26 novembre 2018

Salvini in Ghana, solo propaganda per imbonire gli imbecilli

Perché il ministro, per la sua propaganda, ha scelto il paese che meno "esporta" migranti e che ha un’economia abbastanza stabile? E poi, al di là della retorica, perché NON ha colto l'occasione del blitz in Ghana per recarsi a Cape Coast, il più importante centro per la tratta degli schiavi di tutta l'Africa occidentale? Quella si che sarebbe stata una visita utile per capire il presente.


Quest'estate il ministro Salvini, tra un comizio e l'altro, ha fatto dei viaggi "turistici" nei paesi del Nord-Africa, ma fin'ora ancora nulla di concreto, solo la promessa di mettere a disposizione 42 milioni di euro per i rimpatri degli irregolari, ma ancora nessun atto formale concreto, nessun accordo bilaterale.

Si, è vero, Matteo Salvini una settimana fa ha fatto un blitz anche in Niger, ma solo per veder partire l'aereo di un corridoio umanitario organizzato dall'UNHCR, 51 i "fortunati" che sono arrivati in Italia con quel volo. Anche quella una bella "propaganda" per imbonire gli imbecilli.

NON 51, ma oltre 6.000 i migranti che sono in Niger e che avrebbero bisogno di qualche centinaio di voli come quello

Di certo Salvini NON andrà, almeno per ora, in Nigeria, il paese africano da cui proviene almeno un terzo dei migranti che sono arrivati in Italia in questi anni.

Il presidente nigeriano Buhari di questi tempi ha ben altre priorità come la recrudescenza di Boko Haram e un esercito allo sfascio, un grave problema "etnico" nel Delta del Niger dove nell'ex-Biafra sta rinascendo un forte sentimento indipendentista, ed infine Buhari ha bisogno di farsi rieleggere, fra tre mesi ci saranno le elezioni.

E poi c'è quel dettaglio non da poco che tra Italia e Nigeria c'è già un accordo bilaterale, quello si già firmato, lo aveva sottoscritto un altro Matteo, Renzi nel 2016.

Salvini è andato in Ghana, ad inizio novembre, ma a fare che
Il ministro dell'interno Matteo Salvini
con il presidente del Ghana Nana Akufo-Addo
Certamente solo per dire di esserci stato, per la sua strategia comunicativa. Di ghanesi in Italia ce ne sono pochissimi, e quasi tutti regolari, nessuno da rimandare indietro.

Matteo Salvini è volato il 5 e 6 novembre in Ghana per una missione lampo. Ignorata dai più, la missione aveva lo scopo, secondo l’esponente della Lega, della firma di un «accordo col governo per controllare l’immigrazione e garantire un futuro di studio e lavoro a quei ragazzi, ma nel loro paese»

L’annuncio in uno dei suoi soliti tweet. Ad Accra il ministro pro-tempore ha incontrato il suo omologo ghanese Ambrose Dery e il presidente del paese Nana Akufo-Addo, il quale ha smentito gli entusiastici commenti di Salvini sull'esito del viaggio.

Il principale quotidiano locale, Ghanaians Times, ha titolato il giorno dopo l’incontro: “Il presidente furioso per il trattamento inumano dei migranti africani in Italia”. E nelle pagine interne sono riportate le sue frasi dure contro Salvini: «Non ci si dovrebbe nascondere dietro il pretesto di combattere le migrazioni irregolari per commettere abusi sui migranti irregolari»

Ma il viaggio di Salvini in Ghana si è rivelato stravagante per un altro aspetto. Si è infatti recato nel paese africano che meno esporta migranti e che risulta tra i più stabili dell’Africa. È la seconda economia della Comunità economica degli Stati dell’Africa Occidentale (Ecowas). Dal 2010 è considerato un paese a medio reddito.

I ghanesi in Italia
Sono, complessivamente, poco meno di 49mila. E la loro presenza è sostanzialmente stabile, se è vero che nel 2010 erano 47mila. Rappresentano lo 0,97% sul totale dei migranti. Compiono pochi crimini e sono ottimi lavoratori, in gran parte impegnati soprattutto nelle fabbriche del nord Italia. Pochissimi gli irregolari.

Domanda. Per quale ragione il “ruspante” ministro degli interni italiano ha scelto per la sua propaganda, attraverso la fanfara dei social, il paese sbagliato, e nessuno glielo ha fatto notare. È stato un caso? Oppure, un paese africano vale l’altro per il suo pulpito propagandistico?

