31 gennaio 2018

Gandhi, aforismi e pensieri

I ricchi dovrebbero vivere più semplicemente affinché i poveri possano semplicemente vivere


Un pianeta migliore è un sogno che inizia a realizzarsi quando ognuno di noi decide di migliorare se stesso. Serenità è quando ciò che dici, ciò che pensi, ciò che fai, sono in perfetta armonia. Voi occidentali, avete l’ora ma non avete mai il tempo. Un uomo può uccidere un fiore, due fiori, tre… Ma non può contenere la primavera.
Se urli tutti ti sentono, se bisbigli solo chi è vicino, ma se stai in silenzio, solo chi ti ama ti ascolta. Prima ti ignorano, poi ti deridono, poi ti combattono. Poi vinci.
Il genere umano può liberarsi della violenza soltanto ricorrendo alla non-violenza. L’odio può essere sconfitto soltanto con l’amore. Rispondendo all'odio con l’odio non si fa altro che accrescere la grandezza e la profondità dell’odio stesso.
Se potessimo cancellare l’«Io» e il «Mio» dalla religione, dalla politica, dall'economia ecc., saremmo presto liberi e porteremmo il cielo in terra.
Scopri chi sei, e non avere paura di esserlo. Non possedere e non rubare sono alleati. Ci sono persone nel mondo così affamate, che Dio non può
apparire loro se non in forma di pane.
Se tutti lavorassero per il proprio pane e niente più, ci sarebbe abbastanza cibo e tempo libero per tutti… i nostri bisogni si ridurrebbero al minimo, il nostro cibo si semplificherebbe. Allora mangeremmo per vivere, anziché vivere per mangiare.
Tu e io non siamo che una cosa sola. Non posso farti del male senza ferirmi. Sii il cambiamento che vorresti vedere avvenire nel mondo. Vivi come se dovessi morire domani. Impara come se dovessi vivere per sempre. Nessuno può farti più male di quello che fai tu a te stesso.
È meglio confessare i propri errori: ci si ritrova più forti.
Ogni persona che incontri è migliore di te in qualcosa; in quella cosa impara. Finché porterai un sogno nel cuore, non perderai mai il senso della vita. Quando la misura e la gentilezza si aggiungono alla forza, quest’ultima diventa irresistibile.
I doveri verso se stessi, la famiglia, il paese e il mondo non sono indipendenti l’uno dall'altro. Non si può servire il paese facendo torto a se stessi o alla famiglia. Similmente, non si può servire il paese facendo torto al mondo in generale.
Se un uomo
giunge al cuore della propria religione, è giunto al cuore

anche delle altre.
La vera fonte dei diritti è il dovere. Se adempiamo i nostri doveri, non dovremo andare lontano a cercare i diritti. Ti devi opporre al mondo intero anche a costo di rimanere solo. Devi fissare il mondo negli occhi, anche se può succedere che il mondo ti guardi con occhi iniettati di sangue. Non temere. Credi in quella piccola cosa dentro di te che risiede nel cuore e dice: abbandona amici, moglie, tutto; ma porta testimonianza a quello per cui sei vissuto e per cui devi morire.
Il  coraggio è il primo requisito della spiritualità. I vili non possono mai essere morali.
La voce di nessun uomo potrà mai giungere dove giunge la sottile, silenziosa voce della coscienza.
Non voglio che la mia casa sia circondata da mura e che le mie finestre siamo sigillate. Voglio che le culture di tutti i paesi possano soffiare per la mia casa con la massima libertà. Ma mi rifiuto di essere cacciato via da chiunque.
Il sentiero della non violenza richiede molto più coraggio di quello della violenza.
Occhio per occhio fa sì che si finisca con l’avere l’intero mondo cieco.
Nel mondo c’è quanto basta per le necessità
dell’uomo, ma non per la sua avidità.
Chiunque abbia qualcosa che non usa, è un ladro.
L’uomo è dove è il suo cuore, non dove è il suo corpo.

