29 marzo 2016

CARA di Mineo, terra di nessuno alla mercé di sfruttatori e mafie

Ci siamo occupati spesso del CARA di Mineo il più grande centro per richiedenti asilo d'Europa, a partire dal 2013, ma nonostante gli anni, il cambio di governi, l'aggravarsi drammatico della situazione, il coinvolgimento della stessa struttura nelle indagini di "Mafia Capitale", nonostante tutto questo la "politica" (quella nazionale) TACE, e tace di un silenzio assordante.

In quel luogo accadono cose da "terzo mondo", ma nonostante questo tace la politica perché quel posto in Sicilia è un ricettacolo di voti e di clientele, le associazioni che ci lavorano dentro solo sussurrano, e le cooperative che hanno gli appalti (mense, pulizie, assistenza, amministrazione, ecc..) se la godono (a suon di milioni di euro sulla pelle dei migranti)
Alcuni dei nostri articoli precedenti
La tratta delle prostitute africane e caporalato al CARA di Mineo
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Viaggio tra i richiedenti asilo del CARA di Mineo, un "Inferno di Stato"
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Prostituzione. Vergogna al CARA di Mineo
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Centri di Identificazione ed Espulsione, luoghi da chiudere
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Asilo politico, rifugiati e migranti. Un vero business (per qualcuno)
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Senato, rapporto sui CIE in Italia. Diritti umani violati
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Desideriamo ringraziare La7 per i sui servizi puntuali sul CARA di Mineo, e soprattutto per aver documentato lo "sfruttamento" delle ragazze nigeriane che sono costrette a prostituirsi a poche centinaia di metri dalla struttura, alla luce del sole, ragazze sfruttate che vengono lasciate alle mercé degli schiavisti del "terzo millennio".

Migranti stranieri, ospiti del CARA di Mineo, che in attesa (un'attesa a volte lunghissima) di una risposta dallo Stato sulla domanda di asilo vengono sfruttati, ovviamente in nero, nei campi di pomodoro, negli aranceti che sono numerosi in provincia di Catania.

Ecco le video-inchieste de "La7" su quello che davvero accade al CARA di Mineo. Una struttura che DEVE essere chiusa al più presto, una struttura dove i diritti umani vengono violati nel cuore dell'Europa, una struttura che è semplicemente una vergogna per l'Italia.


CARA di Mineo un giro di prostituzione alla luce del sole

Dai 20 ai 50 euro, ecco quanto valgono secondo un anziano agricoltore di Mineo le ragazze del Centro rifugiati che ogni giorno sono costrette a vendere il loro corpo per strada.

CARA di Mineo, un anno dopo nulla è cambiato

Nonostante le inchieste giudiziarie il centro di accoglienza per richiedenti asilo mantiene intatto il suo ruolo strategico per il sistema di accoglienza in Italia, e i pullman carichi di migranti continuano ad arrivare.

Il CARA di Mineo: terra di nessuno

Centro di accoglienza per richiedenti asilo di Mineo (Catania) di cui si richiede la chiusura da mesi ma che è ancora scena di illeciti ed abusi.

CARA di Mineo tra prostituzione e aborti clandestini

Nuove storie di degrado dal Centro di accoglienza per richiedenti asilo di Mineo.

La tratta delle prostitute al CARA di Mineo

Donne e bambine costrette a prostituirsi per saldare il costo del biglietto per l'Europa.

CARA di Mineo, ecco come si passa dai buchi nella rete

Abbiamo verificato la situazione dei migranti ospitati presso il grande centro di accoglienza siciliano.



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23 marzo 2016

L'ISIS e la "teologia dello stupro"

Una donna yazida in Kurdistan
È uno degli articoli più letti sul sito del New York Times, e racconta la metodica pianificazione della schiavitù sessuale delle donne yazide e cristiane da parte dell'ISIS.

Un articolo molto documentato sulla schiavitù sessuale a cui sono costrette le donne yazide dai miliziani dello Stato Islamico (o ISIS). L’articolo è oggi uno dei più letti sul sito del New York Times.

Di violenze e stupri contro le donne yazide in Iraq e in Siria si parla da tempo, ma l’articolo è uno dei più completi scritti finora sull'argomento. Racconta come l’ISIS abbia di fatto teorizzato la schiavitù sessuale e l’abbia pianificata nei minimi dettagli ancora prima di metterla in pratica.

