27 settembre 2018

Decreto Salvini. Un testo discriminatorio e a tratti perfino "razzista"

Inizialmente i decreti avrebbero dovuto essere due, uno sull'immigrazione e l'altro sulla sicurezza. Alla fine si è optato per un unico decreto quasi a dire che la sicurezza dipende dagli immigrati e, viceversa, che gli immigrati sono la causa principale dell'insicurezza in Italia.

Braccianti agricoli nel ghetto di Rignano Garganico

È un decreto "razzista" perché giudica le persone non per quello che hanno fatto ma per quello che sono, semplicemente migranti. Una nuova legge razziale, a 80 anni da quelle di mussoliniana memoria.

Il 24 settembre il consiglio dei ministri ha approvato all'unanimità il cosiddetto decreto Salvini su immigrazione e sicurezza. Il decreto si compone di tre titoli: il primo si occupa di riforma del diritto d’asilo e della cittadinanza, il secondo di sicurezza pubblica, prevenzione e contrasto della criminalità organizzata, e l’ultimo di amministrazione e gestione dei beni sequestrati e confiscati alla mafia.

Nei giorni precedenti all'approvazione si erano diffuse delle voci su possibili dissidi tra i due partiti di maggioranza, Lega e Movimento 5 stelle, ma il ministro dell’interno Matteo Salvini durante la conferenza stampa a palazzo Chigi ha voluto sottolineare che i cinquestelle hanno approvato senza riserve il suo progetto di riforma.

All'inizio i decreti avrebbero dovuto essere due. il primo sull'immigrazione e il secondo sulla sicurezza e sui beni confiscati alle mafie, poi nel corso dell’ultima settimana sono state fatte delle “limature” e i due decreti sono stati accorpati in un unico provvedimento. Il decreto dovrà ora essere inviato al presidente della repubblica Sergio Mattarella che a sua volta deve autorizzare che la norma sia presentata alle camere. Ecco in sintesi cosa prevede.

Parte Prima. Immigrazione
Abolizione della protezione umanitaria. Il primo articolo contiene nuove disposizioni in materia della concessione dell’asilo e prevede di fatto l’abrogazione della protezione per motivi umanitari che era prevista dal Testo unico sull'immigrazione (legge Bossi-Fini).

La legge sull'immigrazione attualmente in vigore invece prevede che la questura conceda un permesso di soggiorno ai cittadini stranieri che presentano “seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello stato italiano”, oppure alle persone che fuggono da emergenze come conflitti, disastri naturali o altri eventi di particolare gravità in paesi non appartenenti all'Unione Europea.

Fino ad oggi la protezione umanitaria poteva essere riconosciuta anche a cittadini stranieri che non è possibile espellere perché potrebbero essere oggetto di persecuzione nel loro paese (articolo 19 della legge sull'immigrazione) o in caso siano vittime di sfruttamento lavorativo o di tratta. In questi casi il permesso ha caratteristiche differenti. La durata è variabile da sei mesi a due anni ed è rinnovabile. Questa tutela è stata introdotta in Italia nel 1998.

Nel 2017 in Italia sono state presentate 130mila domande di protezione internazionale. il 52 per cento delle richieste è stato respinto, nel 25 per cento dei casi è stata concessa la protezione umanitaria, all'8 per cento delle persone è stato riconosciuto lo status di rifugiato, un altro 8 per cento ha ottenuto la protezione sussidiaria, il restante 7 per cento ha ottenuto altri tipi di protezione. Dal gennaio del 2018 le richieste di asilo in Italia stanno diminuendo anche perché contemporaneamente sono diminuiti gli ingressi.