Cape Coast (Ghana). Il castello che divenne quartier generale inglese e prigione per gli africani schiavi

Ma è un altro l’interrogativo. Il suo viaggio NON ha previsto né una tappa a Cape Coast oppure a Elmina. Certamente avrà almeno sentito parlare di questi due luoghi della memoria che si affacciano sull'oceano, a un centinaio di chilometri da Accra. Cape Coast è stato il più importante centro per la tratta degli schiavi di tutta l'Africa occidentale. Un luogo simbolo, tutelato dall'Unesco. Nella sua fortezza i prigionieri, a milioni, vi venivano esposti ed i compratori sceglievano all'asta i pezzi migliori per donne e uomini sani e forti.

Sono decine in Africa le "Porte del NON Ritorno. Il Ghana è forse il paese che ne possiede la più alta concentrazione. Tutto il Golfo di Guinea, ovvero la costa compresa tra il Delta del Niger in Nigeria e il Ghana, venne ribattezzato Costa degli Schiavi, e la catena di forti e castelli che si estende lungo il suo litorale costituisce uno straordinario documento storico.

A 15 chilometri da Cape Coast, poi, si trova la cittadina portuale di Elmina. Nelle sue prigioni sotterranee venivano ammassati fino a 300 prigionieri, mani e piedi in catene, immersi nei loro escrementi, trattenuti per mesi prima di essere imbarcati come schiavi. Chi moriva di malattie, fame e sete veniva gettato in mare. A chi tentava la fuga venivano mozzate le orecchie per essere poi rinchiuso nella cella della morte.

Immagini che sembrano rubate ai lager libici di oggi, dove sono ammassati i corpi di centinaia di migliaia di migranti. Corpi, non persone

Il primo viaggio di Barak Obama, come presidente degli Stati Uniti, fu in Africa, il 10-11 luglio 2009, proprio a Cape Coast, omaggio alla sua storia e ai luoghi dove si sono rattrappiti i valori occidentali.

Ma al signor Salvini, che si mostra un politico così ossessivamente appassionato al tema dei migranti e di persone in fuga, NON ha sentito nemmeno la necessità di visitare, nel suo blitz in Ghana, quelle stanze, quelle prigioni, in cui le speranze morivano ancor prima di nascere.




Articolo a cura di
Maris Davis


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25 novembre 2018

Stupro, abusi e libertà negate. I dati della violenza contro le donne

Nel mondo una donna su tre ha conosciuto da vicino la violenza.


In Italia, la maggioranza degli stupri è opera del partner e quando una donna viene uccisa, nell’80% dei casi è per mano di un cittadino italiano.

"È una causa di morte e menomazione tanto forte quanto il cancro, e genera più danni alla salute degli incidenti stradali e della malaria messi insieme. Una vera piaga sociale che continua a rappresentare un ostacolo nel percorso verso la parità, lo sviluppo e il rispetto dei diritti umani di donne di tutte le età"
(Le Nazioni Unite si esprimono così, senza mezzi termini, sulla violenza contro le donne)

Un dramma dalla portata enorme, che non lascia privo di macchia alcun paese al mondo. Superarla è uno degli obiettivi fondamentali per lo sviluppo sostenibile dell'Onu eppure ancora oggi, nell'anno in cui persino il premio Nobel per la pace è in prima linea contro gli abusi sessuali. Sono complici la paura, la vergogna, lo stigma e, molto spesso, l’impunità del colpevole, chi la subisce lo fa il più delle volte in silenzio.

Un tentativo di infrangere questo silenzio è quello di #HearMeToo, ascolta anche me, lo slogan della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne 2018. Invita ad alzare la voce contro le botte, le molestie, gli abusi sessuali e non, il femminicidio, lo stalking.

Le iniziative si protrarranno poi per 16 giorni, cioè fino al 10 dicembre (Giornata mondiale dei diritti umani), e puntano a smuovere coscienze, istituzioni, scuole, università, squadre e membri della società civile e a fare scudo perché, una volta per tutte, si faccia un passo avanti.

Perché i numeri delle vittime, nonostante gli appelli e gli sforzi compiuti finora, sono allarmanti. Nel mondo, e anche in Italia.


Le donne vittime di violenza nel mondo
Una su tre. È questo il dato che rappresenta le donne che prima o poi, nel corso della vita, subiscono una forma di violenza, sia essa fisica o sessuale. L’artefice, la maggior parte delle volte, è il partner.