Non devi perdere
fiducia nell'umanità. L’umanità è un oceano; se poche gocce dell’oceano sono sporche, l’oceano non diventa sporco.
Per me è sempre stato un mistero perché gli uomini si sentano onorati quando impongono delle umiliazioni a propri simili. Credere in qualcosa e non viverla, è disonestà.
La differenza fra ciò che facciamo e ciò che siamo capaci di fare sarebbe sufficiente a risolvere molti dei problemi del mondo.
Io non amo affatto la parola tolleranza, ma non ne ho trovate di migliori.
La felicità e la pace del cuore nascono dalla coscienza di fare ciò che riteniamo giusto e doveroso, non dal fare ciò che gli altri dicono e fanno.
Se esiste un uomo non violento, perché non può esistere una famiglia non violenta? E perché non un villaggio? una città, un paese, un mondo non violento?
Non ho nulla di nuovo da insegnare al mondo. La verità e la non violenza sono antiche come le montagne.
La non violenza è la più grande forza a disposizione dell’umanità. È più potente della più potente arma di distruzione che l’ingegno dell’uomo abbia mai escogitato. Quella della distruzione non è la legge degli umani.
Non violenza è la forza dell’anima o l’energia della divinità dentro di noi. Diventiamo simili a Dio nella misura in cui realizziamo la nonviolenza.
Nessun uomo è inutile, se allevia il peso di qualcun altro. La pietà è la radice della religione, mentre l’amore del corpo è la radice
dell’egoismo.
Potreste cavarmi gli occhi, ma questo non potrebbe uccidermi. Potreste tagliarmi il naso, ma nemmeno questo mi ucciderebbe. Distruggete, invece, la mia fede in Dio, e sarò morto.
Dovunque c’è verità deve essere data con amore, o il messaggio e il messaggero verranno rifiutati. È meglio, quando si prega, avere un cuore senza parole piuttosto che delle parole senza un cuore. La vera bellezza dopo tutto sta nella purezza di cuore.
È la qualità del nostro lavoro che piacerà a Dio e non la quantità. L’unico tiranno che accetto in questo mondo è la voce silenziosa dentro di me. Quello che è vero è che l’onestà è incompatibile con l’accumulo di una grossa fortuna. È indegno dell’uomo perdere la propria individualità e diventare una mera rotella  nell'ingranaggio.
La vera felicità dell’uomo sta nell'  accontentarsi. Chi è insoddisfatto, per quanto possieda, diventa schiavo dei suoi desideri.
Cerca invano chi vuole il ramo  e  dimentica la radice. Un no pronunciato con convinzione è molto migliore di un sì pronunciato unicamente per compiacere o, ancora peggio, per evitare problemi. Limitarsi ad amare chi ci ama non è nonviolenza. Solo l’amare chi ci odia è nonviolenza. So quanto sia difficile seguire questa grandiosa Legge dell’Amore. Ma non è sempre così, con tutte le cose grandi e buone? Amare chi ci odia è la cosa più difficile di tutte. Ma, con la grazia di Dio, anche realizzare questa difficilissima cosa diventerà facile, se lo desideriamo.
I ricchi dovrebbero vivere più semplicemente affinché i poveri possano semplicemente vivere
Una passione bruciante abbinata a
un assoluto distacco è la chiave di ogni successo.
Gli animali che vivono una vita semplice e libera non muoiono di fame, fra loro non si trovano ricchi e poveri, chi mangia molte volte al giorno e chi non ha da sfamarsi; queste differenze esistono solo in mezzo agli uomini. E tuttavia
continuiamo a crederci superiori agli animali.
Un genitore saggio lascia che i figli commettano errori. È bene che una volta ogni tanto si scottino le dita.
Dio non ci dimentica mai; siamo noi che dimentichiamo Lui.
La mia esperienza mi ha portato a constatare che il modo migliore per ottenere giustizia è trattare gli altri con giustizia. Proprio come un albero ha un milione di foglie, similmente, anche se Dio è uno solo, sono sorte tante religioni quanti gli uomini e le donne, anche se tutte radicate nello stesso unico Dio.
Nulla consuma il corpo quanto l’ansia e chi ha fede in Dio dovrebbe vergognarsi di essere preoccupato per qualsivoglia cosa.
La supplica, l’adorazione, la preghiera non sono superstizioni, sono atti più reali del mangiare, del bere, del sedere o del camminare. Non è un’esagerazione dire che essi soli siano reali e che tutto il resto sia irreale.
Che cos'è la verità? Domanda difficile, ma ho deciso per quanto mi concerne che è quella che ti dice la tua voce interiore.
L’assenza di paura non significa arroganza o aggressività. Quest’ultima è in sé stessa un segno di paura. L’assenza di paura presuppone la calma e la pace dell’anima. Per essa è necessario avere una viva fede in Dio.
Non volendo pensare a quello che mi porterà il domani, mi sento libero come un uccello.
È il riformatore che auspica la riforma, non la società, dalla quale egli non deve aspettarsi altro che opposizione, odio e anche persecuzioni mortali.
Questo mondo è tenuto insieme da vincoli d’amore e di dedizione. La storia non registra i quotidiani episodi d’amore e di dedizione. Registra solo quelli di conflitto e guerra. In realtà, comunque, gli atti d’amore e generosità, a questo mondo, sono molto più frequenti dei conflitti e delle dispute.
La non violenza assoluta è assenza assoluta dal recar danno ad ogni essere vivente. La non violenza, nella sua forma attiva, è buona disposizione per tutto ciò che vive. Essa è perfetto amore. L’uomo si distrugge con la politica senza principi, col piacere senza la coscienza, con la ricchezza senza lavoro, con la conoscenza senza carattere, con gli affari senza morale, con la scienza senza umanità, con la fede senza sacrifici.
La vita di un agnello non è meno preziosa di quella di un essere umano. Trovo che più una creatura è indifesa, più ha il
diritto ad essere protetta dall'uomo dalla crudeltà degli altri uomini.
Grandezza e progresso morale di una nazione si possono giudicare dal modo in cui tratta gli animali. Qualsiasi cosa tu faccia sarà insignificante, ma è molto importante che tu la faccia. La non violenza è il primo articolo della mia fede: anche l’ultimo articolo del mio credo.




Articolo a cura di
Maris Davis

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Gandhi, il profeta della non violenza. La grande anima

«Non ho messaggi sociali da lasciarvi: la mia vita deve essere il mio messaggi

Mohandas Karamchard Gandhi, detto il Mahatma (in sanscrito significa Grande Anima, soprannome datogli dal poeta indiano R. Tagore), è il fondatore della nonviolenza e il padre dell'indipendenza indiana.

Il nome Gandhi in lingua indiana significa 'droghiere': la sua famiglia dovette esercitare per un breve periodo un piccolo commercio di spezie.

Nato il 2 ottobre 1869 a Portbandar in India, dopo aver studiato nelle università di Ahmrdabad e Londra ed essersi laureato in giurisprudenza, esercita brevemente l'avvocatura a Bombay.

Di origini benestanti, nelle ultime generazioni la sua famiglia ricoprì alcune cariche importanti nelle corti del Kathiawar, tanto che il padre Mohandas Kaba Gandhi era stato primo ministro del principe Rajkot. I Gandhi tradizionalmente erano di religione Vaishnava; appartenevano cioè ad una setta Hindù con particolare devozione per Vishnù.

Nel 1893 si reca in Sudafrica con l'incarico di consulente legale per una ditta indiana: vi rimarrà per ventuno anni. Qui si scontra con una realtà terribile, in cui migliaia di immigrati indiani sono vittime della segregazione razziale. L'indignazione per le discriminazioni razziali subite dai suoi connazionali (e da lui stesso) da parte delle autorità britanniche, lo spingono alla lotta politica.