Descrive quello che centinaia di donne yazide stanno subendo e dimostra come alcune delle conquiste dell'ISIS non abbiano avuto come obiettivo un avanzamento territoriale, ma siano state piuttosto "conquiste sessuali" preparate meticolosamente. L'articolo si basa sulle testimonianze di 21 donne e ragazze yazide rapite dall’ISIS e poi scappate, e sulle comunicazioni ufficiali diffuse dallo stesso gruppo yazide.

La teologia dello stupro
Gli yazidi sono una popolazione di lingua curda (anche se a causa dell’arabizzazione forzata imposta da Saddam Hussein alcuni di loro parlano arabo) che abita principalmente nel nord dell’Iraq. La loro caratteristica principale è la religione che praticano lo yazidismo, un misto di quasi tutte le religioni sviluppate in Medio Oriente: l’islam, il cristianesimo, l’ebraismo e lo zoroastrismo.

Gli attacchi contro gli yazidi iniziarono nell'estate del 2014 attorno al monte Sinjar, nel nord-ovest dell’Iraq, due mesi dopo la conquista della città irachena di Mosul. All'inizio sembrava che l'azione militare dello Stato Islamico fosse un’altra battaglia con l’obiettivo di conquistare nuovi territori.

Ben presto si capì però che si trattava di una cosa diversa e iniziò lo stupro sistematico delle donne yazide. Il 3 agosto del 2014 lo Stato Islamico annunciò di avere ripristinato l’istituzione della schiavitù sessuale, che tra le altre cose prevede dei contratti di vendita autenticati dai tribunali islamici istituiti dall'ISIS. Si trattava di un processo preparato meticolosamente nei mesi precedenti, come si scoprì in seguito.

Nell'ottobre del 2014 su Dabiq, il magazine online dell'ISIS in inglese, uscì un articolo che spiegava nei dettagli la "teologia dello stupro". L’articolo diceva che prima dell'attacco al monte Sinjar l'ISIS aveva chiesto ai suoi studenti della sharìa di fare delle ricerche sugli yazidi. Nell’articolo si spiegava chiaramente che per gli yazidi non c’era alcuna possibilità di salvarsi pagando una tassa, cosa che invece è permessa agli ebrei e in alcuni casi ai cristiani.

L’ISIS aveva anche cominciato a citare versi specifici del Corano per giustificare il traffico degli esseri umani (tra gli studiosi di teologia islamica c’è un ampio dibattito su questo punto). Nei mesi successivi l’ISIS continuò a giustificare la schiavitù sessuale tramite un’interpretazione particolare dell’Islam. La posizione espressa su Dabiq fu ribadita in altri due articoli.

Più di recente il "dipartimento della ricerca e della fatwa" dell'ISIS ha diffuso un manuale di 34 pagine sulle regole di "gestione" delle schiave. Nel manuale si legge per esempio che non si possono avere rapporti sessuali con la propria schiava prima che lei abbia il primo ciclo mestruale, in modo da verificare che non sia incinta (non è possibile infatti avere rapporti quando la donna è incinta).

In generale non ci sono molti limiti a ciò che è permesso fare alle schiave. Si possono anche stuprare le bambine, per esempio. Allo stesso tempo le schiave del Califfato islamico possono essere liberate dai loro proprietari tramite un "Certificato di emancipazione"

La storia di una ragazza di 25 anni liberata dal suo proprietario, un miliziano libico che aveva finito il suo periodo di addestramento da attentatore suicida e stava progettando di farsi saltare in aria. Alla ragazza è stato consegnato un "Certificato di emancipazione", firmato da un giudice dello Stato Islamico, e che la ragazza ha consegnato a un check-point dell'ISIS per lasciare la Siria e tornare in Iraq dalla sua famiglia.

Le donne yazide, da quando vengono rapite a quando vengono vendute
I sopravvissuti degli attacchi dell'ISIS della scorsa estate hanno raccontato cosa fanno i miliziani dopo avere conquistato una città yazida. Per prima cosa dividono le donne dagli uomini. Ai ragazzi adolescenti è chiesto di alzare la maglietta, se hanno peli sul petto finiscono nel gruppo degli uomini, se non li hanno in quello delle donne.

Gli uomini, costretti a sdraiarsi con la faccia a terra, vengono uccisi. Le donne vengono invece caricate su dei furgoni e portate via in una città vicina. Qui le ragazze più giovani e non sposate vengono fatte salire su degli autobus bianchi con la scritta "Haji", il termine che indica il pellegrinaggio a La Mecca. Sui finestrini degli autobus sono bloccate delle tendine, un accorgimento che sembra essere preso per evitare che da fuori si vedano delle donne non coperte con il "burqa" o con il velo in testa. Le donne vengono poi riunite anche a migliaia in grossi edifici di una città irachena e poi ritrasferite in altre città dell’Iraq e della Siria per essere vendute.

