28 marzo 2018

Soffrire nel silenzio, le 10 crisi umanitarie dimenticate dal mondo

Pubblicato il rapporto Care, che vede al primo posto la Corea del Nord: «Focalizzati sulla minaccia nucleare hanno tralasciato completamente la crisi umanitaria». “C'è una linea diretta” tra attenzione mediatica e fondi donati.


Corea del Nord, Eritrea e Burundi sono le crisi umanitarie nel mondo di cui i media parlano meno. Lo rileva l’organizzazione internazionale umanitaria Care, che ha come scopo di combattere la povertà nel mondo ed opera a favore di 30 milioni di persone nei 72 Paesi più poveri, e che ha lanciato un nuovo report sulle 10 crisi dimenticate del 2017.

Burundi
Nel rapporto, dal titolo “Suffering in Silence” si evidenzia come la crisi umanitaria in Corea del Nord sia quella ad aver ricevuto la minore attenzione da parte dei media di tutto il mondo, che si sono «focalizzati sulla minaccia nucleare tralasciando completamente la crisi umanitaria»

E poca attenzione hanno ricevuto, secondo il rapporto, anche le crisi in Eritrea, Burundi, Sudan, Repubblica Centrafricana, Repubblica Democratica del Congo (DRC), Mali, Bacino del Lago Chad (Niger, Nigeria, Camerun, Chad), Vietnam e Perù. Nel 2016 le crisi meno documentate erano state quella in Eritrea seguita dal Burundi e dal Madagascar. In tutto, sette Paesi presenti nella lista 2016 sono rientrati tra i primi dieci del 2017.

«C’è un posto sulla terra dove ogni giorno, in media, oltre 5mila persone devono fuggire dalle loro case. C’è un Paese in cui quasi la metà di tutti i bambini piccoli sta morendo di fame. Conosci questi posti? Se la risposta è “no”, non sei solo»

Repubblica Democratica del Congo
Così scrivono gli osservatori che hanno analizzato la situazione di quei Paesi nei quali almeno un milione di persone è stato colpito da disastri naturali o causati dall'uomo. Ne è emersa una lista di almeno 40 crisi oggetto di analisi.

«Siamo tutti consapevoli del fatto che una singola foto può richiamare l’attenzione di tutto il mondo su un unico problema. Ma le persone dei paesi analizzati nel report di Care sono ben lontane dalle telecamere e dai microfoni di tutto il mondo», dice Laurie Lee, segretario generale ad interim di Care International. «Queste crisi potranno non essere sulle prime pagine dei giornali, ma ciò non significa che possiamo dimenticarcene»

Secondo gli osservatori di Care «esiste una linea diretta» tra l’attenzione mediatica e i fondi donati per gli aiuti umanitari.

Nigeria, distruzioni causate da Boko Haram
«I media giocano un ruolo fondamentale nell'attrarre l’opinione pubblica su quelle crisi dimenticate e trascurate», dichiara Filippo Grandi, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati. «Nonostante le conseguenze dei conflitti ricadano tragicamente su milioni di vite umane, persiste il divario tra i bisogni umanitari e i fondi a disposizione. Le previsioni per il 2018 non sono buone, resta ancora debole la volontà politica di risolvere i conflitti e affrontare le cause che li generano, quali mancanza di governance, aumento della povertà, disuguaglianza e cambiamento climatico. I leader politici devono fare un passo in avanti e farsi carico della responsabilità di affrontare le crisi oggi dimenticate»

Heba Aly, direttore di IRIN News. «Sono proprio i Paesi di questa lista quelli su cui ci concentriamo come organizzazione no-profit che si occupa di informazione sulle crisi umanitarie. Ma come evidenzia anche il rapporto, questo è un tipo di lavoro per cui è difficile reperire fondi ed è sempre più raro. È tempo di riconoscere come il giornalismo di qualità sulle crisi umanitarie sia parte della soluzione»

Secondo il rapporto la libertà di stampa è essenziale per far emergere situazioni che altrimenti verrebbero dimenticate, mentre negli ultimi anni sono in aumento gli attacchi alla libertà di stampa e la violenza contro giornalisti e altri operatori dei media.

