23 ottobre 2017

Allarme Unicef. Tre milioni di bambini nigeriani senza accesso all'istruzione primaria

L'Unicef denuncia che oltre il 57% delle scuole del nord-est del paese africano è chiuso a causa della rivolta di Boko Haram. Alla grave situazione scolastica si aggiungono anche problemi di natura sociale e sanitaria per i minori di 5 anni.


Molti bambini in Nigeria rischiano di rimanere senza istruzione. L'allarme arriva dall'Unicef che in una nota diramata a fine settembre ha denunciato come la crisi causata dalla rivolta di Boko Haram, nel nord-est del Paese abbia comportato la chiusura di oltre il 57% delle scuole nel solo Stato di Borno.

Una crisi sociale
Secondo quanto denunciato dall'Onu per l'infanzia, nel Borno, lo Stato maggiormente colpito dall'organizzazione terroristica jihadista legata all'Isis, molti bambini non potranno prendere parte all'anno scolastico già iniziato. Nel suo documento, l'Unicef ha inoltre ricordato come dal 2009 in tutto il nordest della Nigeria “oltre 2.295 insegnanti sono stati uccisi, 19.000 sono stati costretti a fuggire, e circa 1.400 scuole sono state distrutte”. E le scuole "non distrutte", stando al racconto dei responsabili Onu sul campo, non possono riaprire a causa di ingenti danni o perché si trovano in aree ancora poco sicure.

2.295 insegnanti sono stati uccisi, 19.000 sono stati costretti a fuggire, e circa 1.400 scuole sono state distrutte

Tre milioni di bambini senza istruzione
Sono cifre allarmanti quelle rese note dall'Unicef, che stima in tre milioni il numero dei giovani che hanno bisogno di supporto dell'istruzione. “I bambini nel nord-est della Nigeria stanno vivendo tanti orrori”, ha dichiarato Justin Forsyth, vice direttore dell'Unicef, al termine di una missione di tre giorni a Maiduguri, l'epicentro della crisi nel nordest. “In aggiunta alla terribile malnutrizione, alle violenze e all'epidemia di colera, gli attacchi contro le scuole rischiano di creare una generazione perduta di bambini, minacciando il loro futuro e quello di un intero territorio

L'azione dell'Unicef in Nigeria
Nel mezzo di questa situazione disperata c'è ancora una piccola parte di bambini che pur vivendo nei campi profughi del Borno, riescono attualmente a ricevere un'istruzione per la prima volta nella loro vita. Si tratta degli sfollati che vivono nel campo di Muna Garage, nella periferia di Maiduguri, dove circa il 90% degli studenti si sono iscritti a scuola per la prima volta. “Nei tre stati maggiormente colpiti nel nordest della Nigeria, l'Unicef e i suoi partner hanno registrato le iscrizioni a scuola per quest'anno di circa 750.000 bambini, aprendo oltre 350 spazi temporanei per l'apprendimento e distribuendo circa 94.000 kit scolastici, che aiuteranno i bambini a ricevere un'istruzione

Un milione di bimbi sfollati
L'Unicef ha infine ricordato come, ad oggi, si contano circa un milione di bambini sfollati a causa di Boko Haram e della conseguente crisi umanitaria. Per 450mila di loro, nella fascia d'età sotto i cinque anni, si prevedono gravi problemi di salute legati a una acuta malnutrizione. All'interno del conflitto, dall'inizio del 2017 ad oggi, sono stati utilizzati circa 100 bambini come bombe umane. Una tecnica dei guerriglieri che ha contribuito a creare un clima di diffidenza fra le comunità del nordest.

La crisi umanitaria ha causato anche un'epidemia di colera che ha colpito oltre 3.900 persone, fra cui oltre 2.450 bambini. I programmi d'emergenza salvavita dell'Unicef nel nord-est della Nigeria sono ancora sotto finanziati. A soli tre mesi dalla fine dell'anno, manca il 40% dei fondi necessari per il 2017. Ciò non impedisce al Fondo di continuare a lavorare per la ricostruzione delle scuole e per la formazione degli insegnanti in vista di un'attesa riforma del sistema scolastico.

L’educazione occidentale è proibita. In Nigeria il problema di Boko Haram non ha ancora trovato una soluzione


Duemila ragazze e donne ancora prigioniere
Si stimano in duemila le ragazze rapite e ancora prigioniere di Boko Haram. Wolfgang Bauer, scrittore e giornalista tedesco, ha intervistato settantadue giovani donne rapite da Boko Haram e riuscite a fuggire. Gli ostacoli alla reintegrazione sociale sono di varia natura: psicologica, antropologica e di sicurezza interna.

Oltre al trauma personale, spiega Bauer, il ritorno alla vita quotidiana è reso difficoltoso dal persistere di credenze animistiche in Nigeria, che inducono parte della popolazione a credere che, dopo essere stata ostaggio dei miliziani, la donna possa essere portatrice di demoni maligni.

Esiste poi la paura che alcune di esse possano essersi effettivamente radicalizzate durante la prigionia, trasformandosi a loro volta in terroriste. Il rapimento delle donne a fine schiavistico da parte dei terroristi è sistematico.

Diversa la sorte degli uomini che invece vengono uccisi. Per lo scrittore le origini profonde del successo di Boko Haram risalgono a un diffuso revanscismo verso il colonialismo occidentale, che ha distrutto l’egemonia dei gruppi tribali che si era espansa fino alla Libia.