A livello globale, circa un terzo delle donne che sono impegnate in una relazione ha vissuto una qualche forma di violenza da parte del proprio compagno. Indagini condotte tra il 2005 e il 2016 in 87 paesi riportano che il 19% delle donne e delle ragazze tra i 15 e i 49 anni rivela di aver subito violenze fisiche o sessuali da parte del partner o ex partner.

La percentuale di donne vittime di violenza varia sia all'interno dei paesi, sia attraverso le varie regioni del mondo. In Europa, dove nella maggior parte dei paesi che hanno dati disponibili si registra una prevalenza inferiore al 10%, i valori sono i più bassi rispetto alle altre aree geografiche.


Se consideriamo invece tutte le vittime di omicidio a livello globale, una donna su due viene uccisa dal proprio compagno o da un membro della famiglia.

Tanta violenza ma poche denunce
Nonostante il tasso di abusi e molestie sia elevatissimo, sono poche le donne che reagiscono facendosi sentire ufficialmente con segnalazioni e denunce, soprattutto le più giovani.


Tra le ragazze di età compresa tra i 15 e i 19 anni, per esempio, ci sono quasi 15 milioni di persone che sono state costrette almeno una volta a rapporti o altre pratiche sessuali. Il "violento", nella maggioranza dei casi, è ancora una volta il fidanzato, il partner, il marito o l’ex. Dalle informazioni rilevate in una trentina dei paesi in tutto il mondo, solo l’1% di esse si affida poi a un professionista per riprendersi (dati Unicef 2017).

Anche tra le donne più adulte la fatica a denunciare è grande. Nei paesi sottoposti a indagine, meno del 40% delle donne vittime di violenze chiedeva una qualche forma di aiuto, tanto meno a organi come la polizia (solo il 10% di queste) e altre istituzioni o a un medico.

Libertà negate
La violenza non ha però solo la forma delle percosse, dello stupro, dell’omicidio. Si misura anche nel soffocamento della libertà individuale.

Per esempio, uno degli indicatori per inquadrare la situazione delle donne sul piano globale è la misura del potere decisionale sulla propria vita sessuale, intesa anche come scelta dei contraccettivi e gestione indipendente della propria salute intima. Si stima che nel mondo solo il 52% delle donne coniugate o impegnate in una relazione abbia voce in capitolo su tali questioni.


Un altro indicatore che possiamo considerare è la percentuale di spose bambine
Ragazze giovanissime, spesso ben al di sotto dei 18 anni, che vengono forzate a sposarsi con uomini adulti. Si tratta di una pratica in calo negli ultimi anni, ma che rimane consistente, tanto che si calcola che oggi, nel Mondo, vi siano 650 milioni di donne sposate prima di aver raggiunto la maggiore età. Su questo fronte, secondo le Nazioni unite, difficilmente vedremo risultati incoraggianti entro il 2030, soprattutto nelle regioni dove l’usanza è più diffusa, come l’Asia meridionale e l’Africa Sub-sahariana.




Articolo di
Maris Davis


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23 novembre 2018

Silvia li aiutava a casa loro ma è massacrata sui social

Prima ci dicono di andarli ad aiutare a casa loro e poi ci massacrano di insulti nel web. L'idiozia umana non ha limite.


Odio sui social contro Silvia, 'se l'è andata a cercare'

Non c'è né silenzio né pace sui social media per Silvia Costanza Romano. Non basta l'appello dei genitori della volontaria sequestrata in Kenya ai media tradizionali a fermare la comunicazione alternativa, e da due giorni Facebook e Twitter sono inondati di insulti e offese contro la giovane milanese.

Un odio cieco e ottuso che troppo spesso si scaglia in modo inspiegabile contro le vittime, per lo più donne, di violenze e soprusi. Un odio cieco e brutale che i social media servono su un piatto d'argento.

Nascosto dall'anonimato, con una tastiera sottomano, c'è chi nelle ore angoscianti successive al rapimento è arrivato ad augurarsi che "quei selvaggi le insegnino le buone maniere sessuali". Un commento aberrante. Silvia in Africa "è andata a cercarsela" il sequestro come la ragazza che indossa una minigonna di notte si va a cercare lo stupro.