Il Mahatma si batte per il riconoscimento dei diritti dei suoi compatrioti e dal 1906 lancia, a livello di massa, il suo metodo di lotta basato sulla resistenza nonviolenta, denominato anche Satyagraha: una forma di non-collaborazione radicale con il governo britannico, concepita come mezzo di pressione di massa.

Gandhi giunge all'uguaglianza sociale e politica tramite le ribellioni pacifiche e le marce

Alla fine il governo sudafricano attua importanti riforme a favore dei lavoratori indiani: eliminazione di parte delle vecchie leggi discriminatorie, riconoscimento ai nuovi immigrati della parità dei diritti e validità dei matrimoni religiosi.

Nel 1915 Gandhi torna in India dove circolano già da tempo fermenti di ribellione contro l'arroganza del dominio britannico, in particolare per la nuova legislazione agraria, che prevedeva il sequestro delle terre ai contadini in caso di scarso o mancato raccolto, e per la crisi dell'artigianato.

Diventa il leader del Partito del Congresso, partito che si batte per la liberazione dal colonialismo britannico.

Nel 1919 prende il via la prima grande campagna satyagraha di disobbedienza civile, che prevede il boicottaggio delle merci inglesi e il non-pagamento delle imposte. Il Mahatma subisce un processo ed è arrestato. Viene tenuto in carcere pochi mesi, ma una volta uscito riprende la sua battaglia con altri satyagraha. Nuovamente incarcerato e poi rilasciato, Gandhi partecipa alla Conferenza di Londra sul problema indiano, chiedendo l'indipendenza del suo paese.

Del 1930 è la terza campagna di resistenza. Organizza la marcia del sale: disobbedienza contro la tassa sul sale, la più iniqua perché colpiva soprattutto le classi povere. La campagna si allarga con il boicottaggio dei tessuti provenienti dall'estero. Gli inglesi arrestano Gandhi, sua moglie e altre 50.000 persone.

Spesso incarcerato anche negli anni successivi, la "Grande Anima" risponde agli arresti con lunghissimi scioperi della fame (importante è quello che egli intraprende per richiamare l'attenzione sul problema della condizione degli intoccabili, la casta più bassa della società indiana).

All'inizio della Seconda Guerra Mondiale Gandhi decide di non sostenere l'Inghilterra se questa non garantirà all'India l'indipendenza. Il governo britannico reagisce con l'arresto di oltre 60.000 oppositori e dello stesso Mahatma, che è rilasciato dopo due anni.

Il 15 agosto 1947 l'India conquista l'indipendenza. Gandhi vive questo momento con dolore, pregando e digiunando. Il subcontinente indiano è diviso in due stati, India e Pakistan, la cui creazione sancisce la separazione fra indù e musulmani e culmina in una violenta guerra civile che costa, alla fine del 1947, quasi un milione di morti e sei milioni di profughi.

L'atteggiamento moderato di Gandhi sul problema della divisione del paese suscita l'odio di un fanatico indù che lo uccide il 30 gennaio 1948, durante un incontro di preghiera a Nuova Delhi.