Il quadro umanitario globale delle Nazioni Unite (UN’s Global Humanitarian Overview) nel 2018 necessiterà di 22,5 miliardi di dollari statunitensi, per dare assistenza ad almeno 91 dei 135 milioni di persone che ne hanno urgente bisogno.

L’attenzione mediatica può aiutare a concentrare l'attenzione pubblica su questi bisogni.
Tra le raccomandazioni evidenziate nel report, quella di lavorare con giornalisti freelance locali e ong per ottenere materiale aggiornato, raccogliere fondi necessarie per realizzare report in aree remote e investimenti da parte delle ONG in attività di comunicazione di situazioni d’emergenza.

"Suffering in Silence"




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Articolo a cura di
Maris Davis

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27 marzo 2018

Italia, cresce l'odio razziale. Report 2017-2018 Amnesty International

Secondo Amnesty International il centrodestra in Italia alimenta razzismo e odio.


Dal 2014 ad oggi sale l'onda di ostilità per gli stranieri. E anche rispetto al 2017 c'è un'impennata dell'odio verso "gli altri" e verso chi li aiuta.

Il fenomeno in aumento anche in altri paesi europei, come l'Ungheria e poi negli Stati Uniti, nelle Filippine, Myanmar e in Egitto.

Nel rapporto annuale di Amnesty International del 2017-2018, si legge che l'Italia è "intrisa di ostilità, razzismo, xenofobia, di paura ingiustificata dell'altro"

La maggior parte delle dichiarazioni politiche di Lega Nord (50%), Fratelli d'Italia (27%) e Forza Italia (18%) sono discriminatorie, razziste o incitano all'odio e alla violenza.

Sono davvero brava gente gli italiani? La leggenda del popolo di buon cuore, a sentire Amnesty International, registra evoluzioni poco rasserenanti. Perché l'Italia "sembra concentrare più di altri Paesi europei le dinamiche di tendenza all'odio" segnalate un po' ovunque nel mondo, segnala Gianni Rufini, direttore generale di Amnesty Italia, presentando il rapporto 2018 sui diritti umani.

Quella che segnala Amnesty International è un'Italia "intrisa di ostilità, razzismo, xenofobia e paura ingiustificata dell'altro". In altre parole, quello che appena nel 2014 era un paese "orgoglioso di salvare le vite dei rifugiati, che considerava l'accoglienza un valore importante, oggi è ostaggio della paura e schiavo dei discorsi xenofobi"

E le dinamiche della politica hanno aggiunto altri effetti, persino più pericolosi. "Rispetto all'anno precedente, nel 2017 c'è stato uno sviluppo preoccupante", dice Riccardo Noury, portavoce dell'organizzazione: "La modalità già preoccupante del 'noi contro loro' si è complicata con un altro elemento. Adesso è 'noi contro loro, ma anche contro voi che state con loro'. E quel 'voi' sono gli italiani che da soli, con le associazioni o con altre forme di volontariato praticano la solidarietà, l'accoglienza, la condivisione"

Non si tratta solo della demonizzazione di ONG e delle loro attività di ricerca e soccorso in mare, ma anche dei cittadini che, soprattutto nelle zone di frontiera, si ribellano al discorso dell'ostilità e della xenofobia e finiscono per essere considerati come "collaborazionisti"

Alla radice di tutto questo c'è l'equazione "immigrazione uguale insicurezza", rafforzata dal discorso sulla sicurezza che ha portato agli accordi con la Libia. Un passaggio di significato che è subito seguito dal proliferare di messaggi come "Prima gli italiani" o slogan come "Sostituzione etnica", sempre più diffusi sui social network.

