23 giugno 2015

Nigeria, lotta senza quartiere all'Islam che uccide

Non ci sarà avvenire per Boko Haram. Viva il Niger
(Scritta apparsa in un villaggio colpito da Boko Haram in Niger)
Task Force regionale. Nonostante il forte impulso dato dall'insediamento del Presidente nigeriano Muhammadu Buhari nella lotta a Boko Haram, gli estremisti islamici hanno colpito negli ultimi giorni anche Ciad e Niger, provocando decine di vittime. I governi di N’Djamena e Niamey hanno giurato vendetta. Ora però tocca alla task force regionale creata ad Abuja compiere l'azione risolutiva.

Attentati quasi quotidiani nel nord-est della Nigeria e le ragazze rapite usate come bombe umane.

Ancora vittime. Boko Haram non dà tregua e, fino ad ora, le iniziative del neo presidente della Nigeria, Muhammadu Buhari, nonostante siano state importanti, non hanno ancora prodotto gli effetti sperati, cioè la capitolazione degli islamisti.

Secondo le statistiche di organizzazioni per i diritti umani, Boko Haram ha provocato circa 15 mila morti e 2 milioni di sfollati da quando ha iniziato la sua attività 6 anni fa.

Una tragedia immane e le ultime, in ordine di tempo, sono avvenute nel fine settimana: 
  • Almeno 38 persone sono state uccise durante i raid dei miliziani del gruppo islamista in due villaggi del Niger meridionale, nella regione di Diffa,
  • 30 uccisi in un mercato affollato di Maiduguri, nel Borno State, dove due ragazze sono "esplose" tra la folla di un mercato.

In Niger gli aggressori hanno occupato Ungumawo e Laminia, villaggi a ridosso del confine con la Nigeria. Segno che, pur non avendo più un vero e proprio controllo su una parte di territorio nigeriano, l’azione di Boko Haram si espande anche negli stati limitrofi.

L’attacco in Niger arriva dopo quello in Ciad di pochi giorni fa. Un doppio attentato kamikaze contro il quartier generale della polizia di N'Djamena che ha provocato 33 morti e oltre 100 feriti. In questo caso non si è fatta attendere la risposta del Ciad che ha compiuto raid aerei contro le postazioni degli islamisti in Nigeria, dando seguito alla promessa del presidente Idris Deby che dopo gli attentati aveva detto "Quest’azione non resterà impunita, gli autori risponderanno dei loro atti". Gli intenti sono più che mai bellicosi.

L’esercito del Ciad, infatti, ha assicurato che continuerà la lotta "senza pietà contro la milizia di Boko Haram in modo che neanche una goccia di sangue ciadiano resti impunita". Sei sono state le basi dei terroristi colpite, con importanti perdite umane e materiali, dai raid dell’aviazione di N'Djamena. Il duplice attentato kamikaze è stato il primo nella capitale del Ciad, impegnato a fianco della Nigeria nell'offensiva regionale contro gli estremisti islamici.

Le autorità nigeriane hanno abbandonato, ormai da tempo, la via diplomatica, anche perché l’interlocutore non accetta mediazioni o compromessi. Ma la Nigeria non può fare da sola. L’ormai ex-presidente, Goodluck Jonathan, che ha detta di molti osservatori ha portato il paese sull'orlo del baratro dal punto di vista economico, aveva promesso, (forse per vincere le elezioni, che poi ha invece perso) di sconfiggere Boko Haram in pochi mesi, senza riuscirci, e le sue forze di sicurezza, in più occasioni, avevano annunciato accordi, aperture di dialogo, sempre smentite da Boko Haram.

Il presidente nigeriano Buhari, il giorno del suo insediamento
Buhari, vincitore, uomo dalla fama di intransigente contro la corruzione e dal pugno di ferro, ha avviato, invece, uno sforzo diplomatico teso alla formazione di una coalizione di stati per mettere in campo una forza militare adeguata ad affrontare il problema di Boko Haram. La formazione della task force ha indubbiamente avuto un impulso, sul piano operativo, da quanto il presidente della Nigeria si è insediato lo scorso 29 maggio.