L'ISIS si riferisce alle donne messe in schiavitù con il termine "Sabaya", schiava di guerra, seguito dal loro nome. Le donne e le ragazze più belle e giovani vengono in genere comprate entro poche settimane dopo essere state rapite. Altre, le donne più anziane o già sposate, vengono trasferite più volte da un posto all'altro in attesa di essere vendute. Alcuni degli edifici in cui vengono tenute le donne rapite hanno anche una stanza usata dagli uomini per scegliere la donna da comprare.

Una ragazza di 19 anni ha raccontato la sua esperienza in un mercato delle schiave "Gli emiri stavano appoggiati contro il muro e chiamavano il nostro nome. Dovevamo rimanere sedute su una sedia di fronte a loro. Dovevamo guardarli. Prima di entrare nella stanza ci toglievano i veli e tutti i vestiti"

Lo stupro e le preghiere
Nel Califfato Islamico lo stupro viene oggi interpretato dai combattenti dell’ISIS come un diritto riconosciuto dall'Islam. Non solo un diritto, ma anche un dovere. Per spiegare cosa questo voglia dire si riporta una delle tante storie di violenza sessuale che sono state raccontate da alcune donne yazide stuprate da miliziani dell’ISIS. Questo è il racconto di una bambina di 12 anni.

Prima di iniziare a stuprare la bambina di 12 anni, il combattente dello Stato Islamico si prese il tempo per spiegare che quello che stava per fare non poteva essere considerato un peccato. Per il fatto che la bambina praticava una religione diversa dall'Islam, disse lui, il Corano non solo gli dava il diritto di stuprarla, ma lo accettava e lo incoraggiava.

Legò le mani della bambina e poi si inginocchiò di fianco al letto e cominciò a pregare, prima di mettere il suo corpo sopra di lei. Quando ebbe finito si inginocchiò di nuovo per pregare, mettendo fine allo stupro con un atto di devozione religiosa.

"Gli dissi che mi faceva male, gli chiesi di fermarsi", ha raccontato la bambina, il cui corpo è così piccolo che un adulto può circondarle completamente i fianchi solo con le mani. "Lui mi disse che l’Islam gli permetteva di stuprare i miscredenti. Mi disse che stuprandomi si sarebbe avvicinato a Dio", ha raccontato una bambina in un’intervista fatta insieme alla sua famiglia in un campo profughi dopo avere passato 11 mesi prigioniera.

L’istituzionalizzazione dello stupro viene usata oggi anche come strumento di reclutamento per nuovi potenziali miliziani, soprattutto per gli uomini che provengono da società musulmane molto conservatrici dove il sesso viene considerato un tabù e frequentare una donna fuori dal matrimonio è proibito dalla legge.

Lo scorso anno i miliziani dell’ISIS hanno rapito 5.270 donne yazide, e almeno 3.144 sono ancora prigioniere nel Califfato islamico. Diversi attivisti yazidi, ma anche organizzazioni internazionali come Human Rights Watch e Amnesty International, hanno sostenuto che il trasferimento di migliaia di donne yazide e la loro riduzione in schiavitù non siano cose improvvisate, ma processi attentamente pianificati.

Lo schiavismo sessuale ripristinato dall'ISIS sembra riguardare maggiormente le donne della minoranza yazida, ma anche in parte donne cristiane. Non c’è traccia di un fenomeno così esteso per altre minoranze religiose al di fuori di yazidi e cristiani, attaccate negli ultimi mesi dallo Stato Islamico. Il manuale del Dipartimento della ricerca e della fatwa dell’ISIS, comunque, permette lo stupro anche di altre donne non islamiche quando si trovano su territori conquistati dallo Stato Islamico.
(da un articolo del New Yor Times)

Il listino prezzi delle schiave dell'ISIS
Circola da mesi ma ora un'alta funzionaria dell'ONU ha detto che è autentico, e fissa i prezzi di vendita delle donne yazide e cristiane

Lo Stato Islamico (o ISIS) ha compilato un listino dei prezzi a cui vende le donne che rapisce e riduce a schiave del sesso (si tratta soprattutto di donne yazide o cristiane). L’elenco era stato scoperto nel 2014 ma è stato formalmente riconosciuto come autentico da Zainab Bangura, una importante funzionaria delle Nazioni Unite, solo pochi mesi fa. Nel documento si dice che il mercato per vendere le donne come bottini di guerra "ha registrato un calo significativo", influenzando negativamente le entrate dell’organizzazione. Per questo si è reso necessario imporre un "controllo dei prezzi".