Una 23enne laureata che decide di lasciare il suo paese per aiutare gli abitanti di un piccolo villaggio in Kenya è "un'oca giuliva" perché, in fondo, poteva "far volontariato alla mensa della Caritas" dietro casa. Internauti indignati e preoccupati, non per la sorte della cooperante, ma per chi pagherà i soldi di un eventuale riscatto.

"Lo Stato non deve pagare per una scriteriata in cerca di emozioni forti"

Sono i commenti aberranti di una retorica pressappochista e misogina che in passato hanno subito anche Vanessa Marzullo e Greta Ramelli, le due volontarie rapite in Siria nel 2014. E, in era pre-social, le 'due Simone', Pari e Torretta, sequestrate in Iraq nel 2004. Non esistevano ancora gli 'haters' professionisti eppure le due cooperanti di 'Un ponte per' furono sommerse da una valanga di critiche per la loro scelta di far volontariato in un paese così difficile. Oggi, a distanza di 14 anni, qualcuno ancora le cita come "quelle due sciagurate che andarono in Iraq"

Nel dibattito sull'odio 'sociale' contro Silvia Romano è intervenuto anche l'ex presidente del Senato, Piero Grasso, che ha definito i commenti "scandalosi" e ha chiesto di "non dare più spazio né visibilità all'odio, al rancore, all'ignoranza, a chi vomita veleno su una giovane ragazza che ha scelto di dedicare un pezzo della sua vita agli altri"

Mentre ha sollevato un vespaio il 'Caffè' di Massimo Gramellini dedicato alla vicenda nel quale l'editorialista del Corriere della Sera da una parte prova a capire chi ritiene che la "scelta avventata" della volontaria "rischia di costare ai contribuenti italiani un corposo riscatto" dall'altra difende "l'energia pura, ingenua e un po' folle" di una ragazza "entusiasta e sognatrice" che vuole "cambiare il mondo"

Poche ma dense righe che hanno diviso il web diventando trend topic su Twitter e scatenando la macchina del 'meta-fango'. Chi, superficialmente, si è fermato alla prima parte dell'articolo ha criticato aspramente Gramellini e lo ha invitato a scusarsi con la famiglia Romano. Ma c'è anche chi, pur avendo letto la rubrica fino in fondo come chiesto dallo stesso Gramellini sul suo account Twitter, gli ha rimproverato "toni misogini e paternalistici"

Oggi lo stesso Massimo Gramellini ha "riscritto" quel "Caffè", forse in troppi lo hanno capito male. O magari è lui stesso, giornalista esperto e di lungo corso, si è accorto di essersi espresso male.

Guardo il sorriso dei 23 anni di Silvia. In quel sorriso vedo la semplicità, l'intelligenza, la fierezza di chi non si arrende al mondo che ha trovato e il coraggio di chi vorrebbe mettere in gioco tutta se stessa per cambiarlo, per modificarne nel profondo anche una minima parte. La forza. La forza e la sensibilità di chi sente le ingiustizie sulla propria pelle e avverte il senso di una missione, da compiere con semplicità e dedizione.

E poi vedo il buio delle parole dure, pesanti come pietre, parole allucinate dall'odio e dal fango, da parte di cittadini di questa Italia che hanno perso la bussola. Che sono disposti prima a dire "aiutiamoli a casa loro" e poi un secondo dopo a crocifiggere chi decide di prendere in mano la sua vita e metterla a disposizione degli altri.

È strano questo mondo, davvero, e tocca reagire. La lavatrice di fango che subisce Silvia non ha riguardato i tanti imprenditori che in questi anni sono stati sequestrati nelle aree più difficili dell'Africa, mentre erano lì a fare profitti. Al contrario, in molti hanno preso parola, come è sacrosanto, per chiederne l'immediata liberazione. Ma se un fatto del genere accade a una giovane donna di 23 anni che è in Kenya per provare a restituire a questo mondo marcio e malato un pezzo della dignità che merita, allora "se l'è andata a cercare" e "poteva starsene a casa sua"

È la tremenda ipocrisia di quei benpensanti che poi ogni giorno consigliano a una generazione dimenticata e allevata a pane, precarietà e ossessione competitiva, di andare in giro per l'Europa a fare Erasmus, ad accumulare titoli su titoli, lauree, master e ad accrescere competenze da inserire nei curriculum che diventano degli aeroplani di carta, spesso senza destinazione.