Con il decreto Salvini questo tipo di permesso di soggiorno non potrà più essere concesso dalle questure e dalle commissioni territoriali, né dai tribunali in seguito a un ricorso per un diniego. Sarà introdotto, invece, un permesso di soggiorno per alcuni “casi speciali”, cioè per alcune categorie di persone: vittime di violenza domestica o grave sfruttamento lavorativo, per chi ha bisogno di cure mediche perché si trova in uno stato di salute gravemente compromesso o per chi proviene da un paese che si trova in una situazione di “contingente ed eccezionale calamità”. È previsto infine un permesso di soggiorno per chi si sarà distinto per “atti di particolare valore civile

Nella pratica la protezione umanitaria potrà essere concessa solo a chi è gravemente ammalato, alle vittime di violenza domestica o di grave sfruttamento lavorativo, oppure nei casi in cui il paese d'origine versi in una particolare e contingente "calamità". Non sono previste concessioni per le ragazze vittime di sfruttamento sessuale.

Con il decreto Salvini sarà necessario diventare eroi e compiere atti di particolare valore civile per ottenere il permesso di soggiorno

Estensione del trattenimento nei CPR. Ora gli stranieri che sono trattenuti nei Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr), ex Cie, in attesa di essere rimpatriati possono essere trattenuti al massimo per 90 giorni. Con il decreto Salvini (articolo 2) il limite si sposta fino a un massimo di 180 giorni. Già in passato l'Europa ha condannato l'Italia perché gli immigrati venivano trattenuti negli ex-Cie per lunghi periodi senza che avessero commesso reati e solamente per la loro condizione di "clandestinità"

Trattenimento dei richiedenti asilo e degli irregolari ai valichi di frontiera. L’articolo 3 del decreto prevede che i richiedenti asilo possano essere trattenuti per un periodo di al massimo trenta giorni nei cosiddetti hotspot per accertarne l’identità e la cittadinanza. Il richiedente asilo può essere trattenuto, inoltre, per al massimo 180 giorni all'interno dei Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr). L’articolo 4, infine, prevede che gli irregolari possano essere trattenuti negli uffici di frontiera, oltre ai Cpr, qualora non ci sia disponibilità di posti nei Cpr e con l’autorizzazione del giudice di pace, su richiesta del questore.

Più fondi per i rimpatri. All'articolo 6 è previsto lo stanziamento di più fondi per i rimpatri: 500mila euro nel 2018, un milione e mezzo di euro nel 2019 e un altro milione e mezzo nel 2020.

Revoca o diniego della protezione internazionale e dello status di rifugiato. Il decreto estende la lista dei reati che comportano la revoca dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria: saranno inclusi anche i reati come violenza sessuale, produzione, detenzione e traffico di sostanze stupefacenti, rapina ed estorsione, furto, furto in appartamento, minaccia o violenza a pubblico ufficiale. La domanda potrà inoltre essere sospesa quando il richiedente abbia in corso un procedimento penale per uno dei reati che in caso di condanna definitiva comporterebbe il diniego dell’asilo. Inoltre, se il rifugiato tornerà nel paese d’origine, anche temporaneamente, perderà la protezione internazionale e quella sussidiaria.

In questo caso, se il principio di revocare lo status di rifugiato o la protezione sussidiaria a chi commette reati è giusta e sacrosanta, resta il fatto che un migrante diventa "colpevole" solo perché è indagato. Viene violato il principio costituzionale secondo il quale uno è innocente fino alla condanna definitiva e non solo perché su di lui pende un procedimento giudiziario. Si applicano due metodi, uno per l'immigrato e l'altro per il comune cittadino italiano.

Restrizione del sistema di accoglienza. Il Sistema per l’accoglienza dei richiedenti asilo e dei rifugiati (Sprar), il sistema di accoglienza ordinario che è gestito dai comuni italiani, sarà limitato solo a chi è già titolare di protezione internazionale o ai minori stranieri non accompagnati. Sarà quindi ridimensionato e cambierà nome.

Esclusione dal registro anagrafico dei richiedenti asilo. L’articolo 13 del decreto prevede che i richiedenti asilo non si possano iscrivere all'anagrafe e non possano quindi accedere alla residenza.

Ci si lamenta perché si vede "bighellonare" gli stranieri in giro per le strade senza fare nulla, possibili prede della criminalità. Se fin'ora gli stranieri in attesa di permesso di soggiorno NON potevano lavorare, da adesso NON possono nemmeno iscriversi all'anagrafe o iniziare un percorso di integrazione attraverso il sistema di accoglienza (Sprar).