C'è una differenza economica enorme tra le zone residenziali delle grandi città nigeriane del Sud della Nigeria e le aree del nord-est del paese, zona di influenza di Boko Haram



Articolo a cura di
Maris Davis

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19 ottobre 2017

Passata nell'indifferenza la Giornata Europea contro la Tratta

Ieri è passata nell'indifferenza generale la Giornata Europea contro la Tratta di esseri umani.


A testimoniarne invece l'importanza sono le strade delle nostre città. Molti marciapiedi sono affollati da donne, ragazze, anche minorenni, il più delle volte costrette a vendere il proprio corpo su cigli intasati da automobilisti che si fermano, contrattano, caricano e poi fanno come se niente fosse.

Molte regioni italiane su questo fronte ha messo in campo energie e risorse per essere un aiuto concreto a quelle donne che sono costrette a vivere quotidianamente un incubo e che cercano un appiglio per uscirne. Quell'appiglio può essere la consapevolezza delle proprie capacità e aspirazioni che necessariamente passano dal superamento del senso di impotenza e sfiducia, e possono condurre alla costruzione di un percorso lavorativo alternativo.

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Dal febbraio 2016 è legge il "Piano Nazionale Antitratta" ma parallelamente si devono mettere in campo progettualità che vadano a integrare il sistema di emersione della tratta anche attraverso un'attiva collaborazione tra istituzioni, a partire dai presidi ospedalieri e consultori che miri ad "agganciare" potenziali vittime di tratta nel momento in cui si rivolgono ai servizi sanitari. Scontato il coordinamento necessario con le forze dell'ordine.

Questo però è solo un tassello del lavoro che le istituzioni stanno portando avanti, ma è pressoché inutile se la società civile non scenderà in campo. Potremo pensare di ingaggiare una vera e propria lotta allo sfruttamento sessuale solo il giorno in cui ognuno di noi non volterà lo sguardo da un'altra parte dopo aver incrociato una vittima di tratta, solo quando i "clienti" delle prostitute verranno puniti così come prevede la legge sulla prostituzione attualmente ferma in Parlamento.

C'erano le donne albanesi, poi le romene e oggi ci sono le nigeriane. Passano gli anni, cambiano le epoche e mutano anche le nazionalità di donne che vendono il proprio corpo sotto ricatto o per evitare le botte. Figlie di una storia che le vede costrette per un motivo o per l'altro a scappare dal proprio Paese, a essere discriminate per la propria origine e infine a essere gettate in pasto al desiderio maschile.

"Nessun individuo potrà essere tenuto in schiavitù o servitù. La schiavitù e la tratta degli schiavi saranno proibite sotto qualsiasi forma" .. (Art. 4 Dichiarazione universale dei diritti umani)

Nei 2016 è aumentato in modo esponenziale il numero di vittime di tratta arrivate in Italia via mare rispetto all'anno precedente. Solo le donne e le ragazze nigeriane arrivate via mare in Italia a sono state 11.000 contro 5.600 del 2015. Sono già oltre 7.000 quelle arrivate fino ad agosto di questo 2017.

Due su cinque sono minorenni, l'80% quasi certamente diventeranno "schiave sessuali"

La politica non potrà mai veramente contrastare la "Tratta di esseri umani" senza una pena adeguata per chi usufruisce di servizi sessuali da donne vittime.

Ancora più grave se si finge di non sapere che spesso la donna che si sta "comprando" è minorenne, e ciò costituisce reato.


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"Trafficking"
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Articolo a cura di
Maris Davis

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18 ottobre 2017

Anche l'Africa ha le sue "Catalogne"

La Catalogna diventerà indipendente dalla Spagna? Chissà. Speriamo di No

Manifestazioni per l'indipendenza del Biafra, Nigeria

Il presidente catalano Carles Puidgemont ha solennemente dichiarato che la secessione ci sarà, ma al momento è sospesa. Il rischio di uno strappo violento da Madrid è stato (al momento) superato. Ma questa crisi politica ha aperto un forte dibattito sulla validità degli Stati nazionali in Europa.

La situazione in Africa è però diversa, dove i confini tra gli Stati NON sono esistevano

In Africa gli Stati modello occidentale è sempre stato un problema. Prima della colonizzazione non c’erano veri e propri Stati nazionali. Fu il colonialismo ad imporre confini tra gli Stati in Africa.

Esistevano regni multietnici che non avevano confini precisi. Lo Stato africano nasce con la colonizzazione europea che, nel separare i propri domini, fissa frontiere rigide che inglobano realtà diverse e, spesso, dividono popolazioni da sempre unite. Neanche la stagione delle indipendenze cambia questa situazione de facto.

L’Organizzazione dell’unità africana sceglie chiaramente di non voler rimettere in discussione l’assetto geopolitico africano

Alcuni studiosi calcolano che, se l’impianto statale ereditato dal colonialismo fosse superato, l’Africa avrebbe il doppio degli Stati attuali. A più di cinquant'anni dalla fine del colonialismo classico, però, solo due nazioni hanno rotto il tradizionale assetto ereditato dal passato.