Buhari, infatti, ha compiuto una serie di viaggi tra i paesi alleati e dopo un vertice nella capitale nigeriana Abuja, è stata creata una Forza multinazionale d’intervento congiunta, la cui sede si troverà a N'Djamena, e conterà 8.700 unità sotto il comando di un alto ufficiale nigeriano. La forza sarà composta da truppe di Nigeria, Niger, Ciad, Camerun e Benin.

Un’ulteriore prova del fatto che il tempo della diplomazia è finito e ora la forza sembra diventata l’unica opzione contro Boko Haram. Ciad, Camerun e Niger, tuttavia, sono già impegnati sul campo a fianco della Nigeria dal mese di gennaio, da quando l’Unione Africana aveva sostenuto la creazione di una forza multinazionale. L’UA ha chiesto, infatti, una "risposta collettiva, efficace e decisiva" anche perché la minaccia di un Califfato Africano, non riguardava solo la Nigeria.

Una forza che è stata in grado nei mesi scorsi di riconquistare gran parte del territorio nelle mani degli islamisti, ma che ha avuto un grande difetto: mancanza di coordinazione. Tutto ciò, con la nuova task force, dovrebbe essere superato.

Che ci sia stato un impulso nuovo, e forse più concreto, nella lotta a Boko Haram si vede anche dal fatto che gli Stati Uniti hanno deciso di stanziare 5 milioni di dollari per aiutare questa coalizione. L’assistente di stato americano per l’Africa, Linda Thomas-Greenfield, ha detto che il suo paese era in trattativa già da tempo con il governo Buhari per capire come si poteva dare maggiore assistenza alla campagna contro gli estremisti islamici, perché "Boko Haram non è solo un problema nigeriano" ma di tutta la regione.

News dall'Africa
Articoli recenti Boko Haram






Articolo curato da


20 giugno 2015

Trafficking e la tratta di ragazze nigeriane

In viaggio attraverso il deserto
Ogni anno, circa 5.000 ragazze partono dalla Nigeria, e in particolare dalla regione di Benin City, alla volta dell’Europa, Italia in particolare. Trafficanti di schiave, con l’aiuto di preti woodoo, convincono queste ragazze che nella terra promessa le attende un lavoro.

La conferma in un rapporto delle Nazioni Unite "Almeno 5.000 (cinquemila) ragazze all'anno provenienti in maggior parte dalla Nigeria, arrivano in Europa per poi essere sfruttate sessualmente. Sono sempre più giovani, e almeno il 40% di esse è minorenne" - leggi -

Il viaggio spesso è allucinante. In camion attraverso il deserto, in gommone fino alle coste della Spagna o dell’Italia. Moltissime muoiono di stenti, di sete, o affogate, prima di raggiungere la meta. Altre ancora diventano "schiave sessuali" già in Africa nei paesi di transito, in particolare nel Mali e in Libia.

E quelle che riescono a sbarcare in in Italia, presto scoprono che il lavoro promesso non c’è. Dopo il sequestro dei documenti, vengono spedite sulla strada a prostituirsi, spesso "preventivamente" violentate dai loro stessi aguzzini.

Ma le ragazze che arrivano "via terra" sono solo una minima parte, la mafia nigeriana si è talmente ben organizzata, ha un altissimo potere corruttivo a tutti i livelli, che riesce a far arrivare queste ragazze in Europa soprattutto per via aerea con documenti falsi. Partono da Lagos e arrivano negli aeroporti del nord Europa, privilegiato è l'aeroporto olandese di Amsterdam. Da questi aeroporti poi è semplice far arrivare queste ragazze in Italia (via treno o in macchina).

Intanto, sia in Italia che in Nigeria, qualcuno lotta per liberare le schiave del XXI secolo dai loro padroni, ma soprattutto dall'ingenuità che le rende così vulnerabili. Un traffico alimentato anche (e soprattutto) dai così detti clienti che vanno alla ricerca di sesso a buon mercato. Noi definiamo queste persone "stupratori" a pagamento.

Trafficking. Cos'è il trafficking a scopo di sfruttamento sessuale. Chi sono le vittime nigeriane di trafficking? Si definisce "trafficking in persons" un fenomeno camaleontico, per via della straordinaria capacità delle organizzazioni dedite a questa attività, di adattamento alle condizioni materiali e normative dei contesti, sia di partenza che di approdo.

