tutti i mezzi.


Il movimento (MEND) rivendica i diritti della popolazione del Delta del Niger, dove ci sono i pozzi, ad avere maggiori introiti sullo sfruttamento del petrolio. Lotta contro l'inquinamento ambientale che pregiudica attività secolari come la pesca e l'agricoltura. Il governo federale ha cercato in passato di negoziare con il MEND, nel 2009 è stata firmata un'amnistia per circa 26 mila combattenti, sono stati promessi degli incentivi economici che però non sono mai arrivati.


Il risultato è che nel 2013 il MEND ha ripreso la propria lotta armata finanziata da rapimenti ed estorsioni nei confronti di personale straniero della compagnie petrolifere operanti sul territorio, e con il contrabbando di petrolio greggio che viene "rubato" dagli oleodotti che corrono a cielo aperto lungo la foresta nigeriana. La ripresa delle attività del MEND è comunque coincisa anche con la condanna in Sudafrica del suo leader storico, Henry Okah, a 24 anni di carcere.

Un gigante dai piedi di argilla
Se dai dati statistici la Nigeria è un paese economicamente florido, con una crescita economica del 6-8% all'anno, sono altri i numeri da tenere invece d'occhio. 
  • La crescita demografica è del 3,8%, il che significa per un paese di circa 300 milioni di abitanti il raddoppiarsi della popolazione nel giro di circa 20 anni.
  • Senza una politica redistributiva del benessere, quel 40% della popolazione che oggi ha meno di 14 anni, sommato a quel 19% che non supera i 24, danno come risultato il caos e la violenza sociale.
  • Se si proiettano questi dati nel futuro, i problemi sociali della Nigeria di oggi saranno sicuramente minori di quelli della Nigeria di domani.
  • L'aspettativa di vita media in Nigeria è appena di 52 anni, uno dei più bassi dell'Africa.
  • Lo stesso dicasi delle stime della World Health Organization (Organizzazione Mondiale della Sanità) secondo cui le morti infantili in Nigeria rappresentano il 14% del totale mondiale.
Sul piano dei diritti umani, la Nigeria è da sempre sul banco degli imputati. In teoria c'è libertà di stampa, ma gli arresti o la sparizione di giornalisti sono eventi ricorrenti soprattutto se si scrivono articoli contro i potenti, presidente compreso. Anche il sistema giudiziario è teoricamente indipendente, ma la corruzione è quella che determina le sentenze. E la polizia indaga se la paghi, arresta o ti libera se la paghi, accusa o ti assolve se la paghi.

Se i Boko Haram sono accusati a buon titolo di crimini contro l'umanità, e per questo inseriti nella lista delle organizzazioni terroristiche, NON godono di migliore reputazione le forze di sicurezza nigeriane (esercito), additate per la sistematica violazione dei diritti umani.

E da quando, nel maggio del 2013, il presidente Jonathan ha imposto lo stato di emergenza in alcuni stati del nord, gli abusi hanno acquisito la caratteristica di sistematicità, da un lato le efferatezze di Boko Haram contro la popolazione, dall'altra gli arresti indiscriminati, le torture, le uccisioni extra-giudiziarie, le estorsioni e le violenze commesse dall'esercito e dalla polizia.

A questa gara a chi fa peggio si sono aggiunti anche i gruppi armati di autodifesa organizzati dal governo che, con la scusa di difendere la popolazione dagli integralisti islamici, hanno attivamente contribuito alle violazioni. In mezzo ci finisce come vittima predestinata la popolazione civile, a cui è talvolta riservato il lusso di scegliere da parte di chi subire le angherie, e fra essa la sua parte più vulnerabile, le donne e i bambini.

La vicenda delle quasi 300 studentesse rapite a Chibok nello Stato di Borno da Boko Haram ha portato alla ribalta del mondo la Nigeria, le sue contraddizioni e soprattutto ha reso visibile al mondo intero l'impotenza di un governo corrotto e di un esercito incapace di combattere il terrorismo interno - leggi - ed è anche per questo che il governo federale sta facendo di tutto fermare tutte le manifestazioni di solidarietà e le proteste per mantenere alto il livello di attenzione internazionale.

Il problema sono quindi le priorità che si da un paese, o una comunità internazionale. In Nigeria non si rischia di finire in galera per corruzione, tanto più se hai degli amici influenti, o per il fiorente narcotraffico che fa del paese uno dei ponti per l'arrivo in Europa della droga. E non vai in galera nemmeno se traffichi in esseri umani e porti in Europa giovani ragazze a fini di sfruttamento sessualema puoi essere condannato a 14 anni di carcere se contrai un matrimonio gay, o a 10 anni se mostri in pubblico la tua omosessualità.

Questi provvedimenti in vigore da gennaio 2014 sono stati fortemente voluti dal presidente Jonathan, in calo di consensi e che ha pensato bene di tirare fuori il classico coniglio dal cilindro. Nel 2015 i nigeriani andranno al voto per eleggere un nuovo presidente e Jonathan non ha ancora sciolto la riserva su una sua eventuale ricandidatura.

Bisognerebbe domandarsi perché tutto ciò avvenga in Nigeria, alla luce del sole e nella disattenzione più totale dell'opinione pubblica mondiale. La risposta è semplice "perché la Nigeria è un grande Paese, economicamente e demograficamente emergente, pieno zeppo di petrolio e di materie prime, forte contributore alle missioni internazionali dell'ONU. E questo basta e avanza per assolvere la coscienza di molti".

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