Questa è l'ipocrisia peggiore. L'ipocrisia che genera rabbia, perché condita dal solito paternalismo, secondo il quale va tutto bene se ti adegui, se ti uniformi, se sei conforme alla confezione pensata e prodotta, se accetti di non avere un ruolo attivo nelle cose del mondo.


Ciao Silvia, gli idioti del web è come se ti avessero rapita due volte, è come quando una donna viene stuprata. Allo stupro si aggiunge l'odio, la giustificazione di chi dice che lei se l'è cercata perché "aveva la minigonna" o un "pettorale troppo in vista". Si, Silvia, quegli idioti, quei professioni dell'insulto che si nascondono "anonimi" dietro ad una tastiera, ti hanno violentata di nuovo, hanno perfino chiesto ai tuoi rapitori di stuprarti.

Prima si riempiono la bocca di slogan come "Aiutiamoli a casa loro" e poi, quando ci andiamo davvero ad aiutarli e ci succede qualcosa, sono i primi ad insultarci anziché dirci grazie.

Silvia, ti voglio bene e ti ammiro per tutto l'Amore che hai dimostrato per l'Africa, resisti e cerca di essere forte in queste ore difficili. "Non ti curar di loro, ma guarda e passa"

Tu, e tutti quei giovani che come te regalano un pezzo della loro vita agli altri, siete la Speranza di quel Mondo Migliore che sento arrivare .. nonostante tutto.

Ciao Silvia, tutta Foundation for Africa è con te
Il tuo amore per l'Africa è anche il nostro
Ora devi essere forte, per te, per la tua famiglia e per tutti quei bambini che stavi aiutando. Ti riporteremo a casa
(Maris Davis)





Articolo a cura di
Maris Davis


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20 novembre 2018

Bambini. I diritti negati di infanzia e adolescenza

Il 20 novembre è la Giornata mondiale dei diritti dell'infanzia e dell'adolescenza.


Nei report dell'Unicef la situazione dei diritti dei bambini negati, dalle morti premature alla mancanza di acqua potabile nella scuola, dal bullismo a malattie che si potrebbero prevenire. Africa e Asia le aree più colpite, ma alcuni fenomeni riguardano anche l'Italia.

Giornata per i Diritti dell'Infanzia e dell'Adolescenza
La data scelta per ricordare i principi contenuti nella Convenzione del 1989, ratificata dall’Italia nel 1991, con la quale ogni stato si assume l’impegno di proteggere i minori.

Il 20 novembre si celebra in tutto il mondo la Giornata internazionale dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. La data ricorda il giorno in cui l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite adottò, nel 1989, la Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, e coincide con un duplice anniversario: quello della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (1789) e quello della Dichiarazione dei Diritti del Bambino (1959). Sono oltre 190 i Paesi nel mondo che hanno ratificato la Convenzione: l’Italia l’ha ratificata nel 1991.

Ci sono ancora troppi bambini e ragazzi nel mondo che hanno paura di andare a scuola perché è lì che si consumano atti di bullismo, di molestie o punizioni corporali. Andare scuola è un diritto di ogni bambino mentre ancora nel mondo sono 262 milioni quelli cui è negato questo diritto. Sono inoltre 650 milioni le ragazze sotto i 18 anni cui è stato impedito di andare a scuola perché sono state costrette al matrimonio e 5,5 milioni i bambini morti, prima di aver compiuto i 5 anni, per cause evitabili.

I principi della Convenzione
I principi fondamentali della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza sono quattro:
  1. non discriminazione; superiore interesse (l’interesse dei bambini e delle bambine deve avere la priorità);
  2. diritto alla vita, alla sopravvivenza e allo sviluppo;
  3. ascolto delle opinioni del minore.
  4. Negli articoli 28 e 29 si riconosce il diritto dei bambini e delle bambine all'educazione.
Gli Stati che hanno firmato la convenzione si impegnano ad adottare misure per promuovere la regolarità della frequenza scolastica e la diminuzione del tasso di abbandono della scuola.

Pedo-pornografia e violenze domestiche
Dal dossier della campagna «Indifesa» dell’Associazione Terre des Hommes che sostiene i diritti dei minori, emerge che negli ultimi dieci anni in Italia la condizione dei più fragili è peggiorata: in particolare, si legge nel report, riguardo la pedo-pornografia e le gravidanze tra minorenni. Sono aumentati anche i bambini, soprattutto bambine, vittime di violenza domestica che hanno raggiunto il 43 per cento, con 1723 molestati nel 2017 in famiglia. L’Onu ha stimato che ogni anno nel mondo tra i 133 e i 275 milioni di bambini assistono a episodi di violenza in casa.