L’elenco differenzia le donne e il loro prezzo in base all’età. I prezzi sono indicati in dinar, moneta coniata dai primi califfi e di cui nel 2014 lo Stato Islamico ha annunciato la restaurazione.
  • Una donna di età compresa tra i 40 e i 50 anni "costa" 50 mila dinar (circa 35 euro),
  • se è tra i 30 e i 40 anni 75 mila dinar (52 euro),
  • invece una ragazza tra i 20 e i 30 anni 100 mila dinar (70 euro),
  • una giovanissima tra i 10 e i 20 anni 150 mila dinar (140 euro),
  • una bambina tra 1 e 9 anni "costa" 200 mila dinar (circa 160 euro).
Le donne vengono vendute come fossero barili di petrolio e possono essere comprate anche da cinque o sei uomini diversi. Generalmente restano a disposizione dei capi, poi possono essere vendute ad un prezzo alto a uomini benestanti locali che non hanno a che fare direttamente con le milizie. Poi, o viene richiesto un riscatto alle famiglie delle donne, o le donne vengono vendute ai combattenti del gruppo ai prezzi indicati nel listino.


L'ISIS e la pillola per le schiave sessuali
Obbligate a usare contraccettivi per via orale o iniezioni. Un metodo per tenere sempre attiva la tratta delle schiave. L'unico divieto per gli stupri è la gravidanza

Una ragazza yazida di 16 anni ha raccontato come, poco dopo essere stata comprata come schiava sessuale da un miliziano dell’Isis, il suo proprietario le abbia consegnato una scatola circolare contenente quattro serie di pillole. "Ogni giorno dovevo inghiottirne una di fronte a lui. Mi dava una scatola ogni mese. Quando sono stata rivenduta a un altro uomo, anche la scatola è rimasta con me". La ragazza è stata venduta sette volte. Il terzo uomo che l’ha comprata, per "sicurezza", le ha fatto prendere anche la pillola del giorno dopo. Poi le ha fatto una puntura da 150 milligrammi di Depo-Provera, un contraccettivo iniettabile. Solo allora l’ha spinta sul letto e l’ha stuprata.

L’uso sistematico dei contraccettivi da parte degli uomini del Califfo spiega perché il tasso di gravidanze registrato dai medici sia solo del 5%, inferiore a quello osservato nella ex-Jugoslavia o in altri conflitti dove era utilizzato sistematicamente lo stupro come arma di guerra.

Molte donne raccontano di essere state costrette ad assumere contraccettivi per via orale oppure attraverso iniezioni. Una di loro è stata costretta all'aborto, in modo da poter essere subito disponibile per altri miliziani.

La gravidanza è l’unica protezione per le schiave sessuali, ma nessuna è disposta a pagare il prezzo di avere un figlio dal suo stupratore. Alcune ragazze erano già incinte prima del rapimento, una di loro, ventenne, ha raccontato di essere stata chiusa a chiave in casa per quasi due mesi, ma "risparmiata" proprio grazie alla sua gravidanza. Alla fine però un miliziano che l’aveva acquistata ha cominciato a violentarla lo stesso, quando erano soli ed era sotto effetto di droghe.

La violenza contro le donne è un tratto comune dei movimenti estremisti islamici che vanno dalla Nigeria all’Iraq, dalla Siria alla Somalia, dal Myanmar al PakistanQuello che differenzia lo Stato Islamico nei confronti delle donne da altri gruppi, è il fatto di avere un programma ben preciso. Hanno un manuale su come si devono trattare le donne. Hanno una sorta di agenzia matrimoniale che organizza i matrimoni e la vendita di donne. E hanno anche un listino prezzi.

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Twitter compie dieci anni, la sua storia in 10 tweet

Dal primo cinguettio alla crisi attuale. Twitter si è premurato di ringraziare anche me, non so per essere stata una che si è iscritta al social network già molti anni fa, non so
se perché ho scritto molti tweet, o magari perché ho tantissimi followers, o sarà semplicemente perché "Twitter" ha voluto ringraziare tutti i suoi utenti "Non avremmo potuto farcela senza di te"

Dieci anni fa dunque nasceva Twitter. Ecco, in dieci Tweet, la storia del social, famoso per i 140 caratteri e l’uccellino azzurro.