Per sorvegliare la diffusione del discorso d'odio, Amnesty aveva lanciato il monitoraggio della campagna elettorale, e i risultati confermano un dato tutto sommato prevedibile: gli stereotipi discriminatori, razzisti o incitanti all'odio e alla violenza sono da attribuire ai tre partiti della coalizione di centrodestra: Lega Nord (50%), Fratelli d'Italia (27%) e Forza Italia (18%).

L'Italia è solo l'ultimo Paese ad affiancarsi in una direzione già mostrata dall'Ungheria di Orban, dagli Usa di Trump, dalle Filippine di Rodrigo Duterte.

Ma nel rapporto 2018 di Amnesty la visione del mondo non è del tutto negativa
È vero che i predicatori dell'intolleranza vogliono farci vedere un pianeta strangolato dalla paura, dove l'odio è la risposta automatica e lo spirito di umanità una risorsa inaridita, quasi inutilizzabile.

È una visione da incubo a cui però Amnesty affianca un contrappeso denso di significato: la certezza che sempre più persone si mobilitano per contrastare questo messaggio, che l'attivismo equivale all'impegno per società più giuste, e che la speranza sopravvive, quale che sia la latitudine.

Se i leader coltivano la diffidenza per accrescere il proprio potere, la società civile reagisce, costruendo un dissenso maturo, con una capacità di mobilitazione che supera gli steccati del dogma. Il mondo del dopo-ideologie è dipinto in un quadro dinamico, con scorci disperanti ma anche accenni in grado di suscitare speranza.

La mappa dei diritti umani è sempre in evoluzione, le certezze si rovesciano ogni momento, e dunque le critiche di Amnesty non risparmiano nessuno.

Ce n'è per la Casa Bianca, che ha deciso di vietare l'ingresso in Usa a persone provenienti da diversi paesi musulmani, come per il premio Nobel Auung San Suu Kyi, sotto il cui sguardo impassibile si svolge la persecuzione dei Rohingya in Myanmar, per il presidente egiziano Abd al-Fattah Al-Sisi, o come per l'"uomo forte" di Manila, e così via, in una rassegna di governi autocratici dotati di retorica tossica più che di capacità di intervento sociale.

Ma prima che le società si abituino al veleno, finendo per non vedere più gli abusi e la marginalizzazione dei gruppi minoritari, le campagne per la giustizia sociale riprendono a scuotere anche le coscienze intorpidite, frenando e spesso invertendo la tendenza, con passi avanti nelle nazioni più ricche come in quelle in via di sviluppo.

Così alle iniziative della Casa Bianca si contrappongono movimenti civili come #MeToo, o "Ni Una Menos", in Cile il divieto totale di aborto viene ridimensionato, a Taiwan si va avanti verso un matrimonio egualitario, in Nigeria rallentano gli sgomberi forzati.

C'è però il pericolo di un bavaglio, denuncia Amnesty: si diffonde la tendenza a promuovere notizie false e a contestare l'autenticità di quelle sgradite, così la libertà d'espressione diventa un terreno di battaglia sempre più importante. "Non possiamo dare per scontato che nel 2018 saremo liberi di radunarci per protestare o criticare i nostri governi: prendere la parola sta diventando sempre più pericoloso"

Allo stesso tempo, serve maggior impegno dei governi per risolvere i problemi nell'accesso ai diritti fondamentali: l'alloggio, il cibo, le cure mediche. "Se si negano questi diritti, si alimenta una disperazione senza fine. Sotto i nostri occhi si fa la storia"

Sempre più persone si attivano per chiedere giustizia. Se i leader non riconosceranno i motivi che spingono le popolazioni a protestare, sarà la loro rovina. Le persone hanno reso abbondantemente chiaro che vogliono i diritti umani. Sta ai governi mostrare di saperle ascoltare.