Sono l’Eritrea, che nel 1993, dopo una lotta trentennale, si stacca dall’Etiopia e il Sud Sudan, che nel 2011 ottiene l’autonomia dal Sudan e dà vita al più giovane Stato del mondo.

Sahara Occidentale

Esistono però molte situazioni di tensioni. Difficile elencarle tutte. Ci limiteremo a citare le più «calde». Tra queste un posto d’onore lo merita il Sahara Occidentale. Ex colonia spagnola, dopo il ritiro delle truppe di Madrid è stata invasa e annessa dal Marocco. Da allora (1976), i saharawi non smettono mai di rivendicare la loro indipendenza.

Nel 1991, un accordo con Rabat stabilisce che si sarebbe dovuto tenere un referendum per l’autodeterminazione. Il voto non viene organizzato e la situazione rimane irrisolta, con i marocchini che occupano il territorio e i saharawi ribelli costretti all'esilio nei Paesi confinanti 

Biafra

In Nigeria, stanno riemergendo con forza le rivendicazioni indipendentiste delle popolazioni igbo. Protagonisti della secessione del Biafra nel 1967 che dà vita a una sanguinosa guerra civile, dopo cinquant'anni gli igbo tornano a chiedere maggiore autonomia. Alla base delle richieste l’insofferenza verso il potere di Abuja e la volontà di sfruttare in proprio le ingenti ricchezze petrolifere (approfondimenti).

Cabinda (Congo)

Richieste di autonomia simili sono avanzate dalla popolazione di Cabinda, una piccola enclave angolana in territorio congolese. Da sempre chiedono l’indipendenza, ma il governo di Luanda non ha mai accettato. Anche perché i politici angolani sanno che i più ricchi pozzi petroliferi sono proprio nel territorio della piccola regione.

Regioni anglofone nel sud-ovest del Camerun

In Camerun, fin dall'indipendenza (1960), le popolazioni di lingua inglese si sono dimostrate insofferenti al governo di Yaoundé. I francofoni (al contrario) hanno sempre negato l’autonomia, tendendo a imporre l’insegnamento della lingua francese e gli istituti giuridici francesi anche nelle regioni da sempre legate al mondo anglosassone.

Da alcuni mesi la tensione si è acuita. Per evitare tensioni, Yaoundé ha scollegato le regioni ribelli dalla rete Internet e ha fortemente represso ogni manifestazione. Fino a quando potrà durare questa situazione?

Isola di Zanzibar

Anche la stabile e pacifica Tanzania ha la sua spina. Si chiama Zanzibar. Zanzibar e la parte continentale della Tanzania (allora Tanganica) si sono unite solo nel 1964, pochi mesi dopo la rivoluzione di Zanzibar (la più breve rivoluzione che la storia ricordi). In precedenza, l’isola era un soggetto politico distinto, prima un sultanato e poi un protettorato britannico e infine, per breve tempo, una monarchia costituzionale. Da allora non sono mai mancate le rivendicazioni di autonomia e di indipendenza. Finora però tutte rientrate.

Somaliland

Questa breve e incompleta carrellata non può che non terminare con il Somaliland. A dire il vero lo Stato è indipendente dal 1991 cioè da quando, crollato il regime somalo di Siad Barre, ha separato i propri destini da quelli della Somalia meridionale. In realtà, la sua indipendenza non è mai stata riconosciuta a livello internazionale. Così, da 26 anni la nazione, pur essendo stabile, pur avendo istituzioni democratiche, pur avendo propri confini definiti, vive in una sorta di limbo che la tiene lontana dalla comunità degli Stati africani.



Articolo a cura di
Maris Davis

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16 ottobre 2017

Thomas Sankara, l'ultimo discorso che gli costò la vita

  • Disse che la politica aveva senso solo se lavorava per la felicità dei popoli.
  • Affermò, con il proprio esempio, che la politica era servizio, non potere o arricchimento personale.
  • Sostenne le ragioni degli ultimi, dei diversi e delle donne.
  • Denunciò lo strapotere criminale della grande finanza.
  • Irrise le regole di un mondo fondato su di una competitività che punisce sempre gli umili e chi lavora, e arricchisce sempre i burattinai di questa stupida arena.
  • Urlò che il mondo era per le donne e per gli uomini, tutte le donne e tutti gli uomini e che non era giusto che tanti, troppi, potessero solo guardare la vita di pochi e tentar di sopravvivere.
Nel luglio del 1987, in occasione della riunione dell’OUA (Organizzazione per l’Unità Africana) ad Addis Abeba, Thomas Sankara fece sentire la sua voce contro il debito africano.

Thomas Sankara con Fidel Castro
Le sue idee al non determinato pagamento del presunto “debito pubblico” causarono disagio presso alcuni partecipanti all’assemblea che lo ritenevano un giovane in grado di sconvolgere il gioco di potere vigente in Africa.

Parole profetiche le sue quando disse “Se il Burkina Faso da solo, rifiuta di pagare il debito, non sarò qui alla prossima conferenza. Invece col sostegno di tutti, potremo evitare di pagare, destinando le nostre magre risorse al nostro sviluppo”. Gli altri presidenti presenti in sala applaudirono con entusiasmo l’intervento di Sankara ma nessuno di loro poi aderì alle sue proposte, lasciandolo di fatto solo ed isolato.