Il 21 marzo 2006 Jack Dorsey lanciò il primo tweet «just setting up my twttr». Dall’ottobre 2015 Dorsey è tornato a guidare Twitter per rilanciarla.
La sua prima misura: licenziare 300 persone. Quattro top manager lo hanno lasciato. E Dorsey fa anche il CEO di Square (compagnia che gestisce un sistema di pagamento tramite cellulare). Ha tempo per tutto?
Problema: dopo dieci anni ancora non si vedono profitti. Le perdite accumulate sono di 2 miliardi di dollari. Gli utenti attivi non crescono.
Twitter ha 320 milioni di utenti, un quinto di Facebook. Quotata in Borsa nel 2013 a 25 miliardi di dollari, ora ne vale poco più della metà (in due anni ha dimezzato il suo valore)
A che cosa serve? Molti non lo capiscono e trovano difficile scrivere messaggi di soli 140 caratteri e non capiscono le regole dell’@ e dell’hashtag#
Dorsey ha promesso di migliorare il prodotto, ha creato i Moments e pensa di allungare i testi. Ma cambiando Twitter può perdere l’identità.
Però la usano celebrity e leader da @BarackObama 71,1 milioni di followers a @katyperry 84,5 milioni fino a @Pontifex, il Papa con 8,88 milioni.
Nel 2011 Twitter pareva il mezzo per scatenare rivoluzioni democratiche come la Primavera Araba. Ora lo usa l’Isis per reclutare terroristi.
Il fatturato sale grazie ai video pubblicitari. Il CEO punta sulla app di live-streaming Periscope. Ma c’è chi non ama troppi tweet con la pubblicità.
Le azioni TWTR perdono il 45% da quando Dorsey è tornato. Secondo voci qualcuno potrebbe comprarla (forse Google) o toglierla dalla Borsa.

Che cos'è oggi Twitter
  • 320 milioni di utenti attivi al mese
  • 1 miliardo di visite uniche al mese ai siti con Tweet incorporati
  • L'80% degli utenti attivi lo usa da mobile
  • 3.900 dipendenti in tutto il mondo
  • 35 sedi sparse in tutto il mondo
  • Il 79% degli account sono al di fuori degli Stati Uniti (dove twitter è nato)
  • Il social network supporta più di 35 lingue
  • Il 40% dei dipendenti è impiegato nello sviluppo e nella manutenzione del software
  • La sede storica di Twitter è a San Francisco
(Dati al 31 dicembre 2015 - Fonte Twitter)

Il mio Twitter




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17 marzo 2016

Ragazze nigeriane, sventato rischio di rimpatrio. L'Italia viola i diritti umani

Migranti, denuncia in Senato. "Hotspot illegali. Espulsi anche i minori"

Hotspot, Pozzallo (Ragusa)
Hotspot illegali, luoghi di respingimento più che di prima accoglienza, dove le leggi italiane, la convenzione di Ginevra e le leggi europee sul diritto d’asilo sono violate quotidianamente. È questa la denuncia che diverse organizzazioni umanitarie, come Arci, Medici senza Frontiere, il Consiglio italiano per i rifugiati e tante altre sedute al tavolo nazionale Asilo, hanno fatto in Senato.

"Abbiamo riscontrato gravi violazioni dei diritti umani, vengono fatte discriminazioni in base alla nazionalità, sono espulsi automaticamente gambiani e nigeriani, quando la procedura prevede di valutare la storia individuale del soggetto richiedente asilo". È quanto afferma Luigi Manconi, il presidente della Commissione per la tutela dei diritti umani in Senato.

"Non viene fornita assistenza di base, nessuna cura sanitaria, vengono sbattuti per strada anche senza beni primari come vestiti o cibo. Senza nessun tipo d’informazioni, senza l’ausilio di interpreti sono costretti a firmare un foglio di via in cui c’è scritto che entro una settimana devono lasciare il paese. Procedure illegittime che sono state cassate anche nei tribunali dove abbiamo impugnato tali provvedimenti di respingimento differito"

"Anche i minori, che secondo legge dovrebbero essere accolti in ogni caso, sono stati sottoposti a tale procedura discriminante". Le organizzazioni chiedono al governo di poter monitorare gli Hotspot e fornire assistenza e informazioni sul diritto d’asilo ai migranti appena sbarcati in Sicilia - Leggi di più -

Ragazze nigeriane, sventato il rischio del rimpatrio e la consegna nelle mani dei trafficanti
Anche noi ci eravamo adoperati per segnalare il caso di Prudence e delle altre giovani nigeriane che rischiavano di essere riconsegnate nelle mani della criminalità organizzata - Leggi -

Grazie all'intervento di avvocati, attivisti e operatori sociali che si è evitato un rimpatrio collettivo, probabilmente già programmato dalle autorità italiane in accordo con l'ambasciata della Nigeria e con Frontex. L'operazione denunciata dall'Associazione A Buon Diritto e dalla cooperativa sociale Be Free.