Italia. Incremento dell’odio razziale da una parte e crescita dell’attivismo per i diritti civili dall’altra: questo è quello che emerge dal rapporto globale di Amnesty International del 2017-2018


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Articolo a cura di
Maris Davis

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22 marzo 2018

Acqua. In Africa un diritto negato per quattro persone su dieci

22 marzo: il World Water Day, la Giornata mondiale dell'acqua, serve anche a ricordarci che il nostro è un pianeta d'acqua salata (il 97% del totale). Solo il restante 3% è acqua dolce, acque sotterranee (0,77%), ghiacciai e calotte polari (1,7%), laghi e fiumi (0,07%).


Una risorsa che rispettiamo poco e sprechiamo molto.

Per milioni di africani l'acqua pulita è ancora un miraggio, e NON possiamo lavarcene le mani. L'accesso all'acqua pulita è un diritto umano fondamentale ma è ancora negato per più del 40% della popolazione nell'Africa sub-sahariana.

Senza acqua non c'è salute, né sviluppo. I danni all'agricoltura sono incalcolabili, il bestiame muore, le lezioni a scuola non si possono svolgere regolarmente e anche gli equilibri familiari sono "in sospeso" perché le donne sono costrette ad assentarsi per ore alla ricerca di acqua, lasciando incustoditi i figli.

La mancanza di acqua pulita costa ogni anno all'Africa Sub-sahariana il 5% del suo PIL ed è legata, direttamente o indirettamente, all'80% delle malattie. Nella regione metà della malattie sono legate all'uso di acqua "sporca" o "contaminata", e dalla mancanza di servizi igienici adeguati.

Malattie causate dall'utilizzo di acqua contaminata e dall'assenza di servizi igienici ha conseguenze fatali soprattutto per i bambini. Quelli con meno di 5 anni nati in un periodo di siccità hanno il 50% di probabilità di essere malnutriti.


L'accesso ad acqua pulita riduce del 20% la mortalità infantile. La costruzione di pozzi in maniera diffusa e capillare è un buon modo per aiutare le popolazioni che ne sono prive.

Nell'Africa Sub-Sahariana due persone su cinque è costretta a percorrere più di un chilometro ogni giorno (due se si considera anche il ritorno) per recarsi ad una fonte di acqua potabile.

Il compito di raccogliere l’acqua per le proprie famiglie ricade sull'81% delle donne e bambine impedendo loro di andare a scuola. Un ulteriore disincentivo a frequentare la scuola è la mancanza spesso di latrine distinte per maschi e femmine. La rinuncia all'istruzione alimenta a sua volta una condizione di povertà e disagio sociale, sia personale che collettivo. Un circolo perverso assolutamente da spezzare.

La Giornata Mondiale dell'Acqua, un appuntamento fortemente voluto dalle Nazioni Unite e che viene celebrato ogni anno il 22 marzo dall'ormai lontano 1992, non può essere solo una ricorrenza dove si consumano le parole.

È opportuno invece cogliere quest'occasione per soffermarci su un elemento così vitale per la nostra quotidianità, soprattutto in un momento storico in cui si parla di cambiamenti climatici che influiscono sull'ambiente e, tra questi, sull'acqua, purtroppo scarseggiante in più zone del Pianeta.

L'acqua invece dovrebbe essere accessibile a ogni individuo al mondo, in quantità e qualità adeguate. L'Onu questo lo sa bene, e non a caso nel 2010 ha iniziato a riconoscere all'acqua lo stato di diritto umano fondamentale.

Nonostante ciò, la risorsa idrica in più Paesi è ancora tra le cause di guerre e instabilità politiche, e anche per questo motivo, oltre alle prolungate siccità che colpiscono la Terra da anni per via dei cambiamenti climatici, scarseggia.

Secondo le Nazioni Unite, così come altre autorevoli organizzazioni internazionali, almeno 20 litri d'acqua al giorno devono essere disponibili per una persona nel raggio di un chilometro; tuttavia, se nei paesi sviluppati questa disponibilità giornaliera pro capite oscilla tra i 200 e i 300 litri, in Africa ci sono nazioni dove il consumo medio garantito pro capite al giorno è inferiore ai 10 litri.