Tre mesi dopo questo discorso Sankara venne assassinato (il 15 ottobre 1987) in un colpo di Stato organizzato dal’ex-compagno d’armi e collaboratore Blaise Compaoré con l’appoggio di Francia, Stati Uniti d’America e militari liberiani.

L'assassino di Thomas Sankara, Blaise Campaoré, divenne presidente-dittatore del Burkina Faso restando al potere per ben 27 anni, fino ad ottobre 2014. Portò il paese alla devastazione economica e sociale, agli ultimi posti nel mondo per povertà, e attualmente vive, impunito, in Costa d'Avorio

Spero che il Burkina Faso torni ad essere il paese di Thomas Sankara, il suo giovane, povero e intelligente presidente, trucidato proprio da Campaoré ed i suoi.

Spero che il Burkina torni a essere protagonista della costruzione di un'Africa diversa, capace di risolvere in autonomia i suoi problemi e vantare e condividere le sue ricchezze e la sua bellezza.

Spero che i nuovi governanti siano "poveri" e trasparenti come Sankara. E che anche per loro, come fu per lui, e com'è per noi, si veda con chiarezza l'infamia del governo occulto dei poteri finanziari e la si combatta.

Spero che la felicità, per tutti, torni ad essere l'unica importante missione di chi governerà questo angolo di mondo ai confini del deserto.

Spero (e chiedo) che finalmente si faccia giustizia e verità su quel piccolo grande uomo che ci incantò allora e continua a farlo ancora oggi con le sue idee e la sua straordinaria testimonianza di vita.

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Thomas Sankara vive ancora nel cuore degli africani onesti, dei poveri, degli affamati di giustizia, e di tutti gli africani buoni. Thomas Sankara vive ancora in chi dice basta allo sfruttamento dell'Africa.

Sono decisamente stanca di anniversari. Hanno una loro ragione di essere, ma rischiano di risolversi in mute celebrazioni. Rischiano, cioè, di non produrre altro effetto che un ricordo. Quasi mai azione conseguente. Nel caso di Thomas Sankara, questo è vero, e ricordarlo è già rivoluzionario. Rompe il silenzio nel quale i suoi assassini hanno voluto sigillare la sua vita. Questa vita, però, pretende molto più da noi di un semplice ricordo.


Perché è stato assassinato Thomas Sankara
Ecco quali erano le sue idee di fondo e perché erano tanto pericolose da provocarne non solo la morte ma anche un vero e proprio annientamento della sua esistenza.

La felicità, la cooperazione, il primato delle donne, il rifiuto di ogni servitù.

Il giovanissimo presidente del poverissimo Burkina Faso pretendeva, e operava conseguentemente a partire dalla sua stessa vita privata vissuta in grande semplicità, che la politica fosse servizio alla gente, costruzione di felicità collettiva. Una politica non fastosa, non costosa, umilmente al servizio. Che altro mai potrebbe essere la politica se non questo.

Il mondo si dilania intorno al controllo delle sue risorse. Energia e acqua, terra e minerali rari. Tutto patrimonio di un unico mondo. Tutto risorsa dell’uomo ad ogni latitudine. Tutto oggi terreno di conflitti sanguinosi per le brame di potere di pochi circoli. Sempre pochissimi circoli si contendono il primato della produzione alimentare e di quella energetica.

La produzione crescente di fame, guerra e miseria per la maggioranza dell'umanità è sotto gli occhi di tutti. Come è sotto gli occhi di tutti noi la stratosferica menzogna della necessità della competizione tra paesi per costruire serenità e ricchezza. Con questo sistema di regole che governano il mondo non ci sarà mai più la piena occupazione e la equa divisione delle possibilità.

Il modello di produzione capitalistico ha perso ogni funzione rivoluzionaria. Non c’è più bisogno di piena occupazione per la produzione mondiale. Le macchine risolvono abbondantemente il problema. I poteri dominanti temono questa storica opportunità di liberazione dell’uomo. Chiederebbe l’estinzione di ogni logica di profitto. Affermerebbe la necessità di un ribaltamento epocale delle nostre società. Porrebbe al centro l’uomo e non i pacchetti azionari. Ed allora ci vendono l'illusione della competitività con il solo risultato che lavoro e ricchezza migrano in base ai loro interessi, mentre la miseria è per tutti noi.

Già allora Thomas Sankara affermava il principio della cooperazione. Affermava cioè il diritto dei popoli ad una gestione comune delle risorse del mondo nella comune costruzione della felicità. Trovava che fosse un non senso competere tra lavoratori di paesi diversi. A vincere erano solo i loro padroni. E quei lavoratori, invece, avevano gli stessi sogni.

È bene dare un nome ai poteri oggi, alle potentissime forze di conservazione mondiale. Questo nome è quello della grande finanza. Quella che ha trasformato il mondo, e le nostre vite, in una immensa e crudele bisca in cui si scommette, spesso barando, sul futuro con l’unica certezza che a perdere saremo solo e sempre noi. Mai loro.

Lo strumento di potere maggiore di questi signori è il debito. Viene usato come un laccio strangolatore. Lento, ma implacabile. Sta rendendo l’intera umanità schiava della finanza mondiale. Lo ha fatto già in Africa e America Latina. Ora ambisce il mondo intero.