"Papa Francesco ha detto che respingere i migranti è un atto di guerra, per parafrasarlo direi allora che queste donne sono prigioniere di guerra". Commenta così Luigi Manconi, presidente della Commissione Diritti Umani del Senato, la vicenda di 68 giovanissime nigeriane, sbarcate a Lampedusa e trasferite in pochi giorni al Centro di Identificazione e Espulsione di Ponte Galeria, nella periferia di Roma. Si tratta di ragazze sole, appena maggiorenni e provate da viaggi estenuanti, il cui destino rischiava di cambiare improvvisamente direzione, riportandole nel paese da cui erano fuggite.

Avvocati e attivisti in soccorso. È grazie all'intervento di avvocati, attivisti e operatori sociali che si è evitato un rimpatrio collettivo, probabilmente già programmato dalle autorità italiane in accordo con l'ambasciata della Nigeria. Un volo coordinato dall'agenzia Frontex, che le avrebbe riconsegnate nelle mani di aguzzini o portate comunque in situazioni di grande rischio.

Un segnale preoccupante. "Cose del genere non si vedevano dal 2009-2010, all'epoca dei famosi respingimenti in mare per cui l'Italia è stata poi condannata dalla Corte Europea per i Diritti dell'Uomo. Un segnale preoccupante che conferma come i CIE siano luoghi di negazione continua del diritto"

Tre mesi di inferno. Le ragazze hanno raccontato di essere partite tre mesi fa dalla Nigeria e di aver viaggiato fino alla Libia, dove molte avrebbero subito violenze, sarebbero state rapite, incarcerate e costrette a lavori forzati.
  • Una di loro ha detto di essere stata accompagnata da una signora dalla Nigeria a Tripoli, per poi essere consegnata a un uomo che l'ha stuprata, segregata in casa e costretta a prostituirsi.
  • Un'altra era addirittura sfuggita ad un attentato di Boko Haran (ad Abija nell'aprile 2014), nel quale era rimasta ferita e di cui ha ancora i segni sul corpo.

Uno sfruttamento senza sosta, terminato solo con la partenza via mare. "Tutte dicono di non aver pagato niente per il viaggio fino alla Libia né per imbarcarsi verso l'Italia, segnale chiaro che c'è un'organizzazione criminale che tiene le fila di tutto e che aspetta le donne per sfruttarle in Italia o in altri paesi europei". Gran parte delle giovani sono arrivate a Lampedusa in e portate subito nel Centro di primo soccorso e accoglienza. È a quel punto che sono state trasferite in aereo a Roma e rinchiuse nel CIE.

Persone senza tutela. Spiega un avvocato che rappresenta alcune delle ragazze "Ho capito subito che un addetto del consolato della Nigeria aveva incontrato le ragazze poche ore dopo l'arrivo al Centro, dando il via libera al rimpatrio". L'operazione è stata sventata all'ultimo minuto, spiegando alle giovani che avrebbero potuto chiedere asilo, un'opzione poi scelta da tutte.

Mancato riconoscimento dei diritti ma una burocrazia infame. "Formalizzare la richiesta d'asilo è stato però molto lungo e ad oggi solo un terzo delle ragazze ha ottenuto i primi documenti. A carico di queste ragazze c'è anche un decreto di espulsione emesso con solerzia inaspettata, ma mai consegnato alle interessate, tanto che non si sa dove depositare il ricorso contro il provvedimento"

Un rischio automatico. Un segnale ulteriore della mancanza d'attenzione verso donne destinate, nella gran parte dei casi, a rovinarsi la giovinezza sui marciapiedi d'Europa. "Per le ragazze nigeriane il rischio di sfruttamento è quasi automatico, e se rimpatriate possono essere facilmente rintracciate dai trafficanti e subire nuove violenze, possibile dunque che le istituzioni non abbiano pensato di proteggerle"??