Il "trafficking" delle ragazze nigeriane è analizzato a partire dalle caratteristiche delle migrazioni femminili. Si scopre così, che quelle degli anni ottanta, che sono definite "pioniere della segregazione e dell’invisibilità", originano da un fenomeno peculiare che deriva dalla crescita economica che si è avuta dagli anni '60. In Italia la prostituzione di strada negli anni '70 e '80 era calata. Ma, all'inizio degli anni '90 riprende perché inizia la prostituzione da immigrazione, un fenomeno che nei decenni precedenti non era presente.

Segregazione e (tentativi politico-sociali di) invisibilità resteranno le caratteristiche principali anche delle nigeriane coinvolte nel trafficking. Paradossalmente, sono perfettamente visibili perché sono sulle strade, scatenano sentimenti di ripulsa nelle popolazioni locali infastidite dalla loro presenza, che sfociano sia in episodi di razzismo e di violenza fisica.

Violenza che si manifesta attraverso gli stupri e le percosse che non di rado portano fino alla morte. Sono visibili perché al centro di polemiche sulla regolamentazione del fenomeno prostitutivo che, in maniera schizofrenica vede soluzioni nelle multe ai clienti, o soluzioni definitive come lo zoning, ovvero la creazione di luoghi ad hoc dove potersi prostituire, lontano dagli sguardi della gente per bene.

Politiche di chiusura che troneggiano sulle retoriche per cui l'immigrato è uguale a clandestino, sull'ibrido posizionale tra l’abolizionismo e il regolamentismo della prostituzione, che si esprimono in relazione ai margini di consenso elettorale che garantiscono nel breve periodo. Fattori che ad oggi, non consentono di poter affermare che ci sia un’organica integrazione nel dialogo tra istituzioni diverse e politiche di sostegno, repressione e controllo.

Segregazione. Le ragazze vivono sotto lo stretto controllo delle mamam, le sponsor del viaggio, donne che a loro volta, sono state sfruttate, e che una volta pagato il debito alla loro sponsor, hanno deciso di diventare loro stesse le sfruttatrici. Le mamam, sono gli ultimi nodi di una rete criminale che ha i suoi gangli ideatori in Nigeria ed appoggi logistici e amministrativi in Europa.

Sotto la parvenza di una certa libertà di movimento (le ragazze si muovono continuamente per raggiungere i luoghi di prostituzione, per fare acquisti, o per partecipare alle funzioni religiose domenicali), sono costrette in una sorta di limbo borderland, dove, non possono decidere neppure di andare a far spesa al supermercato italiano, ma solo in quelli etnici indicati dalle "mamam".

Sono ragazze che inizialmente non conoscono la lingua italiana, non conoscono bene la città, vengono spostate abbastanza spesso passando da un gruppo mafioso ad un altro, da una mamam all'altra.

Benin City, la fabbrica italiana delle prostitute di colore. "C’è un pezzo d’Africa dove le ragazze non parlano italiano ma sanno dire perfettamente quanto mi dai? .. Benvenuti a Benin City, la fabbrica italiana di prostitute all'equatore. Interi quartieri hanno cambiato aspetto da quando si vende all'Italia il petrolio della cittadina, ovvero le giovani ragazze. Ed è così che i giornali locali chiamano la rotta delle schiave, pipeline, oleodotto".

"Vie Libere" e il suo fallimento. Subito dopo l'entrata in vigore della Bossi-Fini, legge 189/2002 ovvero la legge che regolamenta in Italia i flussi migratori, il Viminale dell'allora ministro dell'interno Maroni avviò la campagna "Vie Libere", almeno due volte al mese voli charter riportavano in Nigeria le ragazze sfruttate sulle strade italiane.

Era la strategia delle retate, ovvero andarle a prendere sui luoghi della prostituzione. Ma ciò non ostacolò, bensì alimentò il business dei trafficanti che si ritrovarono nella condizione di poter far pagare ripetutamente il viaggio per il passaggio della medesima merce (la ragazza).

Tutto questo fu possibile a seguito degli accordi bilaterali, Italia - Nigeria del 2002, le nigeriane vengono rispedite a casa con aerei appositamente noleggiati, in cui viaggiano scortate dai poliziotti con un rapporto di 1 a 1 ovvero una ragazza un poliziotto, come fossero criminali che hanno commesso chissà quale reato.