Sankara lo aveva denunciato. Ed aveva fatto la sua proposta. "Al gioco si vince e si perde. Questa volta, a perdere, siano loro". Si celebrano i morti, Sankara è vivo. La sua attualità è straordinaria. Chiede a tutti noi impegno, produzione di idee e nuova politica. Per costruire l’unica cosa degna dei nostri sforzi e delle nostre ansie. 


Felicità, un po’ di colorita felicità. Per tutti





Articolo a cura di
Maris Davis

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14 ottobre 2017

Cara di Mineo, la nostra denuncia. Non è più possibile tacere

Il Cara di Mineo in provincia di Catania è la più grande struttura di accoglienza per migranti presente in Europa. Attualmente ospita circa tremila richiedenti asilo, ma può ospitarne fino a 4.500. Più volte al centro di polemiche politiche per le condizioni di vita al suo interno o perché fonte di guadagni illeciti da parte di politici e cooperative.


Attualmente è in corso un processo contro 25 persone per appalti illeciti dal 2011 al 2014 (turbativa d'asta e falso) in cui è coinvolto anche l'attuale sottosegretario alle politiche agricole Giuseppe Castiglione (per fatti che riguardano l'epoca in cui era presidente della provincia di Catania). Prima udienza rinviata al 25 gennaio prossimo. Una struttura entrata anche nell'inchiesta di Roma su Mafia Capitale (Luca Odevaine)

Oggi il centro è sotto gestione commissariale. Il presidente del Consorzio “Nuovo Cara Mineo”, è Giuseppe Caruso, docente universitario di Economia a Catania, supportato da Giuseppe Di Natale, amministratore delegato del consorzio. A loro si è arrivati dopo una serie di nomine e contro-nomine e di intricatissime vicende. Il Consorzio “Casa della Solidarietà” e la coop “La Cascina”, capofila della RTI vincitrice dell’appalto milionario, finiti nella bufera di Mafia Capitale, furono commissariati il 23 giugno 2015, su proposta del presidente dell'Anti-Mafia Raffaele Cantone e del Prefetto di Catania Maria Guia Federico.

I “BUCHI” DEL CARA. Il 30 novembre 2015, al Cara di Mineo, si è insediata una “Struttura di missione” per la gestione diretta del Cara di Mineo, con il compito di supportare la prefettura nell'attività di controllo e monitoraggio della gestione del centro e, aspetto di particolare interesse, nella predisposizione del nuovo bando di gara.

Responsabile della Struttura è il Viceprefetto Giuseppa Di Raimondo, supportata dal Viceprefetto aggiunto Francesco Milio. Una task force composta dai due prefettizi competenti sulla Struttura, più altre cinque figure, che ha rilevato non poche criticità: sul controllo delle presenze al centro, ad esempio, è stato finalmente ottenuto, dopo un paio di mesi, di regolare l’uscita degli ospiti.

Nei fatti dal Cara di Mineo si esce e si entra a piacimento, anche oggi e senza controlli stringenti


Per regolamento gli ospiti possono uscire (regolamento uguale per tutti i centri d’accoglienza d’Italia) dalle 8 alle 20. Di fatto, però, non c’era alla porta h24 un operatore, che rilevasse tramite badge l’uscita e l’entrata. Ma ha ammesso la Di Raimondo, audita dalla Commissione Migranti presso la Prefettura di Catania, l’8 luglio 2016, resta il problema di «una rete fatiscente, perché questo è un CARA che è stato fatto per il villaggio degli americani. Ci sono 3.000 persone e c’è chi entra e chi esce anche dalle reti. Questo esiste»

Gli orari di entrata e uscita più stringenti hanno, in qualche modo contenuto, ma non eliminato, il fenomeno del caporalato, «su cui, confessa la Di Raimondo, non so rispondere, perché non faccio parte delle forze dell’ordine. Indubbiamente però esiste. Ce ne accorgiamo. Prima non c’era il divieto di uscire prima delle 8 e alle 6 c’erano già persone che uscivano e andavano a lavorare in nero nei campi. Oggi ci sono macchine che li aspettano alle 8.00-8.30. Indubbiamente questo problema del lavoro in nero c’è. Ci saranno duecento o trecento persone che vanno a lavorare nei campi ci saranno»

I buchi non sono solo fisicamente nella rete. È tutto il sistema di controlli un colabrodo. La task force ha chiesto l’elenco dei fornitori: «Nessuno l’aveva mai chiesto, ammette sconsolata Di Raimondo. A noi hanno fornito l’elenco per tutte le imprese e i vari settori di erogazione di servizi, manutenzione, mensa, Croce Rossa, assistenza e via continuando. Ce l’hanno mandato e noi l’abbiamo mandato alla prefettura per una verifica a campione»

375 dipendenti e un indotto che genera profitti milionari alle spalle dei migranti ospitati. Difficile chiuderlo, troppi interessi locali in ballo

Dal 2015 denunciamo l'insopportabile situazione che si è creata all'interno del Cara di Mineo ormai "preda" di sfruttatori e mafie e dove decine e decine di ragazze (soprattutto nigeriane) sono costrette a prostituirsi, nelle strade adiacenti, a Catania, a Messina, o in altre città dove vengono portate nei weekend ospitate in ville, in festini a base di sesso organizzati da boss locali.