Tanti "copioni" simili. Trafficanti o scafisti? L'esperienza delle donne destinate al mercato del sesso segue copioni tragicamente simili. Ricattate fisicamente e psicologicamente dai trafficanti, di cui spesso non conoscono la vera identità, vengono fatte viaggiare "gratis" dall'Africa all'Europa e, una volta arrivate, gli si dice che hanno un debito di diverse decine di migliaia di euro, e per rimborsarlo dovranno prostituirsi per anni.

"Il paradosso delle Procure sicliane". La legge anti-tratta italiana prevede una protezione delle vittime, tramite il disposto dell'articolo 18, ma oggi assistiamo a un paradosso. Le procure siciliane assegnano la protezione a chi denuncia gli scafisti, mentre le vittime della tratta, come queste donne, rischiano di tornare nelle mani dei trafficanti.

"Uno stravolgimento della norma, che finirebbe per assimilare la tratta, che è un reato contro la persona, alla riduzione in schiavitù, al traffico di persone, reato contro lo stato, finalizzato non a sfruttare ma a traghettare i migranti da una sponda all'altra"

Il campanello d'allarme nei dati. Anche i dati fanno suonare un campanello d'allarme: nel 2015 si è infatti triplicato, secondo l'Organizzazione Internazionale delle Migrazioni, il numero di nigeriane arrivate via mare rispetto allo stesso periodo del 2014. "I trafficanti non stanno sulle barche, ma in Nigeria, Libia e Europa e l'unico modo per colpirli è proteggere le vittime e portarle a collaborare con la giustizia. Non, di certo, rimpatriarle in tempi rapidissimi"

Profughi nei CIE. "La situazione di paura in cui vivono queste ragazze, dentro una struttura completamente inadeguata e senza un sostegno legale e sociale, rischia di rendere inefficace anche la richiesta d'asilo"

L'ipotesi del rimpatrio e la riconsegna delle ragazze nelle mani di sfruttatori senza scrupoli. Una preoccupazione condivisa anche dal senatore Manconi, che ha parlato di "una tragedia irreparabile, in cui queste donne sono due volte vittime: dei trafficanti e del sistema detentivo dei CIE, mentre avrebbero bisogno di un trattamento completamente diverso"

Ai CIE associata l'idea di pericolosità sociale. "L'intenzione ormai chiara del governo di usare i CIE per i profughi, ampliando in qualche modo l'idea di una pericolosità sociale di queste persone e mettendo in un angolo la speranza che i Centri di Identificazione e Espulsione luoghi di detenzione, fuori dalla legge e dal tempo, fossero definitivamente chiusi". Una strada già intrapresa dalla prefettura di Trapani, che intende trasformare il CIE della provincia, uno dei cinque in Italia, in "hotspot" per migranti appena sbarcati, raddoppiandone la capienza.







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16 marzo 2016

A Disquieting Intimacy (Un'Intimità Inquietante)

Alla periferia di Roma le ragazze nigeriane che vivono nella precarietà inquietante dei "campi del sesso", ai margini della società, della legalità e di una città che è la capitale d'Italia e quest'anno perfino la capitale del "Giubileo della Misericordia"

Deborah, con la sua pelle color ebano messa in risalto dall'abito bianco e i teli laceri del giaciglio di fortuna allestito negli anfratti di Roma, è solo una delle tantissime, troppe ragazze nigeriane che sono costrette a lavorare nel mercato del sesso, ai margini della società. Solo una delle protagoniste dell'atmosfera precaria e inquietante dei "campi del sesso" arredati da materassi e rifiuti ai margini di strade delle periferie della capitale d'Italia.


Tra l’erba alta, le discariche irregolari, gli scorci nascosti, l’intimità oltraggiata, gli scatti rubati consegnano alla società civile i campi abusivi del sesso. Materassi sudici adagiati sotto le fronde di qualche arbusto per ricevere un po’ d’ombra d’estate, letti improvvisati fatti di vecchi strapunti imbottiti di lana di pecora, buttati in mezzo alle sterpaglie, lontano dagli occhi indiscreti.

Le prostitute nigeriane di "A Disquieting Intimacy", spezzano la routine della metropoli romana e aggiungono un tratto realistico della vita ai margini della capitale. Le povere ragazze di Benin City, vestite colorate e succinte, restituiscono a colpi di flash la precarietà della Città eterna.