Il sistema Sprar (accoglienza diffusa) è un sistema di integrazione che ha dimostrato in questi anni di funzionare molto bene nella maggioranza dei casi. Un sistema comunque di cui hanno beneficiato solo una minoranza di immigrati, un po' per mancanza di fondi fondi, ma soprattutto per i troppi comuni italiani che non vogliono immigrati nel loro territorio.

Nella pratica, con le nuove norme, si resta "clandestini", ovvero invisibili, anche dopo la richiesta di protezione internazionale o la richiesta di asilo

Riforma della cittadinanza. Il decreto prevede che sia modificata la legge italiana sulla cittadinanza del 1992. La domanda per l’acquisizione della cittadinanza potrà essere rigettata anche se è stata presentata da chi ha sposato un cittadino o una cittadina italiana.

Finora le domande per matrimonio non potevano essere rigettate. Il contributo richiesto per la domanda aumenta da 200 a 250 euro, inoltre è prolungato fino a 48 mesi il termine per la concessione della cittadinanza sia per residenza sia per matrimonio. È inoltre introdotta la possibilità di revocare (o negare) la cittadinanza a chi viene condannato in via definitiva per reati legati al terrorismo. La revoca è possibile entro tre anni dalla condanna definitiva, per decreto del presidente della repubblica su proposta del ministro dell’interno.

Sposare un cittadino italiano non è più motivo per ottenere la cittadinanza. Fin'ora il coniuge straniero di un italiano aveva la possibilità di diventare esso stesso "cittadino italiano". Questo è stato anche il mio caso, sono diventata italiana per matrimonio, una norma che mi salvò la vita. Con il decreto Salvini anche questa possibilità diventerà "discrezionale"

Parte Seconda. Sicurezza
Braccialetto elettronico. L’articolo 17 del decreto estende le ipotesi di reato che consentono al giudice di adottare il provvedimento di allontanamento dalla casa di famiglia e prevede inoltre l’uso del braccialetto elettronico anche per imputati dei reati di maltrattamento domestico e stalking.

Taser. L’articolo 21 stabilisce che le polizie municipali dei comuni con più di centomila abitanti possono sperimentare l’uso dei taser, cioè di armi a impulsi elettrici.

Estensione dei daspo. I daspo, cioè i divieti di accedere a manifestazioni sportive, saranno estesi anche a chi è indiziato per reati connessi al terrorismo. Il cosiddetto “daspo urbano”, introdotto dal decreto Minniti sulla sicurezza nel 2017, si potrà applicare anche nei presidi sanitari, in aree in cui si stanno svolgendo fiere, mercati e spettacoli pubblici. Infine il blocco stradale tornerà a essere un reato invece che una violazione amministrativa.

Criminalità organizzata e beni confiscati alla mafia. L’ultima parte del decreto contiene disposizioni sul contrasto alla criminalità organizzata e alla gestione dei beni confiscati alla mafia. È rafforzato lo scambio di informazioni tra le diverse amministrazioni interessate al fenomeno della criminalità organizzata. I subappalti sono sanzionati con la reclusione da uno a cinque anni, l’apertura dei cantieri dovrà essere comunicata al prefetto per i controlli antimafia, sarà rafforzato lo scambio di informazioni tra i diversi organi di polizia, la possibilità di nominare commissari antimafia nei comuni in cui sono emerse irregolarità, inasprimento delle sanzioni (reclusione fino a quattro anni e multa) nei confronti di chi organizza l’occupazione di immobili, possibilità di usare lo strumento di intercettazioni nelle inchieste su chi occupa degli immobili, riorganizzazione dell’agenzia che si occupa della gestione dei beni confiscati dalla mafia.


Se sulla "Sicurezza", soprattutto la parte che riguarda la "criminalatà organizzata", posso perfino condividerne i contenuti, per tutto il resto sono fermamente convinta che questo sia un decreto fortemente discriminatorio nei confronti degli "stranieri", perfino "razzista" nella parte in cui per l'immigrato diventa colpevole solo perché oggetto di un procedimento giudiziario senza che nessun tribunale sia arrivato ad una sentenza definitiva.