Cara di Mineo, terra di nessuno alla mercé di sfruttatori e mafie
- Vai all'articolo -

Viaggio tra i richienti asilo del Cara di Mineo, inferno di Stato
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Tratta delle prostitute africane e caporalato al Cara di Mineo
- Vai all'articolo -

Ci pervengono in continuazione denunce dall'intero sulla degradante situazione della ragazze nigeriane ospiti della struttura di accoglienza siciliana, costrette a prostituirsi perfino al suo interno.

Questa che vi segnaliamo è solo l'ultima, pervenutaci proprio ieri. Una "richiesta di aiuto drammatica" dall'interno della struttura di accoglienza che di seguito trascriviamo così come ci è pervenuta. È in un italiano stentato, ma esplicito nella sostanza.

MARIS PER ME SARA UN LUNGO WEEKEND X CHE QUI A MINEO X LE RAGAZZE SONO I TRE GIORNNI IN CUI VENGONO TRASLOCCATE (portate) IN VARI PAESI XCATAGIRONE,PALERMO ENNA E VIA DI SEGUITO OK MESSE LI DALLA MATTINA ALLA SERA CON UN PANINO E UNA BOTTIGLI ACQUA X 12 ORE OK CIAO

NON E SOLO QUESTO CHE TI O SCRITTO E CHE AL INTERNO DEL CASE IN DOTAZIONE SONO SOGGETTE DURANTE IL WEEKEND A TARDA SERA VENGONO USATE PER INCONTRI DI SESSO FRA UOMINI LOCALI DEL PAESE DA PARTE DEGLI STESSI UOMINI OSPITI RICHIDENTI A SILO CHE CONSTRINGO LE RAGAZZE A PROSTITUIRSI OK POI CENE UNA RAGAZZA CHE AVRA FRA 16/17 ANNI CHE TUTTE LE MATTINE QUANDO LEI VIENE FUORI DAL CARA SARANNO LE 08 DEL MATTINO DEVE INCONTRASI IN UNA CASA ABBANDONATA NON LONTANO DI 400 METRI DAL CARA A FARE SESSO IN MACCHINA E IL RAGAZZO CHE LA ASPETTA X POI FARSI DARE I SOLDI QUESTO E QUELLO CHE SUCCEDE POI DURANTE LA GIORNATA NON DISTANTE 100 METRI SI RADUNANO GRUPPI FRA DONNE E UOMINI CHE SI METTONO LI A FAR CAPIRE CHE PARLANO MA IN VECE LE RAGAZZE ASPETTO CHE IL CLIENTE VENGA A PRENDERLA CONTATTATO TRAMITE WHATSAPP OK MI SONO SPIEGATO MARIS QUESTE SONO LE NOVITA IN VERNALI ORMA L'ESTATE E FINITA OK CIAO

(chi ci scrive è un amico straniero che vive nella struttura di accoglienza e di cui non facciamo il nome per ovvi motivi di riservatezza)

- fai girare la nostra denuncia su facebook -

Risulta chiaro che proprio adesso dentro e fuori il Cara di Mineo esiste un'organizzazione (non sta a me dire chi e come, anche se lo posso immaginare) che costringe le ragazze nigeriane a offrire sesso a pagamento.


Una situazione drammatica per le "ospiti" nigeriane del Cara di Mineo costrette a prostituirsi nei weekend in case in varie città della Sicilia, e durante la settimana addirittura intorno alla stessa struttura di accoglienza. Una situazione che, nonostante i nostri appelli e quelli di altre associazioni, sembra che nulla sia cambiato. Anzi è sempre peggio.

Ci chiediamo che fanno le forze dell'ordine che presidiano la struttura, la cooperativa che la gestisce e le associazioni che operano all'interno del Cara di Mineo. Hanno per caso gli occhi chiusi e le orecchie spente su ciò che succede intorno a loro ?? O forse sono tutti complici dello sfruttamento ??

Aiutateci a denunciare, il mondo deve sapere. Perché se le denunce formali non bastano è arrivato il momento che la gente perbene sappia ciò che succede in certi centri di accoglienza italiani, soprattutto al sud Italia.

Giovani ragazze che dopo un viaggio allucinate vengono parcheggiate nello "schifo" dei Cara dove sono preda di mafie locali e mafiosi nigeriani anziché essere avviate nel circuito della protezione sociale così come previsto dal Piano Nazionale Anti-tratta del 2016 oppure semplicemente espulse in base al trattato bilaterale Italia-Nigeria firmato a febbraio 2016. Un modo drastico, certo, ma almeno così non vengono ri-consegnate ai trafficanti e alla mafia nigeriana che le gestisce e le ha fatte arrivare in Italia.





Articolo a cura di
Maris Davis

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11 ottobre 2017

11 ottobre. Giornata mondiale delle bambine, 5.383 minori vittime di reato

Crescono ancora pornografia e prostituzione minorile: +20% dal 2015.


Più di 2 bambini ogni giorno, in Italia, sono vittime di violenza sessuale. Parliamo di oltre 950 minori in un anno che nel nostro Paese sono costretti a subire questo orribile abuso. E nell'ultimo anno il numero totale dei minori vittime di reato, mai stato così alto da un decennio a questa parte, toccando la cifra di 5.383 minori ha registrato un +6% rispetto al 2015.

Sono questi i nuovi allarmanti dati Interforze sui minori vittime di reato nel 2016 elaborati per il nuovo Dossier della Campagna Indifesa di Terre des Hommes, presentato alla presenza del Presidente del Senato, Pietro Grasso.