Il Mahatma circondato dai suoi seguaci
Un grande contestatore del ‘900
«Hè-Rama, Oh Dio». Sono queste le ultime parole pronunciate da Gandhi prima di morire sotto i colpi sparati dal nazionalista indù, Nathuram Godse, accasciandosi tra le braccia delle pronipoti Abha e Manu, che come ogni giorno alle 17 lo accompagnavano alla preghiera interreligiosa. Era il 30 gennaio 1948. Settant’anni fa veniva ucciso l’uomo che era riuscito a liberare l’India dal dominio britannico con le sole armi della disobbedienza civile, del boicottaggio, della resistenza passiva, dei digiuni sempre più lunghi. «Quel sedizioso fachiro mezzo nudo», come lo aveva definito Winston Churchill, aveva dato un colpo decisivo al potente impero britannico mettendo in atto, e vincendo, la più grande rivoluzione pacifica della storia.
Con la moglie Kasturba, chiamata Ba
Il matrimonio ancora bambino
«Imparai la lezione della non violenza da mia moglie, quando tentai di piegarla alla mia volontà». Avevano solo 13 anni quando si erano sposati, il futuro profeta della nonviolenza e l’analfabeta Kasturba Makanji, figlia di un ricco uomo d’affari. Lui le insegnò a leggere e a scrivere, e se ne innamorò perdutamente fino a essere travolto da una passione bruciante, che si trasformò in breve in una gelosia dispotica e ossessiva. «Da un lato mia moglie resisteva alla mia volontà, scriveva Gandhi nella sua autobiografia, dall'altro mostrava serena sottomissione alle sofferenze causate dalla mia stupidità. Il suo comportamento mi ha guarito dalla presunzione di doverla comandare». Kasturbai, per tutti Ba, diventò la compagna preziosa nel cammino unico e irripetibile del Mahatma, accettò il voto di castità pronunciato da Gandhi, gli restò vicina negli anni della lotta politica finendo in carcere più volte, anche al posto suo - in Sudafrica fu condannata per tre mesi ai lavori forzati - e in una prigione, a Pune, morì nel 1944, all’età di 74 anni.
La marcia del sale, 1930
Londra e la scoperta delle proprie radici
Nel 1888, dopo sei anni di matrimonio e la nascita di un figlio, Gandhi decise di andare in Inghilterra per completare gli studi, diventare avvocato e aprirsi la strada nella carriera politica seguendo le orme del padre e del nonno. Una decisione che gli costerà l’ostracismo dalla sua casta, l’indebitamento con alcuni parenti e un solenne giuramento alla madre di non toccare donna, non mangiare carne né bere vino durante la sua permanenza a Londra. Una promessa solenne che riuscì a mantenere a grande fatica dedicandosi agli studi e immergendosi nelle letture. Fu così che rimase affascinato dal testo sacro «Bhagavadgita», scoprì il «Nuovo Testamento», e gli scritti di Tolstoj. «A quel tempo io credevo nella violenza. La sua lettura, scriverà anni dopo a proposito della «Lettera a un indù», mi guarì dal mio scetticismo, e fece di me un fermo credente nell’ahimsa».
Gandhi parla alla folla
In Sudafrica: dal razzismo alla lotta
Tornato in India, con in tasca una laurea in legge e ben poche prospettive, fu costretto ad accettare un lavoro in Sudafrica. Lui che era un membro benestante della società indiana, nel Natal scoprì di essere un cittadino di condizione inferiore, costretto a subire la dura realtà dell’apartheid con meno diritti di un inglese, neppure quello di viaggiare nei vagoni di prima classe. «La più decisiva esperienza della mia vita», definì la notte passata all'addiaccio nella stazione di Maritzburg, dopo essere stato buttato giù dal treno per Pretoria. All’alba era un uomo nuovo, una settimana più tardi tenne il suo primo discorso politico, parlando in difesa dei diritti della minoranza indiana. In Sudafrica, Gandhi da timido avvocato alle prime armi diventò un giurista di grido, un leader trascinatore di folle, impegnato contro le ingiustizie e le brutalità del potere.
Con il celebre arcolaio che diventerà il simbolo della lotta non violenta
Il Transvaal e la forza del «satyagraha»
Mentre tracciava una nuova realtà per gli indiani del Sudafrica, Gandhi, decise di pronunciare il voto di castità, abbandonò l’avvocatura per fondare il settimanale «Indian Opinion», e a Phoenix diede vita a una comunità agricola autarchica, il primo modello di ashram, dove tutti vivevano senza servitori, praticando la povertà volontaria, il lavoro manuale, la preghiera. La ribellione Zulu del 1906 lo vide partire volontario come barelliere. Al suo ritorno un progetto di legge dello stato del Transvaal, che obbligava tutti gli indiani a essere schedati con impronte digitali al pari dei criminali, segnò un’altra svolta decisiva sul suo cammino. Organizzò una campagna di non obbedienza, fatta di scioperi, picchetti, boicottaggi, marce di protesta. Era l'inizio del primo «satyagraha», la fermezza nella verità, e del suo andirivieni dalle carceri.
Con Jawaharlal Nehru, che diventerà il Primo Ministro dell'India indipendente
Il ritorno in India
Preceduto dall'eco delle sue lotte e delle sue vittorie, il 9 gennaio 1915 Gandhi sbarcò a Bombey accolto come un eroe. Mancava da oltre vent'anni, e decise di partire alla scoperta di quel vasto mosaico di culture e dialetti che era l’India coi suoi 700mila villaggi. Con indosso gli abiti tradizionali, che porterà poi per tutta la vita, iniziò un viaggio lungo un anno per ricongiungersi con l'anima del suo Paese. Vicino ad Ahmedabad, con gli amici di Phoenix, fondò il «Satyagraha ashram», regolato dall'obbligo degli undici voti, tra cui la produzione e dell’uso del khadi, il tessuto di cotone grezzo che diventerà il simbolo della resistenza al colonialismo inglese.
Con Charlie Chaplin, stella del cinema di allora
La lotta nonviolenta
Acclamato «Mahatma», grande anima, nel 1919 entrò nel partito del Congresso Nazionale Indiano, e indignato si oppose al «Rowlatt Acts», che prolungava di fatto le limitazioni delle libertà anche dopo la fine della Grande Guerra, proclamando lo sciopero generale. Gandhi invitò anche i negozianti a chiudere le loro botteghe, gli studenti a non andare in classe, tutto il popolo a raccogliersi in preghiera e a praticare il digiuno. Diede il via a una disubbidienza civile che, nonostante il suo appello alla nonviolenza, generò disordini in tutto il Paese, immancabilmente repressi nel sangue dall'esercito britannico. Se per il popolo era un eroe nazionale, per gli inglesi era un sovversivo che scatenava le masse, da fermare con ogni mezzo. E la via della nonviolenza lo portò ripetutamente in carcere: la prima volta vi rimase dal 1922 al 1924, la seconda dal 1930 al 1931, subito dopo la celebre «Marcia del sale», la terza dal 1942 al 1944.
A Roma con alcuni gerarchi fascisti
Una fama senza confini
Il messaggio di Gandhi era potente e si diffuse in ogni angolo del mondo. Nel 1931, arrivò a Londra invitato come rappresentante unico del Congresso per una tavola rotonda sulla nuova Costituzione indiana, sulla strada del ritorno attraversò l'Europa, e in ogni stazione una gran moltitudine si riuniva per poterlo vedere e ascoltare. «A Parigi, la Gare du Nord era stata invasa da una folla tanto fitta che per prendere la parola Gandhi dovette montare su un carrello per i bagagli. In Svizzera, dove fu accolto da Romain Rolland, lo scrittore suo amico, il sindacato dei lattai del Lemano rivendicò l'onore di nutrire “il re dell'India”. A Roma Gandhi avvertì Mussolini che il fascismo sarebbe crollato come un castello di carte e pianse davanti al Cristo in croce della Cappella Sistina», raccontano le cronache dell’epoca.
Con l'ultimo vicere dell'India
L’arma del digiuno
In un paese annientato dalla fame, Gandhi per sostenere le sue idee rifiutava il cibo, e si nutriva solo con acqua e bicarbonato. Sfiorò più volte la morte, ma scoprì nel digiuno la sorgente della propria forza, capace di piegare la potente Gran Bretagna e di calmare le folle inferocite. A Mira, una discepola, disse: «Io sono al servizio di Dio e vivo alla sua presenza. I miei avversari dovranno riconoscere che ho ragione. La verità trionferà. Il digiuno non è destinato ad agire sul cuore, ma sull'anima degli altri».
Circondato dai suoi sostenitori nel 1948 pochi giorni prima della morte
La morte violenta del Mahatma
Dopo la fine della seconda guerra mondiale e l’ascesa del partito laburista a Londra, l’attesissima indipendenza era ormai cosa fatta, restava da definire come. Da una parte il Partito del Congresso indiano, voleva un grande stato federale che comprendesse tutta l’India, mentre il leader della Lega Musulmana, Muhammad Ali Jinnah, chiedeva la creazione di un stato indipendente musulmano. Lord Mountbatten, l’ultimo viceré, appoggiò la soluzione a più Stati, e la notte tra il 14 e il 15 agosto 1947 l’India diventò indipendente e nasceva il Pakistan. L’alba della nuova era vide la luce nel dramma di una guerra civile: la tensione tra le fazioni religiose scoppiò con estrema violenza, e contò migliaia di morti e sei milioni di profughi che volontariamente, o forzatamente, lasciarono le loro case. Gandhi lanciò un ultima volta il suo grido di pace, annunciando che avrebbe digiunato fino alla morte se il popolo non si fosse pacificato. E solo per impedire al Mahatma di uccidersi induisti e musulmani deposero le armi. Non tutti, Nathuram Godse, un nazionalista indù lo freddò con tre colpi di pistola il 30 gennaio 1948. A nulla valsero le richieste giunte da tutto il mondo di risparmiare la vita all’assassino e al suo complice, Narayan Apte, i due vennero impiccati il 15 novembre 1949.
Gandhi mentre firma autografi
Il Mahatma Gandhi