Una volta in Nigeria queste ragazze rimpatriate venivano ammassate in una sorta di centro di detenzione temporanea che si trova ancora a Lagos, finché non venivano reclamate dalle famiglie (e non sempre le famiglie le reclamavano).

Il rimpatrio "forzoso" per le ragazze non ha il significato di libertà. Solo poche rimangono in Nigeria, rientrano nelle famiglie di origine o vengono ospitate presso parenti o amici, molte si suicidano, altre ricontattano gli Italos (ovvero i trafficanti) e tornano in Italia con un debito raddoppiato, il che ha conseguenze sull'aumento del rischio e diminuzione della protezione. E così la ragazza sempre più indebitata, sempre più fragile è più propensa ad accettare le richieste di sesso non protetto che arriva dai clienti italiani.

Quella delle retate fu una strategia che ebbe vita breve, fu un vero e proprio fallimento. Veniva colpito solo l'anello più debole, ovvero le ragazze, mentre i trafficanti e le mamam non venivano quasi toccati perché in possesso di regolari permessi di soggiorno e sopratutto perché anche nei casi in cui veniva avvita un'indagine per sfruttamento o per riduzione in schiavitù, quasi sempre riuscivano a sfuggire al carcere (avvocati ben pagati, decorrenza dei termini, lungaggini della giustizia italiana, ecc..)

Dal 2002, ovvero dall'entrata in vigore della Bossi-Fini, il numero delle ragazze nigeriane in Italia è più che triplicato. La strategia "Vie Libere" non ha portato a risultati, la strategia delle retate a tappeto non ha fatto aumentare le denunce, anzi, ha messo ancora più paura alle ragazze che quasi mai hanno denunciato le loro mamam o i loro sfruttatori.

Una legge, la Bossi-Fini, che mette tutti gli immigrati sullo stesso piano, senza distinguere le vittime della tratta dai migranti "volontari". Una lacuna imperdonabile che pesa anche oggi quando, nelle poche volte che queste ragazze trovano il coraggio per chiedere aiuto alle associazioni di volontariato, hanno mille difficoltà ad ottenere il permesso di soggiorno per "protezione sociale" (art. 18).

Ragazze schiave. Altri motivi che rendono "schiave" e incapaci di reazioni queste ragazze nigeriane sono la loro giovane età e la scarsa esperienza di vivere in un paese occidentale, l'ignoranza perché in Nigeria la scuola si paga e le famiglie alle ragazze preferiscono i ragazzi. Il woodoo, rito animista a cui le ragazze vengono sottoposte prima della partenza dalla Nigeria (promessa di pagare il debito) e che fa leva appunto sull'ignoranza, e le minacce, ai familiari rimasti in Nigeria e a loro stesse.

Un continuo stato di prostrazione "psicologica" che spesso si manifesta anche dopo molti anni e quando le ragazze sembrano essersi integrate nel tessuto sociale in cui si trovano, e i suicidi (specialmente tra le ragazze rimpatriate) sono frequenti.

Non solo sesso in strada, ma ragazze sfruttate anche per:
  • riprese di video hard da sfruttare in rete,
  • uteri in affitto, fai un figlio per me e per mia moglie che ti paghiamo,
  • ti pago di più se mi permetti di filmare il nostro rapporto sessuale,
  • ti sposo (prostituzione per matrimonio), tu avrai il permesso di soggiorno, ma tu sarai per sempre la mia schiava sessuale.
  • Jihad sessuale. Dopo il rapimento delle ragazze di Chibok, molte ragazze nigeriane in Italia sono scomparse, forse "vendute" all'estero.
  • ti "affitto" una ragazza per sesso di gruppo in una serata di perversione.
  • ti compro dalla mafia nigeriana per sfruttarti sessualmente nel mio locale notturno, discoteca o bar di periferia.
  • ti obbligo a ricevere clienti nel mio albergo a ore.