In questi giorni il testo del decreto è al vaglio del Presidente della Repubblica per un giudizio di costituzionalità. Non sono una costituzionalista, ma nel decreto ne ravviso parti decisamente incostituzionali, (viene violato il principio di uguaglianza, art. 3, viene violato il principio che bisogna essere giudicati per quello che si è fatto e non per quello che si è, stranieri piuttosto che migranti o clandestini) e quindi confido nel presidente Mattarella prima, e poi nel Parlamento che dovrà trasformarlo in legge affinché gli "orrori" di alcune parti del decreto Salvini possano essere profondamente modificate.

Con l'accorpamento in un unico decreto, infine, si è voluto rimarcare il fatto che ci sia un nesso causale tra "sicurezza" e "immigrazione". Un nesso che non c'è, visto che la maggior parte dei reati viene commesso da italiani, e visto che la criminalità organizzata (mafie) è un patrimonio intrinseco proprio della società italiana.

E poi penso a loro, a queste ragazze "schiave"

Il Decreto Salvini stravolge il principio della protezione umanitaria che viene di fatto abolita. Cancellata la protezione per le vittime di tratta (
artt. 18 e 19 legge Bossi-Fini). Solo un cenno nel nuovo testo per lo "sfruttamento lavorativo" ma NESSUNO sullo "sfruttamento sessuale" e sulla "riduzione in schiavitù"

Per le ragazze nigeriane in Italia costrette a prostituirsi, se nulla cambia, sta per iniziare un periodo davvero oscuro.




Articolo a cura di
Maris Davis


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13 settembre 2018

A 80 anni dalle leggi razziali. Il razzismo culturale e giuridico nelle colonie italiane in Africa

Il razzismo giuridico e culturale nelle colonie africane, e i motivi per cui la sua conoscenza e discussione siano necessari nell'Italia di oggi.


Nella costruzione del mito “Italiani brava gente”, uno dei capisaldi è l’idea che Mussolini abbia fatto le leggi razziali «solo perché le ha imposte Hitler»

Ammettere una responsabilità, anche collettiva nel razzismo fascista di stato, renderebbe difficile (per gli italiani) raccontarsi come "brava gente", ma anche come un popolo eccezionalmente mite e accogliente.

Le leggi razziali sono state derubricate, così, a umana debolezza nei confronti della volontà dell’unico vero cattivo, Hitler e, per estensione, il popolo tedesco. Filippo Focardi ha ben spiegato questo processo proiettivo, fondamentale nel plasmare la costruzione identitaria del dopoguerra, nel libro "Il cattivo tedesco e il bravo italiano" (Laterza - 2014)

Ma c’è un altro capitolo della vicenda delle leggi razziali e del Manifesto della Razza che, fino al lavoro di una nuova generazione di storici e, soprattutto di storiche, era stato ignorato, il razzismo giuridico e culturale nell'Africa orientale italiana.

Premessa. Il "madamato" nelle colonie italiane
Si scrive "madamato", ma si legge "schiavitù sessuale" o matrimonio comprato. Un termine usato nelle ex-colonie italiane, prima in Eritrea e successivamente anche nelle altre colonie, Libia e Somalia. Un termine che era un vero e proprio contratto, una pratica molto in voga negli anni '30. Tutti i fascisti nelle ex-colonie italiane avevano la propria "madama minorenne" di colore dentro il letto. Non solo i militari, ma anche i civili.

Una piccola schiava sessuale di colore, nativa delle terre colonizzate, che veniva acquistata con poche lire. Una relazione temporanea "more uxorio" (come tra marito e moglie) tra un cittadino italiano e una "nativa". Sin dai primi anni di presenza italiana in Africa Orientale il fenomeno venne giustificato come rispondente alla tradizione locale del "damazio" (nozze per mercede, matrimonio combinato)

Gli italiani però intendevano il madamato come libero accesso a prestazioni domestiche e sessuali. Fu un'abitudine che si diffuse enormemente sia per la lontananza delle mogli italiane e delle famiglie, sia per le preferenze accordate dai Comandi Militari rispetto alle occasionali frequentazioni di prostitute locali. In pratica i comandi militari italiani preferivano relazioni stabili a quelle occasionali, veicoli di malattie sessualmente trasmissibili.