I ricchi dovrebbero vivere più semplicemente affinché i poveri possano semplicemente vivere



Articolo a cura di
Maris Davis

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29 gennaio 2018

Nel Sahel il futuro è in mano alle donne, ma fanno troppi figli

In Africa le donne costituiscono la maggior parte della forza lavoro agricola, ma sono anche le ultime ad avere un diritto riconosciuto alla proprietà della terra.


In Africa sono le donne a lavorare la terra, curare le coltivazioni e produrre il cibo. Quasi mai, però, sono proprietarie della terra che lavorano o ne gestiscono i ricavi prodotti.

Per leggi e consuetudini patriarcali, è un uomo a garantire per loro e ad usufruire così dei frutti del lavoro femminile

Fatou, Senegal
Fatou, nata in Senegal, nella regione di Kedougou, era una di queste donne destinate a sottostare al fenomeno di land grabbing (accaparramento di terre da parte delle multinazionali agricole), se non avesse deciso di lottare per diventare indipendente. Assieme a un gruppo di donne del suo villaggio, ha creato una cooperativa che permette alle donne di lavorare insieme per sostenere i propri diritti e gestire il ricavato del loro lavoro.

Fatou è una delle tante donne che partecipano al progetto “Terre et paix di Cospe che in Niger, Mali e Senegal lavora per contribuire all'emancipazione socio-economica delle donne delle comunità rurali e la valorizzazione del loro ruolo per il raggiungimento della sovranità alimentare.

In Senegal in particolare, secondo il Gender and land rights database (Glrd) della Fao, il 9,1% delle donne è titolare di appezzamenti di terra ma solo il 5% di loro è proprietaria della terra che lavora. Questi dati, così come la storia di Fatou (nella foto), sono solo un esempio di una situazione che riguarda quasi tutti i contesti rurali, in particolare nei Paesi dell’Africa sub-sahariana.

«In Africa le donne costituiscono la maggior parte della forza lavoro agricola, ma sono anche le ultime ad avere un diritto riconosciuto alla proprietà della terra: guadagnano solo il 10% del reddito globale e possiedono meno del 2% della terra. Sostenere il mondo femminile per affermare che la questione di genere deve entrare nell'analisi di grandi temi dei diritti alla terra e all'acqua, per tutti e tutte. Lavorare ai difficili percorsi di accesso alla terra significa anche contribuire alla prevenzione dei conflitti»

Necessario quindi sostenere le contadine africane per far valere i loro diritti di accesso e proprietà della terra.


Bisogna convincerle a usare la contraccezione per limitare le nascite. Tassi di fertilità troppo alti
In Niger ogni donna ha in media 7,6 figli

Il primo obiettivo è senza dubbio la sicurezza militare contro terroristi e trafficanti. Ma il grande progetto del G5, “l’esercito del Sahela cui si aggiungono ora truppe italiane, affianca, non bisogna dimenticarlo, interventi umanitari, istituzionali e di sviluppo in quella parte di Africa sub-sahariana. E su quest’ultimo punto, molti esperti in materia concordano su un fatto: per scongiurare una serie di calamità, che coinvolgerebbero l’ambiente, la sicurezza e l’economia, le donne nel Sahel devono cominciare ad avere meno figli.

Per esempio, uno dei paesi chiave dell’alleanza del G5 è il Niger, attraversato da traffici illegali di ogni tipo e terra di reclutamento per i jihadisti della regione. Ebbene, la sua precaria stabilità è minacciata, forse più di ogni altra cosa, da una crescita della popolazione che oggi sembra davvero fuori controllo. Qui le donne partoriscono una media di 7,6 figli a testa. Con un tasso di fertilità del genere, il numero di abitanti è letteralmente esploso. Poco più di 3 milioni negli anni ’60, oggi i nigerini sono oltre 20 milioni. La popolazione, per l’80% sotto la soglia di povertà, raddoppierà nei prossimi 17 anni; e se il ritmo non rallenta, potrebbe raggiungere 70 milioni nel 2050.