Violenza contro i minori
In Italia 5.080 vittime, 6 su 10 sono bambine e ragazze. Oltre 770 hanno subito violenza sessuale.


Convenzione ONU per i Diritti dell'Infanzia e dell'Adolescenza
20 novembre 1989

Nel 2017 sono morti circa 6,3 milioni di bambini sotto i 15 anni, uno ogni 5 secondi, spesso per cause che si potevano prevenire.

È solo uno dei drammatici dati che caratterizzano l’universo dell’infanzia e che parla dei diritti dei bambini violati. Una situazione sulla quale varrebbe la pena interrogarsi più spesso.


Morti premature. A rischio milioni di bambini
Un bambino ogni cinque secondi. È questa la triste media che caratterizza le morti premature nel mondo. Le stime sulla mortalità dei bambini arrivano da un rapporto dell’Unicef, che insieme all’Oms, la Divisione delle Nazioni Unite per la popolazione e il gruppo Banca Mondiale, rivela come nel 2017 siano morti circa 6,3 milioni di bambini sotto i 15 anni, spesso per cause prevenibili: 5,4 milioni nei primi 5 anni di vita, mentre 2,5 milioni erano neonati.

La distribuzione geografica sposta l’ago della bilancia sui paesi dell’Africa sub-sahariana, dove è avvenuta la metà di tutte le morti sotto i 5 anni, ovvero un bambino su 13. Mentre se si parla di bambini tra i 5 e i 14 anni, la cui morte avviene per lo più per infortuni come annegamento e incidenti stradali, un bambino proveniente dall'Africa sub-sahariana ha un rischio di morte 15 volte maggiore che in Europa. Il maggiore peso sulla bilancia, in termini assoluti, proviene dall'Asia meridionale, che conta il 30% delle morti.

«Senza un’azione immediata entro il 2030 moriranno 56 milioni di bambini sotto i 5 anni, la metà dei quali neonati»

A rendere ancora più drammatica la statistica Unicef è la consapevolezza che la maggior parte dei bambini sotto i 5 anni muore per cause prevenibili, come complicazioni durante il parto, ma anche malattie come polmonite, diarrea, sepsi neonatale e malaria. Tutte malattie curabili e facilmente prevenibili.

Elenco dei paesi con diritti dei bambini negati
Entrando nel dettaglio dei dati, il rapporto Unicef rivela come in paesi come la Somalia si parli di 127 bambini sotto i 5 anni morti su mille nati vivi, in Ciad il numero tocca quota 123, 122 per la Repubblica Centrafricana, mentre per Sierra Leone e Mali si parla rispettivamente di 111 e 106.

Il Pakistan è invece il paese in cui si registra il più alto tasso di mortalità neonatale, con 44 decessi ogni mille nati vivi. Seguono Repubblica Centrafricana (42), Sud Sudan (40), Somalia (39) e Afghanistan (39).

I primi cinque paesi al mondo in cui nel 2017 si è registrato il più alto tasso di mortalità sotto un anno di età sono Repubblica Centrafricana (88 bambini ogni mille nati vivi), Sierra Leone (82), Somalia (80), Ciad (73) e Repubblica Democratica del Congo (70).

«Più di 6 milioni di bambini che muoiono prima del loro 15° compleanno sono un costo che non possiamo permetterci»

A rischio maggiore sono i bambini delle aree rurali, dove i tassi di mortalità sono in media del 50% più alti rispetto alle aree urbane. I bambini nati da madri non istruite hanno, inoltre, una probabilità oltre due volte maggiore di morire prima di compiere cinque anni, rispetto a quelli nati da madri con un’istruzione di livello secondario o superiore.

I dati ONU
Le sfide sono ancora alte, ma qualche progresso è stato fatto. Basti pensare che il numero dei bambini sotto i 5 anni che muoiono è diminuito dai 12,6 milioni del 1990 ai 5,4 milioni del 2017. Per quanto riguarda i bambini tra i 5 e i 14 anni, invece, si passa da 1,7 milioni di morti nel 1990 a meno di un milione di oggi.