Le foto appartenenti a questa serie, riproducono l’atmosfera improvvisata e allo stesso tempo inquietante di questi campi del sesso, allestiti con mezzi di fortuna per soddisfare le esigenze di chiunque. Le donne di colore di Benin City, da oltre 20 anni, arrivano in Italia per essere sfruttate e lavorare nel mercato del sesso.

Ogni anno donne nigeriane già in Italia reclutano ragazze giovani in Nigeria e le fanno venire in Italia con l'inganno, promettendo loro lavori onesti, ma poi le costringono a prostituirsi.

Ragazze che emigrano per sfuggire all'islam integralista di Boko Haram e alle sue persecuzioni, fuggono dal degrado ambientale e dalla povertà. Ragazze sfruttate che costrette a fare le spogliarelliste nei locali notturni e nelle discoteche ma anche a prostituirsi per pochi euro di giorno, lungo le strade, di periferia o nei campi del sesso come mostrano queste foto.


Benin City, la fabbrica italiana delle prostitute di colore. "C’è un pezzo d’Africa dove le ragazze non parlano italiano ma sanno dire perfettamente quanto mi dai? .. Benvenuti a Benin City, la fabbrica italiana di prostitute all'equatore. Interi quartieri hanno cambiato aspetto da quando si vende all'Italia il petrolio della cittadina, ovvero le giovani ragazze. Ed è così che i giornali locali chiamano la rotta delle schiave, pipeline, oleodotto"

"Vie Libere" e il suo fallimento. Subito dopo l'entrata in vigore della Bossi-Fini, legge 189/2002 ovvero la legge che regolamenta in Italia i flussi migratori, il Viminale dell'allora ministro dell'interno Maroni avviò la campagna "Vie Libere", almeno due volte al mese voli charter riportavano in Nigeria le ragazze sfruttate sulle strade italiane.

Era la strategia delle retate, ovvero andarle a prendere sui luoghi della prostituzione. Ma ciò non ostacolò, bensì alimentò il business dei trafficanti che si ritrovarono nella condizione di poter far pagare ripetutamente il viaggio alla ragazza.

Tutto questo fu possibile a seguito degli accordi bilaterali, Italia - Nigeria del 2002, le nigeriane vengono rispedite a casa con aerei appositamente noleggiati, in cui viaggiano scortate dai poliziotti con un rapporto di 1 a 1 ovvero una ragazza un poliziotto, come fossero criminali che hanno commesso chissà quale reato.

Una volta in Nigeria queste ragazze rimpatriate venivano ammassate in una sorta di centro di detenzione temporanea che si trova ancora a Lagos, finché non venivano reclamate dalle famiglie (e non sempre le famiglie le reclamavano).


Il rimpatrio "forzoso" per le ragazze non ha il significato di libertà. Solo poche rimangono in Nigeria, rientrano nelle famiglie di origine o vengono ospitate presso parenti o amici, molte si suicidano, altre ricontattano gli Italos (ovvero i trafficanti) e tornano in Italia con un debito raddoppiato, il che ha conseguenze sull'aumento del rischio e diminuzione della protezione. E così la ragazza sempre più indebitata, sempre più fragile è più propensa ad accettare le richieste di sesso non protetto che arriva dai clienti italiani.

Quella delle retate fu una strategia che ebbe vita breve, fu un vero e proprio fallimento. Veniva colpito solo l'anello più debole, ovvero le ragazze, mentre i trafficanti e le mamam non venivano quasi toccati perché in possesso di regolari permessi di soggiorno e sopratutto perché anche nei casi in cui veniva avvita un'indagine per sfruttamento o per riduzione in schiavitù, quasi sempre riuscivano a sfuggire al carcere (avvocati ben pagati, decorrenza dei termini, lungaggini della giustizia italiana, ecc..)


Dal 2002, ovvero dall'entrata in vigore della Bossi-Fini, il numero delle ragazze nigeriane in Italia è più che triplicato. La strategia "Vie Libere" non ha portato a risultati, la strategia delle retate a tappeto non ha fatto aumentare le denunce, anzi, ha messo ancora più paura alle ragazze che quasi mai hanno denunciato le loro mamam o i loro sfruttatori.

Una legge, la Bossi-Fini, che mette tutti gli immigrati sullo stesso piano, senza distinguere le vittime della tratta dai migranti "volontari". Una lacuna imperdonabile che pesa anche oggi quando, nelle poche volte che queste ragazze trovano il coraggio per chiedere aiuto alle associazioni di volontariato, hanno mille difficoltà ad ottenere il permesso di soggiorno per "protezione sociale" (art. 18).





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