Ecco ciò che scriveva in Italia la propaganda fascista nelle sue riviste e nei suoi quotidiani: "Non si sarà mai dominatori, se non avremo la coscienza esatta di una nostra fatale superiorità. Con i negri non si fraternizza, non si può e non si deve. Almeno finché non sia data loro una civiltà"

Il madamato, oltre alla schiavitù sessuale produsse un'altra atrocità, non secondaria, i bambini nati da questi "matrimoni comprati". Il fenomeno portò alla nascita e al loro contestuale abbandono di migliaia di figli "meticci" non riconosciuti dal padre la cui unica sorte era quella di essere abbandonati oppure di venire accuditi presso orfanotrofi religiosi.

Solo con l'introduzioni delle leggi razziali (1938) il madamato venne formalmente proibito e penalmente perseguito, anche se i risultati furono scarsi. Le leggi razziali infatti introdussero il principio della non mescolanza delle razze. Il regime fascista giudicava rovinosa la mescolanza per l'integrità della razza e per il prestigio dell'Italia imperiale. Quindi tutti gli italiani che avessero avuto rapporti sessuali con donne di un'altra razza, ebrei o neri, sarebbero stati condannati con una pena detentiva da uno a cinque anni. Questa "norma" nelle ex-colonie veniva scarsamente applicata anche perché i comandi militari nel frattempo avevano ben altro a cui pensare, la guerra.
(Pedofilia e fascismo, il colonialismo italiano le viscere della follia)

Italiani "razzisti" già prima di Hitler
Ci sono buoni motivi per cui la conoscenza e la discussione sul razzismo "culturale e giuridico" siano necessarie nell'Italia del 2018.

Il primo motivo è la falsa affermazione secondo la quale le leggi razziali sono state solo una concessione alla volontà esterna dei nazisti.

La prima legge dell’Italia unitaria che si possa definire razzista fu promulgata già nel 1933, quindi anni prima di qualsiasi accordo con Hitler. Stabiliva che i figli meticci nati nelle colonie africane (allora Eritrea e Somalia) potevano sì ottenere la cittadinanza italiana al compimento del diciottesimo anno, ma solo se ritenuti in possesso di specifici «requisiti morali e culturali», nonché dopo procedimenti di «diagnosi antropologica etnica».

Si voleva così evitare di confondere un meticcio con un «bianco scuro» o un «nero bianco». Tale norma è ritenuta dagli storici la prima effettivamente razzista, poiché rivolta a un intero gruppo di persone. Una legge, cioè, che giudica la persona non per le azioni che ha commesso ma per ciò che è.

Nel compiere ricerche su questo argomento mi sono imbattuta nella figura dell’antropologo "razzista" (definizione sua) Lidio Cipriani. Cipriani era uno di quegli accademici che già anni prima della promulgazione del Manifesto della Razza, di cui non a caso fu uno dei firmatari, si posero l’obiettivo di dare una base “scientifica” alla supremazia razziale dei bianchi.

Il Razzismo Scientifico
Certo, non erano solo italiani i cultori di questa pseudoscienza. L’intera costruzione culturale del razzismo come lo intendiamo oggi è figlia della lunga storia del colonialismo. Il così detto "Razzismo Scientifico" infatti pone le sue basi già nell'800. I primi teorici di questa pseudo-scienza ritenevano che il cervello dei neri africani era più piccolo rispetto a quello dei bianchi, paragonabile a quello delle scimmie evolute, e quindi l'uomo nero non poteva essere "intelligente" come l'uomo bianco occidentale.