Che senso ha tutto ciò in un paese costantemente sull'orlo della crisi alimentare? Molto poco. È evidente che si tratta di una pressione insostenibile per le magre risorse dell’agricoltura, oltre che per l’esiguo budget destinato dal governo a istruzione e sanità. Diventa impossibile costruire abbastanza scuole e cliniche; formare un numero sufficiente di educatori e personale sanitario; espandere l’agricoltura e creare occupazione per i giovani. Che infatti sono costretti a emigrare.

Tantissimi dei nostri giovani se ne vanno in paesi vicini come Ghana, Costa d’Avorio e Nigeria per trovare un impiego”, spiega Hassane Atamo intervistato dal Guardian, il capo dell’ufficio di pianificazione familiare del ministero della salute nigerino. “Oppure finiscono per delinquere, o entrano in gruppi terroristici: tradizionalmente, Boko Haram recluta chi è senza lavoro

Pur senza i picchi del Niger, la spinta demografica è molto forte in tutto il Sahel. In Ciad e Mali, ad esempio, le donne hanno in media 6 figli a testa. Ne fanno 5,7 in Gambia e 5,4 in Burkina Faso; 5 in Senegal e Costa D’avorio; meno in Guinea-Bissau (4,7), Mauritania (4,5) e Sudan (4,3). “È una bomba a orologeria

Ad allarmare i demografi esperti di Sahel è il rischio che la rapida crescita della popolazione coincida con un calo altrettanto brusco di risorse alimentari a causa del cambiamento climatico. La regione conta oggi 135 milioni di abitanti, ma ne avrà 330 milioni nel 2050 e 670 milioni nel 2100.

Secondo l’Ispi, l’Istituto per gli studi di politica internazionale, se il tasso di emigrazione degli africani resterà inalterato, la pressione demografica produrrà 30 milioni di nuovi migranti internazionali entro il 2050, di cui 10 milioni tenteranno di raggiungere l’Europa.

In Niger progetti di pianificazione familiare esistono da parecchi anni. È stato anche aperto un ufficio ad hoc all'interno del Ministero della Salute. Ma sembrano più che altro interventi di facciata; in realtà, il sostegno del governo è debole. E infatti le cose non sono migliorate; anzi, dagli anni 60’ il tasso di natalità è lievemente cresciuto. Con un pò di sarcasmo, il demografo francese Jean-Pierre Guengant, professore alla Sorbonne, definisce i paesi come il Niger membri del “club del ripopolamento

Dicono di impegnarsi, organizzano molti seminari, e ricevono finanziamenti dai donatori internazionali. Alla fine però non c’è una vera volontà a cambiare le cose. Altrimenti, i fondi finirebbero

Nelle remote campagne nigerine l’utilizzo di contraccettivi è tra i più bassi al mondo. Quella del governo e delle organizzazioni "non-profit" è anche una battaglia culturale. Gli imam conservatori, ma anche organizzazioni cattoliche, e i capi famiglia convincono spesso le donne a non usare contraccettivi, anche quando disponibili, per avere più figli possibile.

La chiave di tutto, secondo molti esperti, sono i diritti e l’educazione delle donne. Le ultime statistiche dicono che oltre la metà delle ragazze in Niger non finisce la scuola elementare. “Se vogliamo cambiare le cose, le nostre giovani devono andare a scuola, e restarci

Non è raro che le studentesse, poco più che bambine, vengano tolte dalle classi e costrette a sposarsi.”Finiscono a casa dei mariti, senza soldi e senza controllo sulle proprie vite

Le donne africane hanno due problemi, il primo è il diritto alla proprietà della terra che lavorano per far vivere la famiglia, il secondo è che fanno troppi figli. In tutti e due i casi hanno scarsa consapevolezza dei loro diritti. Matrimoni precoci, scarsa istruzione, leggi patriarcali sono le cause principali, in un tessuto sociale dove la povertà è l'unica condizione di vita.

Di questo passo fra 30 anni la popolazione del Sahel potrebbe raddoppiare con gravi ripercussioni anche verso i fenomeni migratori che potrebbero aggravare la già grave situazione attuale.

A nulla sono serviti i finanziamenti internazionali per progetti orientati a far acquisire la proprietà delle terre lavorate dalle donne, alle donne, e ai progetti finalizzati alla riduzione della nascite. Tutti soldi finiti nel nulla, o più probabilmente nella tasche dei governanti locali.

Bisogna sempre di più intervenire direttamente sulle donne dando loro consapevolezza, istruzione, diritti



Articolo di
Maris Davis

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27 gennaio 2018

L'Italia e i razzisti della porta accanto

Ogni giorno sul web settemila casi di incitamento all'odio. L'analisi dell'Unar sull' ''hate speech". In Italia il 69% degli episodi riguardano la questione razziale.


La discriminazione trova spazio anche sul web. Ogni giorno online vengono rilevati 7.000 (settemila) ‘hate speech’: ovvero espressioni che mirano a diffondere, fomentare, promuovere o giustificare l'odio razziale, la xenofobia, l'antisemitismo o altre forme di intolleranza e ostilità nei confronti delle minoranze.