Proprio questa settimana in Brasile l'ONU presenterà il suo rapporto annuale sull'acqua, intitolato United Nations World Water Development Report, uno studio che dal 2012 rappresenta la pubblicazione più autorevole sull'universo dell'acqua, e che non dà segnali incoraggianti per l'oggi, e nemmeno per il domani.

Due miliardi di persone non riescono ad accedere all'acqua potabile, e di questo passo nel 2050, quando si prevedono nove miliardi di esseri umani al mondo, il numero salirà di un altro miliardo, portandosi a tre.

Una situazione drammatica, già visibile nelle zone dove, scarseggiando, diventa oggetto di contesa, come tra israeliani e palestinesi, come tra ancora Israele e il Libano, come tra India e Cina nella zona del Brahmaputra.

Le alterazioni climatiche in corso poi sono oggetto di discussione da anni, sulla scia di Cop21 a Parigi, la Conferenza Internazionale sul Clima che ha acceso i riflettori sul tema ormai a fine 2015 e proseguita nei successivi consessi di Marrakech e Bonn, e rischiano di aggravare questo quadro e certo non di migliorarlo.

In Sudafrica a Cape Town non piove come dovrebbe da tre anni ormai, l'acquedotto cittadino è prosciugato da mesi e la città corre ogni giorno il rischio di svegliarsi con i rubinetti all'asciutto. Nel Sahel, in Africa centrale, 135 milioni di persone rischiano la vita a causa del prosciugamento idrico, causato da una temperatura media che potrebbe salire di ben 5 gradi di media da qui al 2050 e di 8 addirittura fino al 2100.

A rischio ci sono anche alcune metropoli apparentemente insospettabili, soprattutto per casi di inquinamento. A Mosca, in Russia, l'acqua potabile non soddisfa gli standard di qualità e sicurezza per il 60% delle fonti. Al Cairo, in Egitto, il 97% dell'acqua utilizzata dalla popolazione proviene dal Nilo, che però è anche la destinazione finale di scarichi di rifiuti agricoli che non subiscono adeguato trattamento prima di essere riversati nelle acque.

Situazioni simili che si verificano in altre zone del mondo e che mettono a rischio la vita di milioni di persone. Come possiamo contribuire? Cosa possiamo fare? Maggiore attenzione nel risparmio idrico è intanto il modo più sicuro per scongiurare future crisi.

Anche gli italiani possono fare di più: secondo l'Istat infatti, in Italia consumiamo in media 175 litri di acqua ciascuno al giorno, con picchi superiori a 220 litri in alcune zone. In Spagna e Francia per esempio, la media è di 150 litri pro capite al giorno.

È fondamentale quindi gestire noi stessi sotto questo punto di vista secondo i limiti previsti dalla natura, per non trovarci un giorno in una situazione irrecuperabile che, per quanto catastrofica, non appare così lontana.

La Giornata mondiale dell'acqua 2018 ha quindi un valore fondamentale sia come monito alla corretta e oculata gestione delle nostre risorse idriche, sia come invito a riflettere sull'ambivalente natura di questo prezioso elemento che ci presenta, al pari delle migrazioni,  sfide e opportunità da cogliere.

Infine l'edizione di quest'anno ci spinge a guardare agli strumenti e alle soluzioni già esistenti invece di cercarne di nuovi, come il diritto internazionale offre mezzi adeguati per consentire un ingresso sicuro e legale delle persone vulnerabili nei paesi che li ospitano, così la natura contiene in sé gli strumenti per tutelare il pianeta terra e la sua popolazione. Oggi ci servono il coraggio e la determinazione per usare quei mezzi e quegli strumenti.


UNICEF. 700 bambini ogni giorno muoiono per malattie correlate alla mancanza di acqua.