Su queste basi, ovvero con questa scusa pseudo-scientifica, le potenze europee della seconda metà dell'800 iniziarono a colonizzare l'Africa. E così Germania, Francia, Gran Bretagna, Portogallo, Spagna e, dopo la Prima Guerra Mondiale, anche l'Italia si spartirono il continente africano.
(Il mio libretto, "La Spartizione dell'Africa")

Ma gli accademici italiani come Cipriani si distinsero per il fervore con cui tentarono di sistematizzare il “razzismo scientifico”. Il loro tentativo di sancire l'arianità degli italiani, con conseguente superiorità sugli abitanti delle colonie, produsse un’accozzaglia di misurazioni antropometriche, giudizi morali (gli africani definiti «naturalmente pigri»), vaste e vaghissime sintesi storiche (la superiorità degli eredi della civiltà romana presentata come fatto oggettivo, misurabile).

Non solo non furono costretti da superiori alleanze con il nazismo in questa impresa ma, anzi, ne furono precoci culturi: il primo viaggio in Africa di Cipriani è del 1927. E quella legge del 1933 fissa implacabilmente questa imbarazzate cronologia anche nella storia del diritto.

Valenze di genere
Il secondo motivo è lo stesso per cui negli ultimi anni il contributo più interessante alla ricostruzione del colonialismo italiano è venuto da storiche e studiose di questioni di genere come Barbara Sorgona, Giulietta Stefani, Giulia Barrera: non si può capire il razzismo italiano, sia ai tempi delle colonie che oggi, senza prenderne in considerazione le valenze di genere. Questo perché lo scopo primario delle leggi razziali in Africa era la «difesa della razza» (non a caso è anche il titolo della rivista fondata per propagandare il razzismo) dalla «degradazione» del meticciato. E prevenire la nascita di bambini meticci significa regolamentare la sessualità e gli affetti.




Cartoline della propaganda fascista

Questo principio a sua volta, però, si scontrò con quello dell'erotismo, del sesso, della dominazione coloniale che da sempre, fin dalle prime stampe d’epoca, aveva rappresentato l’Africa come una donna nera nuda pronta a essere posseduta dal colonizzatore bianco.

Il piccolo e sgangherato colonialismo italiano non fece eccezione. La propaganda fascista per convincere i giovani maschi ad arruolarsi volontari nella guerra d’Abissinia fu anche fatta distribuendo nelle case di tolleranza cartoline erotiche raffiguranti discinte giovinette africane. Si prometteva che i loro corpi neri sarebbero stati totalmente a disposizione del desiderio dei coloni bianchi. I giovani italiani entusiasti credettero a quella promessa e s’imbarcarono intonando "Faccetta nera"

Quest’ambivalenza verso il corpo delle donne africane, da un lato disprezzato come inferiore e dall'altro oggetto di un desiderio libero da qualsiasi responsabilità morale, sociale o di relazione, non poteva non deflagrare.

La bomba furono le leggi razziali. Il Regio Decreto Legislativo 19 aprile 1937, numero 880, Sanzioni per i rapporti d’indole coniugale tra cittadini e sudditi, riconosceva al colono la necessità di «espletare i suoi bisogni sessuali» con le indigene. E questo molto spesso ha significato violenze e stupri "legalizzati" verso le donne.

Quella che veniva sanzionata con reclusione fino a 5 anni era ciò che si definiva «unione di letto e di desco». Ovvero quella condivisione di pasti, quotidianità e affettività che avrebbe rischiato di stabilizzare le coppie, creare famiglie, portare insomma a una società multietnica. La canzone "Faccetta nera", che nonostante tutto un po’ di tenerezza per la “bella Abissina” la esprimeva, venne perciò proibita.

I coloni italiani, ovviamente, continuarono lo stesso ad avere rapporti con le “indigene, a tenersele in casa come “madame”, a volte perfino a volere loro un po’ di bene. Soprattutto, continuarono ad arrivare quei pericolosissimi nemici della purezza razziale, i bebè, i figli nati da quelle unioni. Con la legge del 13 maggio 1940, numero 882, Norme relative ai meticci, si proibì una volta per tutte il riconoscimento legale del figlio meticcio da parte del padre italiano, creando una generazione di "bastardi di stato" destinati al disprezzo sociale.