Tra i vari canali usati un ruolo fondamentale lo ricoprono soprattutto i social network. Spiega il sociologo e dirigente Unar Mauro Valeri "Bisogna capire sei i social sono una sorta di luogo virtuale dove le persone si sfogano e quindi riducono i reali comportamenti discriminatori, o se invece in qualche modo istigano all'azione. Credo che il secondo passo da fare sia verificare quanto i social influenzino i comportamenti"


Chi si occupa di ‘hate speech’ in Italia
L'Unar (Ufficio nazionale, anti-discriminazione razziale) già da alcuni anni si occupa di ‘hate speech' online attraverso l’Osservatorio media e Internet. Si tratta di un lavoro di ricerca, monitoraggio e analisi quotidiana di tutti i contenuti potenzialmente discriminatori provenienti da:
  • i principali social network (Facebook, Twitter, GooglePlus e YouTube);
  • i media (articoli di giornale, blog e relativi commenti e siti di fake news)

"Il nostro sistema rileva sul web circa 7.000 contenuti potenzialmente discriminatori ogni giorno, che si traducono in 30 casi di reale discriminazione", spiega Francesca Cerquozzi, referente dell'Osservatorio per il contact center di Unar, durante l'evento 'Tra le parole e i fatti: dove i pregiudizi condizionano la comunicazione'

Come vengono individuati i contenuti che istigano all'odio
L’Osservatorio adotta una strategia interdisciplinare che, attraverso l’utilizzo di un software specifico, combina la sentiment analysis, il monitoraggio e la tutela delle vittime con lo studio, la ricerca e l’ideazione di campagne ed iniziative tese alla sensibilizzazione degli utenti di internet sulla lotta all'odio, sull'intolleranza e sulla violenza online. 

L’Osservatorio valuta e seleziona i contenuti da segnalare all'autorità giudiziaria che palesemente incitano alla violenza richiedendone, contestualmente, la rimozione ai social network o all'amministratore del sito che ospita il contenuto discriminatorio.

In un mese e mezzo oltre 11mila contenuti potenzialmente discriminatori
In un mese e mezzo un monitoraggio condotto dall'Osservatorio ha rilevato 11.200 contenuti che incitano, promuovono o giustificano odio, disprezzo, xenofobia o altre forme di intolleranza. Nello stesso periodo 197 contenuti sono stati segnalati ai social network (110 a Facebook, 48 a You Tube e 39 a Twitter), di questi 161 sono stati rimossi.

La discriminazione in Italia
Nell'ultimo anno in Italia ci sono stati 2.652 casi di discriminazione, il 69% dei quali riguardano fatti di natura etno-razziale. Secondo i dati rivelati all'Agi, nel 2016 l'Ufficio ha lavorato su 2.939 segnalazioni, di queste il 90% sono risultate effettivi casi di discriminazione, il 6,4% (187) sono state considerate dubbie e solo il 3,2% (97 casi) non pertinenti.

La maggiore fonte di discriminazione continua ad essere quella etnico-razziale che sfiora il 69% dei casi, di cui il 17% riguarda la comunità "Rom, Sinti e Caminanti (RSC)" e il 9% le discriminazioni per motivi religiosi o per convinzioni personali.

Dopo quelle legate alla razza il 16% delle discriminazioni riguarda i disabili, il 9% quelle legate all'orientamento sessuale e all'identità di genere e infine il 5% all'età. Unar ha segnalato oltre la metà dei casi discriminatori, il 56% dei quali arriva dall'osservatorio Social Media dell'Ufficio, il 13% dal sito web e il 12% dalle e-mail. Solo nel 14% dei casi è stata la vittima a denunciare la discriminazione subita, stessa percentuale vale per i testimoni, le associazioni e gli enti.

Un italiano su due giustifica l'hate speech,
violenze e aggressioni sui social


Migranti e rom nel mirino, dilagano antisemitismo e omofobia.

Dei 55 italiani su cento che, rispondendo a un sondaggio di Swg (15 novembre 2017), hanno giustificato il razzismo, la gran parte probabilmente escluderebbe di essere razzista. La domanda era diretta: «Determinate forme di razzismo e discriminazione possono essere giustificate?»
  • Per il 45% è «no mai».
  • Per il 29% «dipende dalle situazioni».
  • Per il 16% «solo in pochi specifici casi».
  • Per il 7% «nella maggior parte dei casi».
  • Per il 3% «sempre».

Se la domanda fosse stata «lei è razzista?» è presumibile che avrebbe risposto SI quel 3 per cento per cui il razzismo è giustificabile sempre, e forse alcuni del 7 per cento per cui è accettabile nella maggior parte dei casi.

Il razzismo è una malattia insidiosa, dà sintomi vaghi, talvolta deboli o indecifrabili: non si prende il razzismo come un’influenza, dall’oggi al domani.

Matteo Salvini esclude di essere razzista (in buonissima fede, si deve presumere) eppure il primo gennaio ha scritto un tweet che, nella sua apparente innocuità (fra centinaia ben più aggressivi scritti dal capo leghista), spiega bene la noncuranza del pensiero e del linguaggio: «Vado a Messa a Bormio, e sento dire dal prete che bisogna “accogliere tutti i migranti”. "Penso ai milioni di italiani senza casa e senza lavoro, al milione di bambini che in Italia vivono in povertà, e prego per loro».

Naturalmente è legittimo e per niente illogico ritenere che non si possano accogliere tutti i migranti, ma pregare per i poveri italiani sembra una trasposizione un po’ temeraria del sovranismo nella fede: è complicato pensare a un Dio che accolga preghiere in base al passaporto o al colore della pelle, ed è stupefacente intuire tanti cristiani disinvoltamente immemori della vocazione universalistica ed ecumenica del cristianesimo, costituzionalmente antirazzista.

Il linguaggio della politica
Anche Massimo Corsaro, deputato di centrodestra, ogni volta trasecola. Dopo il derby Torino-Juve, ha dato dello zingaro all’ex allenatore del Torino, Sinisa Mihajlovic. Così come si era rivolto al collega ebreo, Emanuele Fiano, dicendo che portava le sopracciglia folte per nascondere i segni della circoncisione. In entrambi i casi, Corsaro ha ammesso una certa intemperanza linguistica, dovuta alla foga, ma nessun cedimento al razzismo. La novità evidente è che certe cose, fino a pochi anni fa, un uomo delle istituzioni non si sarebbe nemmeno sognato di dirle e tanto meno l’avrebbe fatta franca.