«Questo nuovo rapporto sottolinea gli importanti progressi compiuti dal 1990 nella riduzione della mortalità fra i bambini e i giovani adolescenti. Ridurre le ineguaglianze è essenziale per raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile per porre fine alle morti infantili prevenibili»


Infanzia e adolescenza senza servizi nella scuola primaria
In una scuola primaria su quattro non ci sono servizi di base di acqua potabile. Questo numero diminuisce a 1 su 6 nelle scuole secondarie.

Nel 2016 quasi 600 milioni di bambini non avevano servizi di base di acqua potabile a scuola e meno della metà delle scuole in Oceania e solo due terzi delle scuole in Asia centrale e meridionale hanno servizi di base di acqua potabile. Lo rivela il rapporto di Unicef e Oms Acqua potabile e servizi igienico-sanitari a scuola.

«Se l’istruzione è fondamentale per aiutare i bambini a fuggire dalla povertà l’accesso all'acqua e ai servizi igienico-sanitari è fondamentale per aiutare i bambini a sfruttare al meglio e in sicurezza la loro istruzione»

I dati che emergono dal rapporto sono imponenti. Una scuola primaria su cinque e una scuola secondaria su otto non hanno servizi igienico-sanitari; un terzo delle scuole in Africa sub-sahariana e in Oceania non ha servizi igienico-sanitari. E meno del 50% delle scuole “analizzate” per redigere il rapporto, possiede bagni accessibili agli studenti con mobilità ridotta.

E ancora, oltre un terzo delle scuole nel mondo e la metà delle scuole nei paesi meno sviluppati non hanno postazioni in cui lavarsi le mani con acqua e sapone.

«Milioni di neonati e bambini non dovrebbero morire ancora ogni anno per mancanza di accesso ad acqua, servizi igienico-sanitari, nutrizione adeguata o servizi sanitari di base. Dobbiamo rendere la fornitura dell’accesso universale a servizi sanitari di qualità prioritaria per ogni bambino»


Diritti dei bambini negati. Niente scuola quando si scappa dalla guerra
La guerra porta con sé la morte. E per chi vi sfugge la vita sarà fatta di povertà e di diritti negati. Come quello all'istruzione scolastica. Lo dice chiaramente quel dato che parla di 303 milioni di bambini e giovani nel mondo tra i 5 e i 17 anni che non vanno a scuola, un bambino su tre, 104 milioni quelli che vivono in paesi colpiti da conflitti o disastri.

«Quando un paese è colpito da conflitti o disastri i suoi bambini e giovani sono vittime due volte. Nel breve periodo, le loro scuole vengono danneggiate, distrutte, occupate da forze militari o anche deliberatamente attaccate, a causa di ciò vanno ad aggiungersi ai milioni di giovani che non vanno a scuola e con il passare degli anni raramente ritornano»

Il rapporto UnicefUn futuro rubato: giovane e fuori dalla scuola” mostra che 1 bambino su 5 tra i 15 e i 17 anni che vive in paesi colpiti da conflitti o disastri non è mai entrato in una scuola e 2 su 5 non hanno mai completato il ciclo di istruzione primaria.

Secondo il rapporto e le stime attuali, il numero di persone tra i 10 e i 19 anni che non andrà a scuola entro il 2030 arriverà a 1,3 miliardi, con un aumento dell’8%.

La violenza nelle scuole ostacola l’istruzione nel mondo
A livello globale, poco più di uno studente su tre fra 13 e 15 anni è vittima di bullismo e circa la stessa percentuale è coinvolta in scontri fisici. Lo rivela il rapporto lanciato dall’Unicef “Una lezione quotidiana: porre fine alla violenza nelle scuole

Anche questo capitolo desta preoccupazione, se si considera che tre studenti su 10 in 39 paesi industrializzati ammettono di esercitare bullismo sui loro coetanei.

Nel 2017 sono stati registrati 396 attacchi documentati o verificati sulle scuole nella Repubblica Democratica del Congo, 26 sulle scuole in Sud Sudan, 67 attacchi in Siria e 20 attacchi in Yemen. E ancora, circa 720 milioni di bambini in età scolastica vivono in paesi in cui le punizioni fisiche a scuola non sono completamente proibite.

«L’istruzione è fondamentale per costruire delle società che vivano in pace, eppure, per milioni di bambini nel mondo, la scuola stessa non è sicura. Ogni giorno, i bambini incontrano numerosi pericoli, fra cui scontri, pressione per unirsi alle gang, bullismo, sia di persona che on-line, punizioni violente, molestie sessuali e violenza armata»


Bullismo. Anche in Italia sono negati i diritti dei bambini
In questa triste classifica non è da escludere l’Italia, dove il 37% degli studenti fra i 13 e i 15 anni ha riferito di essere stata vittima di bullismo a scuola almeno una volta negli ultimi due mesi e di essere stata coinvolta in scontri fisici almeno una volta nei 12 mesi passati.