I tempi della schiavitù si allungano .. Quindi non più solo la strada per le nostre povere "Ragazze di Benin City" ma altre forme di sfruttamento, ancora più subdole e meschine. La "strada", in tempo di crisi non rende più come prima. Anche giorni interi senza nemmeno un "cliente" e questo non va bene, senza soldi vengono picchiate dalla mamam - leggi -

Le morti violente di ragazze nigeriane in Italia assurgono all'onore della stampa solo raramente e molto spesso vengono relegate esclusivamente come fatti di cronaca locale, ma comunque ci sono e servono a sensibilizzare l'opinione pubblica italiana su questo fenomeno ai più ancora non conosciuto. Si calcola che in Italia negli ultimi due anni circa 200 (duecento) ragazze nigeriane siano "scomparse", uccise o semplicemente sparite nel nulla. Ragazze uccise da clienti violenti o uccise dai loro stessi sfruttatori, magari solo per dare l'esempio ad altre ragazze.

La Caritas Italiana ha confermato che attualmente in Italia ci sarebbero circa 70.000 ragazze "trafficate per scopi sessuali", la maggior parte di esse, il 35% è di nazionalità nigeriana, ben rappresentate anche le rumene, le albanesi, altri paesi dell'ex-repubbliche sovietiche, le cinesi e le colombiane.

Trafficking, non solo le ragazze nigeriane .. La tratta di esseri umani è una delle peggiori schiavitù del XXI secolo. E riguarda il mondo intero. Secondo l’Organizzazione internazionale del lavoro (ILO) e l’Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine (UNODOC) circa 21 milioni di persone, spesso povere e vulnerabili, sono vittime di tratta a scopo di sfruttamento:
  • sessuale,
  • lavoro forzato,
  • espianto di organi,
  • accattonaggio forzato,
  • servitù domestica,
  • matrimonio forzato,
  • adozione illegale,
  • o altre forme di sfruttamento.

Ogni anno, circa 2,5 milioni di persone sono vittime di traffico di esseri umani e riduzione in schiavitù. Il 60 per cento sono donne e minori e quasi sempre subiscono abusi e violenze inaudite.

La tratta di esseri umani è una delle attività illegali più lucrative al mondo, rende complessivamente 32 miliardi di dollari l’anno ed è il terzo "business" più redditizio, dopo il traffico di droga e di armi.

Leggi anche
Trafficking delle nigeriane e interventi del terzo settore
Tesi di laurea di Giuseppina Frate


Altri Articoli



Articolo curato da

17 giugno 2015

Immigrazione .. e l'ipocrisia dell'Europa

Immigrati a Ventimiglia
Di certo l'Europa non sta facendo una bella figura, da un lato sta "massacrando" la Grecia per i sui debiti "non pagati" che a ben guardare non sono altro che gli stessi di una regione media italiana (ovvero quasi nulla), e dall'altro chiude le frontiere all'Italia sul problema immigrazione, lasciando l'Italia sola a risolvere il dramma di decine di migliaia di persone che fuggono da guerre, conflitti e violenze.

E poi c'è l'Italia, con la sua fragilità, che per una semplice ragione geografica si vede arrivare via mare, ma anche via terra (dalla frontiera nord-est) questa povera gente in fuga.

E poi ci sono gli egoismi e il razzismo di chi fomenta l'odio verso il diverso per un semplice calcolo politico. E coloro che fomentano questo odio sono gli stessi, Lega-Nord, Forza Italia e destre xenofobe che hanno approvato la Bossi-Fini, proprio quella legge che oggi regola l'immigrazione in Italia, e che noi abbiamo sempre considerato una legge "razzista e inadeguata".

Qui però è necessario valutare l'emergenza nel presente, e cercare di dare una soluzione rapida ed efficace a questa emergenza umanitaria. E l'Italia deve alzare la voce, come governo in Europa, e poi per prendere delle decisioni nel rispetto di tutti, sia degli immigrati che dei cittadini italiani. Insomma è necessario che questo flusso sia "gestito" e non "subìto".

I numeri parlano di ingressi che sono simili a quelli dello scorso anno, fin'ora meno di 60.000 ingressi dall'inizio di quest'anno, e quindi chi parla di "invasione" lo fa in mala-fede.

E poi ci sono anche loro, gli immigrati. Possiamo capire che per loro l'Italia sia solo una tappa di transito e che la loro meta finale sia l'Europa del nord, ma è bene che tutti i migranti sappiano che una volta in Italia, devono rispettare le leggi e per prima cosa devono (e dico devono) farsi identificare. Impensabile per uno stato sovrano come l'Italia che non riesca ad identificare chi arriva nel suo territorio.

Oggi a Ventimiglia, al di là delle colpe della Francia, ci sono migranti che fuggono e protestano sugli scogli proprio per non farsi identificare.