Piccole vittime che in prevalenza sono ragazzine. Nel 2016 erano in media il 58%, ma questa percentuale aumenta in tutti i reati a sfondo sessuale. Le bambine sono l’83% delle vittime di violenze sessuali aggravate, l’82% dei minori entrati nel giro della produzione di materiale pornografico, il 78% delle vittime di corruzione di minorenne, ovvero bambine al di sotto dei 14 anni forzate ad assistere ad atti sessuali.

Colpisce il dato degli omicidi volontari consumati. Più che raddoppiati in un anno (da 13 a 21 minori vittime) il 62% era una bambina o adolescente. Avvenimenti tragici che il più delle volte si inseriscono nella drammatica sequela dei femminicidi.

La violenza domestica è causa della maggioranza dei reati contro i minori. Nel 2016 sono state ben 1.618 le vittime di maltrattamento in famiglia, per il 51% femmine, con un incremento del 12% rispetto all'anno precedente. Cresciuto del 23% il numero di vittime minori di abuso di mezzi di correzione o disciplina (266 nel 2016), ovvero di botte fino ad andare in ospedale e arrivare a denuncia. Le due fattispecie più in calo rispetto al 2015 sono gli atti sessuali con minori di 14 anni (-11%), dove però le vittime sono ancora 366, per l’80% bambine, e la detenzione di materiale pornografico, che segna -12%, con 58 vittime, il 76% femmine.

L’Osservatorio Indifesa conferma come nel nostro Paese ci sia bisogno di un cambio radicale nella prevenzione della violenza contro le bambine”, dichiara Raffaele K. Salinari, Presidente di Terre des Hommes. “Serve un impegno sempre maggiore del Governo per trovare fondi per il contrasto e la prevenzione della violenza di genere che orienti gli interventi sia in Italia che nei Paesi in Via di Sviluppo, ma diventa sempre più importante anche costituire alleanze ampie, che includano attori fra loro differenti, capaci di intervenire a tutti i livelli coinvolgendo non solo i governi, le organizzazioni già impegnate in prima linea su questi temi, i professionisti, ma anche i ragazzi e le ragazze stesse.

Solo così si potrà dare reale attuazione al piano di contrasto della Violenza e delle discriminazioni di genere varato dalle Nazioni Unite e fatto proprio, in particolare, dall’obiettivo 5 degli obiettivi di Sviluppo Sostenibile 2015-2030. È quello che stiamo facendo con il programma Radio Indifesa, mirato alla conoscenza e alla riflessione su violenza, discriminazioni e stereotipi di genere con la partecipazione degli studenti degli istituti di grado secondario superiore e diverse web radio scolastiche

Il Dossier della Campagna Indifesa quest’anno punta i riflettori anche sul deprecabile fenomeno dei matrimoni precoci

Quello dei matrimoni precoci è un fenomeno che coinvolge ogni anno almeno 15 milioni di bambine e adolescenti nel mondo. Ogni due secondi una bambina o ragazza con meno di 18 anni diventa una baby sposa vedendo così finire i suoi sogni e le sue speranze, costrette a sposare uomini più grandi di loro, con gravi conseguenze per la loro salute e il loro sviluppo.

Oltre a portare enormi sofferenze alle vittime, questa pratica nuoce all'intera comunità in cui vivono. Secondo un recente studio della World Bank, la scomparsa dei matrimoni precoci si potrebbe tradurre in un risparmio pari a 566 miliardi di dollari (nel 2030) dovuto alla riduzione delle spese per il welfare dei singoli Stati. Da baby spose a baby mamme il passo è breve: nel 2016 sono state registrate 21 milioni di gravidanze tra le ragazze di età compresa tra i 15 e i 19 anni che vivono nei Paesi in via di sviluppo e nel 49% dei casi si tratta di gravidanze non cercate. E ancora, ogni anno, circa 70mila ragazze muoiono a causa del parto e delle complicanze legate alla gravidanza. Tra le violazioni dei diritti delle bambine ci sono anche quelle legate a conflitti e trafficking: sono circa 100.000 le bambine soldato, mentre delle 2,4 milioni di persone vittime di tratta le bambine rappresentano ben il 20%.

Terre des Hommes è voluta entrare a far parte di Girls Not Brides, una coalizione internazionale che raccoglie più di 700 organizzazioni della società civile impegnate nel contrasto della pratica dei matrimoni precoci e nell’assistenza delle spose bambine.

In tutti i suoi progetti Terre des Hommes pone particolare attenzione alle esigenze delle bambine, cercando di prevenire e contrastare l’abbandono della scuola da parte loro, e di conseguenza posticipare i matrimoni fino alla maggiore età, anche attraverso la sensibilizzazione delle famiglie e delle istituzioni locali. Terre des Hommes è membro anche dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS) per chiedere al Governo Italiano di investire nell’educazione delle nuove generazione per apportare quel cambio culturale indispensabile al raggiungimento dell’obbiettivo 5 la Parità di Genere e perché si favorisca la creazione di partnership concrete ed operative necessarie a tale scopo.