La violenza quotidiana
Un’inchiesta dell’associazione Lunaria, presentata a Montecitorio lo scorso ottobre, ha registrato 1.483 casi «di violenza razzista e discriminazione» tra il primo gennaio 2015 e il 31 maggio 2017. Da gennaio 2007 ad aprile 2009, la stessa Lunaria ne aveva registrati 319.

Di questi 1.483 casi, 1.197 vanno alla voce violenza verbale, e non bisogna per questo pensare che siano meno gravi: un anno fa Pateh Sabally, ventiduenne gambiano, decise di suicidarsi buttandosi nel Canal Grande a Venezia; da un vaporetto lo videro dimenarsi, nessuno si lanciò per salvarlo, alcuni gli fecero un video mentre affogava, qualcuno rideva e diceva «ueh Africa», qualcuno gli diceva «scemo», «negro». 

Lo scorso giugno, in un centro estivo del riminese, una bambina cadde mentre giocava e due coetanei le dissero «ti sta bene che sei caduta, a terra devono stare i negri» e «io vicino a una negra non ci sto».

Lo scorso novembre, in provincia di Padova, in una partita fra quattordicenni un ragazzo nigeriano si sentì dire due volte «stai zitto negro» da un avversario che poi gli rifilò un pugno, e quando il nigeriano reagì fu espulso dall'arbitro. Sono episodi pescati alla rinfusa fra centinaia. Se ne sono citati due consumati fra bambini o ragazzini per rendere l’idea dell’aria che tira.

Le istituzioni contagiate
L’aspetto più stupefacente del lavoro di Lunaria è che il maggior numero dei casi (615) ha per protagonisti «attori istituzionali». Hanno spesso a che fare coi sindaci e le loro ordinanze teoricamente a tutela dell’ordine pubblico.

Nell’agosto 2016 il sindaco PD di Ventimiglia vietò la distribuzione di cibo ai migranti in attesa alla frontiera; nello stesso periodo la sindaca di Codigoro, Ferrara, (sempre Pd) propose tasse più alte per chi affittava appartamenti ai richiedenti asilo; nel settembre 2017 il sindaco leghista di Pontida, Bergamo, decise di riservare i parcheggi soltanto a donne comunitarie ed etero.

Sindaci di sinistra e di destra, tutti accomunati dallo stupore del giorno dopo, e dalla spiegazione che no, mica si trattava di razzismo. Poi, naturalmente, ci sono anche le violenze fisiche: 84. Un solo esempio, notissimo: nel luglio 2016 Emmanuel Chidi Namdi, trentaseienne nigeriano, fuggito dalle persecuzioni d’estremismo islamico di Boko Haram, passeggiava per Fermo con Chinyery, la fidanzata ventiseienne, quando due del posto hanno preso a chiamarla «scimmia»; Emmanuel provò a difenderla e fu aggredito con una spranga e, caduto a terra, massacrato a calci e a pugni. Emmanuel poi morì a causa delle gravissime lesioni subite.

L’intolleranza via social
Fin qui si tratta di fatti di cronaca, ma poi c’è una frenetica attività di razzismo quotidiano. L’associazione Vox, in collaborazione con l’Università degli Studi di Milano e La Sapienza di Roma, ha monitorato il social Twitter nel periodo che va dall’agosto 2015 al febbraio 2016, e ha trovato 412 mila tweet misogini, razzisti o omofobi. Circa 42 mila tweet erano contro i migranti in quanto tali, soprattutto se musulmani.

Secondo il Pew Research Center (Think Tank di Washington) il 68 per cento degli italiani è ostile ai musulmani, e del resto un'indagine di Ipsos evidenzia che in Italia la maggioranza è convinta che gli immigrati di religione musulmana siano oltre il 20 per cento della popolazione, quando invece la percentuale balla fra il 2,5 e il 3,5 per cento (secondo varie fonti, che tengono più o meno conto dell’immigrazione clandestina). Così, per tornare all'inizio, al sondaggio di Swg, si scopre che tendenzialmente gli italiani preferiscono per vicino di casa un ebreo piuttosto che un musulmano, ma preferiscono un altro italiano piuttosto che un ebreo, qualsiasi cosa voglia dire, visto che gli ebrei in Italia sono quasi tutti italiani.

Cresce l’antisemitismo
E qui arriviamo all’ultimo studio, proposto dalla Anti Defamation League, Osservatorio antisemitismo Italia. Nel 2016 i casi di antisemitismo in Italia sono stati 130, almeno quelli di cui si è venuti a conoscenza; dieci anni prima, nel 2006, erano stati 45. «Dalla Palestina alla Patagonia. Gli avvoltoi giudei alla conquista del pianeta», «sionisti cancro dell’umanità», «semiti assassini rituali» si legge su vari profili Facebook dedicati alla riemergente lotta all’ebreo; nei dintorni dell’antico ghetto di Ferrara, poche settimane fa, via Voltapaletto è stata trasformata a vernice in via Hitler all'ingresso del liceo Seneca di Roma, a ottobre è apparsa la scritta «ingresso ebrei».

Anche qui si potrebbe andare avanti per pagine, resta giusto lo spazio per dire che, sempre secondo l’Anti Defamation League, nel 2014 il 20 per cento degli italiani aveva sentimenti o pregiudizi anti-ebraici (come, per esempio, «gli ebrei muovono l’economia mondiale contro gli altri popoli»), e nel 2015 erano saliti al 29. E per ricordare la manifestazione filo-palestinese del 29 dicembre a Milano, piazza Cavour, dove immigrati musulmani hanno scandito un coro tradizionale: «Ebrei tremate, l’armata di Maometto ritornerà». Per sottolineare l’ovvio: nelle società dove il razzismo cresce, chi lo subisce spesso poi lo alimenta, in un clima facilone, crudele ed epidemico in cui tutti hanno conquistato il diritto alla spudoratezza.




Articolo a cura di
Maris Davis

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