Ecco quello che pensiamo:
Il Regolamento di Dublino è "sbagliato" e va modificato. Chi arriva in Europa, qualunque sia il paese di primo ingresso, deve avere la possibilità di chiedere asilo in qualsiasi altro paese dell'Unione Europea.

La nostra idea era quella di costruire campi profughi nei paesi di partenza o di transito dei profughi fuori dall'Italia, ma a quanto pare ci sono troppi problemi a livello internazionale, ONU in primis, costruire campi profughi in Libia è impensabile vista la situazione di conflitto.

Vista la riluttanza europea, allora l'Italia deve avere il coraggio di prendere decisioni autonome, anche a costo di mettersi contro quell'Europa ipocrita che sembra non aver capito nulla del problema.

Costruire "campi profughi" in Italia, sulle coste o sulle isole, una soluzione a nostro avviso indispensabile. Luoghi di accoglienza per il tempo necessario all'identificazione (30-40 giorni al massimo), ma dai quali nel frattempo gli immigrati non possono fuggire, dovranno essere aree sorvegliate magari dall'esercito.

  • Lascia il campo chi ottiene un documento per circolare in Europa,
  • Lascia il campo chi ha il diritto di ottenere asilo o protezione internazionale,
  • Lascia il campo chi deve essere rimpatriato immediatamente,
  • Lascia il campo solo chi si è fatto identificare e non è un delinquente (o magari un terrorista ricercato).
  • Basta vedere immigrati accampati in giro per stazioni.
  • Basta tendopoli di immigrati nei parchi delle città.
  • Basta immigrati abbandonati al loro destino che dormono sotto i ponti o in luoghi pubblici.
In fondo l'Italia è ancora un paese civile, e non le farebbe onore abbandonare i migranti al proprio destino.

Chi ha diritto alla protezione internazionale deve poter ottenere un documento provvisorio con cui potrà circolare liberamente in Europa, tutti gli altri dovranno essere rimpatriati. Chi si rifiuta di farsi identificare deve essere subito rimpatriato o messo in carcere (è reato rifiutare di dare indicazioni sulla propria identità personale, art. 651 C.P.).

È necessario rivoluzionare tutto il sistema dell'accoglienza in Italia, iniziando dalla chiusura dei CIE, basta con chi specula sull'immigrazione, le domande di asilo e di protezione sociale non devono prolungarsi oltre i due mesi, non è possibile che per l'esito di una domanda di protezione internazionale debba trascorrere mediamente un anno, a volte anche 18 mesi.

Non è più possibile che accada quello che è successo lo scorso anno 170 mila arrivi e solo 66 mila identificati leggi - Non deve accadere più che 104 mila persone possano "sparire" nel nulla.
  • Rispetto per l'immigrato che deve essere accolto.
  • Rispetto per chi accoglie, l'immigrato deve per prima cosa farsi identificare e rispettare le leggi italiane.
  • Farsi rispettare in Europa, e NON solo elemosinare qualche concessione per poi sentirsi dire comunque NO.
  • Soluzioni semplici, dignitose per tutti, e soprattutto possibili e immediatamente attuabili.
E poi l'Italia deve per prima cosa rispettare se stessa e non lasciarsi governare dagli isterismi, dai razzismi e dalle ipocrisie europee .. e magari ne riparleremo alla prossima tragedia.



Articolo di

09 giugno 2015

Rapporto alimentazione 2015. Africa ancora affamata


Pubblicato il rapporto sulla "Situazione dell'insicurezza alimentare nel mondo", redatto dalle tre agenzie dell'ONU che si occupano di alimentazione e agricoltura. 795 milioni le persone che soffrono ancora la fame, ma il dato è in calo rispetto al 2014. Nell'Africa sub-sahariana un quarto della popolazione è in queste condizioni.

Lontani gli Obiettivi del Millennio che proprio al primo punto hanno come tema la povertà e la fame "Sradicare la povertà estrema e la fame"
  • Dimezzare la percentuale di persone il cui reddito è inferiore ad un dollaro al giorno.
  • Raggiungere un'occupazione piena e produttiva e un lavoro dignitoso per tutti, inclusi donne e giovani.
  • Dimezzare la percentuale di persone che soffre la fame.
Lo Stato dell’insicurezza alimentare nel mondo 2015, disegna ancora una volta un quadro di luci ed ombre sulla fame, mettendo in evidenza non solo la persistenza del problema ma anche la sua diseguale diffusione.