Ottant’anni dalle leggi razziali fasciste

Il 14 luglio 1938 venne pubblicato Il Manifesto degli scienziati razzisti, ripubblicato il 5 agosto sulla rivista "La difesa della razza"

L’obiettivo era dare una base “scientifica” alla supremazia razziale dei bianchi. Leggi che hanno avuto conseguenze rilevanti anche nelle colonie italiane in Africa. Una norma del 1940 vietò agli italiani di riconoscere i figli avuti da relazioni con donne africane. La cittadinanza italiana veniva riconosciuta solo a chi l’aveva ottenuta prima della guerra. Si calcola che nella sola Eritrea, su circa 15mila nati da matrimoni misti, meno di 3mila siano stati riconosciuti dai padri italiani.


Gli italo-eritrei non riconosciuti erano considerati cittadini di serie “B” anche dagli stessi eritrei che non tolleravano i "colonizzatori" italiani e le donne eritree che si accoppiavano con loro.

Corpi neri disprezzati
Soprattutto se il corpo nero è quello di una donna, da un lato disprezzato per quel colore nero della sua pelle, ma dall'altro fonte di desiderio sessuale.

Ci sarebbe tanto altro da raccontare sulle leggi razziali in Africa orientale italiana, dalla negazione agli africani dell’istruzione oltre la quinta classe, allo sfruttamento lavorativo permesso dalla sottrazione di ogni tutela legale. Il fatto è che ancora oggi il crescente razzismo in Italia, anche quello ai livelli più alti delle istituzioni, è indistricabilmente connesso a due questioni, proprio come allora: lo sfruttamento sul lavoro (vedi ad esempio le condizioni dei lavoratori nell’agro-alimentare) e le questioni di genere, rispetto della donna.


Il corpo nero di migliaia di donne vittime della tratta (una prostituta su 3 in Italia è nigeriana) è obbligato a esporsi quotidianamente alla violenza sulle nostre strade.

E proprio come le leggi razziali in Africa orientale italiana chiudevano un occhio sull’«espletamento dei bisogni sessuali» del maschio italiano negando intanto diritti e dignità alle portatrici dei corpi in cui questi bisogni venivano “espletati”, così oggi la società italiana nasconde a sé stessa l’enorme questione dei corpi di donne nere disprezzati, ma anche desiderati da milioni di "clienti" italiani.

«In Italia è reato andare a letto con una tredicenne o una quattordicenne. Ma se è africana non importa niente a nessuno. Non pensano a lei come a una persona, ma solo come a una ragazza di colore»

Le leggi razziali fasciste in Africa dichiaravano che gli italiani dovevano difendersi dalla “minaccia” del meticciato, mentre in realtà erano loro gli occupanti invasori.

Allo stesso modo, molti tra coloro che oggi gridano alla “invasione dei migranti, nonostante tutte le statistiche dimostrino il contrario, fanno parte di quei 6 milioni (stima per difetto) di clienti che ogni giorno “espletano i loro bisogni sessuali” nei corpi desiderati e disprezzati di donne africane. Anche oggi viene invertito l’aggressore con l’aggredito, proprio come 80 anni fa.


La nostra Campagna Informativa
"No al Razzismo"
- clicca qui -




Articolo a cura di
Maris Davis


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07 settembre 2018

I bambini di strada di Kinshasa tra stregoneria e abbandono

L’80% dei bambini di Kinshasa, capitale della Repubblica Democratica del Congo, è stato cacciato dalla propria famiglia di appartenenza dopo essere stato accusato di stregoneria.


Un fenomeno inquietante che ha registrato un vero e proprio boom negli ultimi anni. Colpa della grave crisi economica e sociale del paese e di superstizioni che vengono pizzicate dai pastori delle cosiddette “Chiese del risveglio”: percosse, sequestro dei fedeli, furto degli stipendi, lavoro forzato e truffe di ogni genere.