Ogni giorno oltre 700 bambini muoiono per malattie legate ad acqua non pulita e scarse condizioni igienico-sanitarie. Lo evidenzia l'Unicef in occasione della Giornata mondale dell'acqua che ricorre il 22 marzo. Nel mondo circa 2,1 miliardi di persone non hanno accesso ad acqua pulita e almeno 263 milioni di persone impiegano più di 30 minuti per raccogliere acqua, ricorda il Fondo dell'Onu per l'infanzia, che sottolinea come siano i bambini le prime vittime della mancanza d'accesso alle risorse idriche.

"Quando un bambino ha accesso ad acqua sicura è meno esposto a rischi e pericoli vitali per la sua crescita. L'accesso all'acqua ancora oggi rimane un 'lusso' per miliardi di persone in tutto il mondo"

"In diversi paesi, bambini anche molto piccoli percorrono ogni giorno chilometri di strada per raccogliere acqua pulita per se stessi e le loro famiglie, trasportando taniche generalmente del peso di 20 chili. Durante il tragitto i bambini possono essere attaccati, correndo diversi rischi. Il tempo impiegato, inoltre, è tempo sottratto alla possibilità di studiare e giocare"


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Articolo a cura di
Maris Davis

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20 marzo 2018

Papa Francesco contro i clienti delle prostitute

Chi va con le prostitute è un criminale, tortura le donne

Blessing Okedion con Papa Francesco

Il Papa apre il pre-Sinodo dei giovani "parlate con faccia tosta". Francesco con 300 ragazzi dei cinque continenti.

«Penso allo schifo che devono sopportare queste ragazze. Il 90% dei clienti cattolici. Chiedo perdono». No a «clericalismo» e «chiacchiericcio»: brutto quando un prete non è padre ma «principe o boss»

Sono cattolici, battezzati, magari frequentatori abituali delle parrocchie, la maggior parte dei clienti delle prostitute. Alla giovane Blessing Okoedion, nigeriana ex vittima di tratta in Italia, trema la voce mentre espone la sua denuncia al Papa e ai 300 giovani di tutti i continenti giunti a Roma per la riunione del pre-Sinodo . «Mi chiedo e ti chiedo, ma la Chiesa, ancora troppo maschilista, è in grado di interrogarsi con verità su questa alta domanda dei clienti?», domanda a Bergoglio con italiano incerto.

Blessing Okoedion
La domanda è senza anestesia. E anche la risposta del Papa è senza anestesia: «Il problema è grave. Voglio chiedere perdono a voi, alla società, per tutti i cattolici, i battezzati che fanno questo atto criminale», dice. «E per favore, se un giovane ha questa abitudine la tagli, eh! È un criminale chi fa questo. “Ma padre non si può far l’amore?”. No, questo non è fare l’amore, questo è torturare una donna. Non confondiamo i termini»

«La radice di tutto», afferma il Pontefice interrotto dagli applausi, «nasce da una mentalità malata, quella per cui la donna va sfruttata. Al giorno d’oggi non c’è femminismo che sia riuscito a togliere questo dalla coscienza più profonda e dall'immaginario collettivo. La donna va sfruttata. Così si spiega questa malattia dell’umanità, questa malattia di un modo di pensare sociale»

Papa Bergoglio riporta a Blessing e agli altri ragazzi che lo ascoltano le esperienze raccolte nell'incontro, durante uno dei Venerdì della Misericordia, con alcune donne liberate dalla tratta. «È da non credere…», dice, «una è stata rapita in Moldavia e portata in macchina, dietro nel portabagagli, legata tutta una notte a Roma, minacciata che se fosse scappata, le avrebbero ucciso i genitori; ad un’altra è stato tagliato un orecchio per non aver portato a casa la somma richiesta.