In questa stessa fascia di età, il 12% degli studenti ha subito atti di bullismo, a scuola almeno una volta negli ultimi due mesi e il 31% è stato coinvolto in atti di violenza fisica, almeno una volta negli ultimi 12 mesi.




Articolo di
Maris Davis


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19 novembre 2018

Irlanda, stupratore assolto. Lei (minorenne) aveva abiti troppo succinti

Noi donne siamo beni disponibili, disprezzabili se non ci concediamo, abusabili in migliaia di modi diversi, con lettere scarlatte impresse sulla carne e segnaletiche di libero accesso nel vestiario. Stanche davvero di tutto questo buio.


La notizia
È destinata a far discutere la sentenza emessa lo scorso 6 novembre dal Tribunale di Cork, in Irlanda, che ha scagionato un 27enne accusato di aver stuprato una ragazza di 17 anni. Secondo il giudice la minorenne indossava «biancheria troppo sexy», che giustificherebbe in qualche modo il rapporto non consensuale avuto dai due.


La sentenza ha generato grande indignazione in Irlanda, dove a migliaia sono scesi in piazza per protestare al grido di "this is not consent", ovvero "questo non è consenso"

«Guardate il modo in cui era vestita, indossava un perizoma con la parte davanti in pizzo» ha dichiarato l'avvocato difensore (una donna) del 27enne durante l'arringa, lasciando intendere che l'abbigliamento della minorenne avesse "provocato" l'uomo.

L'hashtag #ThisIsNotConsent sta letteralmente spopolando sui social, dove tante donne stanno gridando la loro indignazione mostrando provocatoriamente la loro biancheria intima.

La questione è arrivata fino in parlamento, dove la socialista Ruth Coppinger ha sventolato un tanga dichiarando: «Potrebbe suscitare imbarazzo mostrare un paio di mutande in Parlamento, ma pensate a quanto lo sia di più per una vittima di stupro vederle finire in tribunale». Una riforma del sistema giudiziario è stata chiesta anche dal centro anti-violenza di Dublino, in quanto troppo spesso basato su pregiudizi nei confronti delle donne.

Donne a abiti succinti
Sapete, l'altro giorno ho trovato cento euro. Ok, erano dentro il portafoglio della donna che era in treno di fronte a me. Il portafoglio sporgeva leggermente dalla sua borsetta, ma li ho pur sempre trovati lì davanti, invitanti, sembrava che stessero aspettando proprio me. Che cosa dovevo fare??

Che cosa direste voi di fronte a qualcuno che vi racconta una storia del genere?? Se siete un minimo onesti, credo l'unica cosa si possa dire, chiamare le cose con il loro nome, quello è stato un furto, nient'altro che un furto. Logico, chiaro, lineare.


Eppure quando si parla di stupro tutta questa logica sembra sfumare, ed è perfino possibile che pochi giorni prima della Giornata Internazionale contro la Violenza sulle Donne, una donna "avvocato" pronunci nella sua arringa difensiva finale le seguenti frasi davanti a un tribunale: "Dite che le prove hanno escluso che lei fosse disposta ad andare a letto con l'imputato?? Guardate qui!" e getta sul banco della giuria un tanga "C'è il pizzo sul davanti, ed era un tanga. Non era un segno non troppo velato che la ragazza volesse fare sesso?? La colpa in fondo è anche sua, che ha fatto vedere troppo e così ha lanciato segnali contraddittori"

E il portafoglio era lì, bello, la colpa è di quella donna che sul treno ha lasciato che il portafoglio si vedesse dentro la borsetta.

È successo in Irlanda, nella cattolicissima Irlanda, ma quanti anche in Italia sarebbero d'accordo con il tribunale che ha assolto lo stupratore??


Quanti ancora pensano che l'equazione "vestito succinto", "minigonna" è uguale "sono disponibile"?? Probabilmente anche qualcuno che mi sta leggendo in questo momento

Un tanga non è un'invito a stuprare una ragazza, come un portafoglio che spunta da una tasca non è un invito a rubare.
(Maris Davis)



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Articolo a cura di
Maris Davis


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