Alain, 31 anni, è il responsabile del centro per minori abbandonati “Lopango Ya Esengo”. «La gente è impazzita, basta porre ai genitori una domanda inopportuna per essere accusati di stregoneria. Disabili, ragazzi con attacchi epilettici, anemici, balbuzienti, bambini silenziosi, bambini vivaci, bambini intelligenti». L’importante è trovare una causa ai fatti del mondo e togliere una bocca in più da sfamare.

I corpi dei bambini vengono unti con benzina e sale grosso.
La “purificazione” viene eseguita incidendo dei tagli simbolici tramite un machete, somministrando purghe, digiuni e farmaci che inducono al vomito. Nella sala operatoria spirituale si consuma una vera e propria truffa.

Il prete “aspira il maligno” dal ventre del bambino con le labbra e sputa pezzi di carne che aveva nascosto precedentemente in bocca. È con questo tipo di rituale "truffa" che i genitori dei bambini si convincono che davvero loro figlio (o figlia) è uno stregone (o una strega)

Le famiglie schiacciate da povertà, disoccupazione, malattie finiscono spesso per affidarsi a predicatori che individuano nei bambini la causa di ogni male.


I bambini additati come demoni diventano degli incubi per le famiglie.
Così pericolosi che i loro stessi parenti decidono di sbarazzarsi di loro e abbandonarli alla vita di strada. Questi figli hanno alle spalle genitori convinti di aver risolto tutti i dolori della propria esistenza, senza di loro.

Paradossalmente, nella Repubblica Democratica del Congo l’accusa di stregoneria è illegale, difatti a Kinshasa è stata istituita una commissione per far rispettare la Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo, un tribunale che fino a questo momento è rimasto del tutto inattivo.

Per arginare e sradicare il fenomeno alla base sono state lanciate numerose campagne di sensibilizzazione e comunicazione, da parte di diversi attori: il governo, l’Unicef, ONG volte a coinvolgere le famiglie, e le chiese, cercando di smontare i falsi miti e le false credenze.

In un contesto rurale, in cui la credenza nella magia fiorisce e il pregiudizio è profondamente radicato, risulta spesso difficile persino trovare operatori e personale che accettino di lavorare con questi bambini. È poi fondamentale agire sulle cause che favoriscono il sorgere e il diffondersi di queste credenze: povertà, malnutrizione, vita di strada.

Inoltre i conflitti armati, la violenza e le agitazioni popolari continuano a dominare il contesto congolese.

Circa tremila bambini sono arruolati nei gruppi armati, diventati bambini soldato, e innumerevoli sono le violenze quotidiane contro i minori

Subentra allora un catenaccio antropologico culturale, ricordandoci che fino a non troppi anni fa e ancora, in certe zone europee, si sente la puzza di “vecchio” di quest’ignoranza impressa sulle vite delle vittime scelte e indicate dalla società, i cosiddetti "Malpelo" (bambini cresciuti soli in modo selvaggio) ad esempio. Qui il diavolo è solo l’uomo, senza creature al di sopra. Qualunque sia la maniera di “essere dio”, non potrebbe mai essere privo d’amore. Ma la magia è un’altra cosa, è ciò in cui crediamo per farci sembrare il mondo meno brutto. Ma a volte nemmeno questa ci riesce. Prendiamoci cura dell’umanità, che è la più bella delle stregonerie.

A Kinshasa non esistono solo gli esorcisti, e sono molti i rifugi per bambini di strada gestiti con cuore da religiosi cattolici. Nella capitale congolese il centro giovanile “Simba Ngai” (letteralmente sostienimi) ospita i piccoli accusati di stregoneria.

«Per ogni bambino che riusciamo ad aiutare, altri mille restano sulla strada. Le nostre risorse sono limitate mentre la miseria e la disperazione dilagano ovunque. Basterebbe un euro al giorno per salvare un bambino, per togliere i piccoli dalla strada e offrire loro quelle cure e attenzioni necessarie per reintegrarli nella società»






Articolo di
Maris Davis


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In Nigeria non si può più essere cristiani

Bambini e neonati uccisi, donne e disabili massacrati, case incendiate. Racconto della strage di Natale per mano dei pastori...