La Campagna “Indifesa ha ricevuto la Medaglia del Presidente della Repubblica e il Patrocinio dell’ANCI e del CONI. La Conferenza “Indifesa” ha il Patrocinio del Senato della Repubblica, del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e della Polizia di Stato. Partner della Campagna Indifesa sono UISP e Kreattiva. Sostengono la campagna A2A SpA, Desio, Gruppo LLG Limoni e La Gardenia, MainAd Srl.

LA #ORANGEREVOLUTION PER SOSTENERE INDIFESA DI TERRE DES HOMMES
Dopo la conferenza di presentazione del Dossier Indifesa a Roma, Terre des Hommes ha organizzato una celebrazione speciale della Sesta Giornata Mondiale delle Bambine e delle Ragazze l’11 ottobre coinvolgendo un centinaio di Comuni Italiani che hanno aderito al Manifesto #indifesa per una città a misura delle bambine, impegnandosi a orientare le politiche di loro competenza verso una maggiore tutela dei diritti delle bambine e delle ragazze, promuovendo azioni efficaci per il monitoraggio, la prevenzione e il contrasto della violenza e degli stereotipi di genere, ma anche interventi concreti per sensibilizzare i propri cittadini, specie i più piccoli, su sexting, bullismo e cyberbullismo.

Per rendere visibile questo impegno i Comuni aderenti esporranno uno striscione arancione, colore che è, da anni, il colore scelto da Terre des Hommes e dalle Nazioni Unite per dire NO alla violenza di genere. Alla #OrangeRevolution possono partecipare anche i privati cittadini, da soli o in gruppo, che condividono questi valori. Basta postare l’11 ottobre sul proprio profilo Facebook, Twitter o Instagram un oggetto, uno slogan, una foto o un selfie dal tocco arancione usando gli hashtag #Indifesa #OrangeRevolution.

SEI ANNI DELLA GIORNATA MONDIALE DELLE BAMBINE, SEI ANNI DI INDIFESA
La Campagna Indifesa di Terre des Hommes, arrivata alla sua sesta edizione, ha come obiettivo quello di sensibilizzare istituzioni e opinione pubblica pubblico sulle gravi violazioni dei diritti delle bambine e delle ragazze che ogni giorno si verificano nel mondo e sull'importanza di assicurare loro protezione e sostegno.

Nel corso degli anni l’Organizzazione si è impegnata per cambiare la vita di bambine e ragazze con significativi interventi internazionali, come i progetti in Burkina Faso, Bangladesh, Giordania, e Mozambico in favore delle baby spose e in Costa d’Avorio per le baby mamme. In Libano e nel Kurdistan Iracheno siamo impegnati nel contrasto allo sfruttamento lavorativo delle bambine e bambini rifugiati. In Perù molte baby schiave domestiche hanno riavuto il diritto ad un’adeguata istruzione scolastica che le offra la prospettiva di un lavoro qualificato. Centinaia di ragazze vittime di sfruttamento e abusi, ospiti del Centro (Hogar) Yanapanakusun, hanno beneficiato di borse di studio per specializzarsi professionalmente.

In Italia, Terre des Hommes ha realizzato varie indagini sul maltrattamento sui bambini, che hanno restituito una prima quantificazione del fenomeno nel nostro Paese, dei costi dovuti alla sua mancata prevenzione e a una maggiore conoscenza del maltrattamento anche degli stessi medici e pediatri, grazie all’avvio di un corso di perfezionamento sul Child Abuse e la creazione di una rete di centri pediatrici d’eccellenza per la diagnosi precoci del maltrattamento. Con il progetto FARO, Terre des Hommes fornisce supporto psicologico e psicosociale anche alle minori che giungono in Sicilia senza famiglia.

Per contribuire direttamente alla protezione e all’istruzione di una bambina a rischio di matrimonio precoce, sfruttamento lavorativo o violenza, si può aderire al programma SonoIndifesa con una donazione di 11 euro al mese. Tra i testimonial che sostengono la Campagna ci sono: Aldo Giovanni e Giacomo, Alessandra Celentano, Alice Sabatini, Andrea Caschetto, Andrea Delogu, Anita Caprioli, Annalisa, Arianna Chieli, Ascanio Pacelli, Barbora Bobulova, Beatrice Vendramin, Beatrice Venezi, Beppe Convertini, Brando Pacitto, Carolina Crescentini, Carlotta Natoli, Chiara Maci, Clara Alonso, Dargen D’Amico, Dolcenera, Donatella Rettore, Enrico Letta, Fedez, Francesco Renga, Gabriele Rossi, Gianluca Grignani, Gio Evan, Giovanni Abagnale, Giovanni Vernia, Giulia Luzi, Giuliano Peparini, Giuseppe Fiorello, Ghemon, Greta Scarano, J-Ax, Katia Pedrotti, Leonardo Bongiorno, Levante, Linda Cerruti, Ludmilla Radchenko, Matteo Piano, Marcello Sacchetta, Melita Toniolo, Micol Olivieri, Mirko Trovato, Neja, Nina Zilli, Ornella Sprizzi Blog “Mammamatta”, Paola Iezzi, Roberta Lanfranchi, Salvatore Esposito, Samantha De Grenet, Selvaggia Lucarelli, Silvia D’Amico, Simone Rugiati, Sonia Bergamasco, Stefania Andreoli, Tessa Gelisio, Thegiornalisti, Valeria Marini, Vanessa Ferrari, Zero Assoluto.




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Articolo a cura di
Maris Davis

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