Poi c’erano quelle dell’Africa che venivano ingannate dalla illusione di un lavoro e uno stipendio fisso, magari come hostess. Non sono rapite ma ingannate, e subito infilate in questa vita, racconta il Papa. Queste donne incominciano il lavoro, e in quel momento parte in loro una schizofrenia difensiva: isolano il cuore la mente e soltanto dicono “questo è il mio lavoro”, ma non si coinvolgono per salvare la dignità interna, visto che quella esterna, sociale, è sul pavimento. Così si difendono senza alcuna speranza»

«Alcune sono riuscite a sfuggire ma la mafia di questa gente le perseguita, le trovano, alcune volte si vendicano». Ad altre sopravvissute spetta un’altra sorte, forse peggiore: lo stigma sociale e della propria famiglia. Quando si liberano non hanno il coraggio di tornare a casa. C’è la dignità della famiglia, non hanno il coraggio di dire la verità, non possono, non perché sono codarde ma perché amano così tanto la famiglia che non vogliono che i genitori e i fratelli siano sporcati da questa storia. E rimangono girando come possono, cercando lavoro.

«È una schiavitù», Papa Francesco non trova altri termini per definirla. E rincara la dose aggiungendo che: «Qui in Italia parlando dei clienti, credo, e faccio un calcolo senza fondamenti, che il 90% sono battezzati, cattolici Io penso allo schifo che devono sentire queste ragazze quando questi uomini gli fanno fare qualche cosa. Ricordo una volta, c’era stato un incidente a Buneos Aires in una discoteca: sono morte 200 persone, sono andato a vedere i feriti in ospedale e in terapia intensiva c’erano due anziani. Avevano perso i sensi dopo un ictus. Mi hanno detto: sono stati portati qui dal postribolo (erano con delle prostitute). Anziani, giovani, queste ragazze sopportano tutto»


Per fortuna ci sono comunità come quelle di don Oreste Benzi, fondatore della Comunità Giovanni XXIII, che operano per il riscatto di queste donne. Francesco ne loda il metodo: «Le ragazze sono sorvegliate, si avvicina uno di loro (un volontario, ndr) inizia a parlare, uno pensa per mettersi d’accordo sul prezzo, ma invece di dirle “quanto costi?”, le domanda “quanto soffri?. Allora la ragazza parla, lui le dà un biglietto e dice: noi ti porteremo via, nessuno ti troverà, ecco il numero telefono, qual è il giorno più sicuro per te, in quale angolo?»

«L’80% delle donne chiama», assicura il Papa, e vengono portate via nelle strutture fuori Roma dove affrontano lunghi periodi di terapia psichiatrica e il lavoro per reinserirsi in società e nel mondo del lavoro. Alcune si sposano, anche con gli stessi volontari, e hanno figli. Certo, l’opera delle comunità di Don Benzi così come le «tante altre» in giro per il mondo ancora non sono sufficienti a contrastare questo «crimine contro l’umanità», perpetrato a volte anche da chi la mattina magari va a messa e dalle stesse donne. «Quelle che sono capaci di aiutare meglio queste ragazze sono le donne, le suore, ma anche ci sono donne che le vendono», denuncia il Pontefice, «anche gente che si dice cattolica… Forse è una minoranza, ma lo fa»

Bergoglio invita quindi i giovani a lottare contro questa «malattia»: «Questa è una delle lotte che chiedo a voi giovani di fare, per la dignità della donna. La donna è degna, è figlia di Dio. Nel racconto della creazione è quella che ha stupito l’uomo con la sua bellezza… e poi si finisce così»

Un’altra strada è quella di sanzionare i clienti, già applicata da diversi governi in Europa, e i risultati si vedono, osserva il Papa. Si è ridotto notevolmente lo sfruttamento.

Blessing Okoedion è nigeriana e oggi vive in Italia, ha trent'anni ed è una mediatrice culturale (proprio come me). È stata vittima della tratta, ingannata, nonostante la sua laurea in informatica (proprio come me). In Italia sono 70mila le donne vittime della tratta, di cui la metà giovani nigeriane. Lei si è liberata e ha raccontato la sua storia in un libro.

"Racconto la tratta perché nei villaggi della mia Nigeria nessuno conosce la verità"




Articolo a cura di
Maris Davis

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In Nigeria non si può più essere cristiani

Bambini e neonati uccisi, donne e disabili massacrati, case incendiate. Racconto della strage di Natale per mano dei pastori...