Preparato dai tre organismi ONU che si occupano di agricoltura e alimentazione, FAO, Ifad (Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo) e PAM (Programma alimentare mondiale), il Rapporto quest’anno è stato anticipato in coincidenza con i temi dell’Expo di Milano e con la conclusione del periodo di osservazione degli Obiettivi del Millennio.

Sono 795 milioni le persone che soffrono ancora la fame (erano 805 milioni nel 2014), con una diminuzione di 167 milioni nell'ultimo decennio. Su 129 paesi in via di sviluppo monitorati, poco più della metà, 72 paesi, hanno raggiunto dal 2000 ad oggi l’obbiettivo di ridurre della metà il numero delle persone che soffrono la fame. Del resto dei 795 milioni, 780 vivono nei paesi in via di sviluppo. Una persona su 9 è ancora colpita dalla fame, malgrado la sua incidenza sia globalmente diminuita.

Africa. Se alcuni paesi o regioni, come l’India, la Cina, l’America latina, hanno fatto progressi considerevoli, altri invece come quelli dell’Africa sub-sahariana restano ancora lontani dagli Obiettivi del Millennio dove un quarto della popolazione (23,2%) soffre infatti la fame. La regione più colpita è l’Africa orientale con 124 milioni.

Nel suo complesso, in Africa il numero delle persone che soffrono la fame è in lento ma continuo aumento, 233 milioni oggi, contro i 182 milioni all'inizio degli anni ’90. Tenuto però conto della dinamica demografica, la percentuale delle persone colpite è in diminuzione.

Al suo interno peraltro sussistono differenze regionali, che dipendono da fattori come l’instabilità politica, la guerra e le catastrofi naturali che provocano a loro volta una crescita economica insufficiente ed aumentano la povertà, che rimane la prima causa della fame, l’impossibilità, cioè, di procurarsi i mezzi per alimentarsi a sufficienza.

Fenomeno del Land Grabbing
Il Rapporto esamina anche l’incidenza dei rapporti commerciali internazionali e della tendenza a liberalizzare gli scambi, giungendo (timidamente) alla conclusione che in alcuni casi possono incidere negativamente sull'attività dei piccoli produttori e sullo stato dell’alimentazione della popolazione. Da un obiettivo mancato ad un altro. Sembra per il momento la risposta più pragmatica degli organismi internazionali.

Archiviati gli Obiettivi del Millennio ci si appresta a varare un Programma per lo sviluppo durevole per il dopo 2015, passando per il partenariato per la fine della fame in Africa nel 2025, o l’iniziativa Fame zero nell'Africa occidentale, la regione africana dove i progressi sono stati più rapidi, e dove anche il numero complessivo delle persone colpite dalla fame è diminuito nell'ultimo quarto di secolo.

Il Rapporto 2015 pur elencando alcune scelte possibili, riconosce di non avere soluzioni miracolose e riflette così la presa di coscienza delle difficoltà di detti organismi, ONU in testa, a tradurre le proprie politiche in realtà.

Situazione dell'insicurezza alimentare nel mondo



Articolo curato da


04 giugno 2015

4 giugno 1989, per non dimenticare Tienanmen

Piazza Tienanmen oggi
Nella notte tra il 3 e il 4 giugno 1989 i carri armati dell’esercito cinese entravano nelle strade di Pechino con l’ordine di sgomberare Piazza Tienanmen dalle migliaia di manifestanti che la occupavano da oltre un mese. Accadde tutto in poche ore. Alle 5.40 del 4 giugno la piazza era stata svuotata, la protesta repressa, il sogno di riforme e democrazia infranto.

A quasi tre decenni di distanza, cosa è rimasto a Pechino delle dimostrazioni di Piazza Tienanmen? Il governo cinese teme la commemorazione del 4 giugno, una data cancellata perfino dai libri di storia, e già da tempo controlla web e attivisti. Impossibile parlare del 4 giugno. Almeno ufficialmente.

La protesta è avvenuta proprio nell'anno in cui si sono rovesciati i regimi comunisti in Europa, avvenimento conosciuto anche come "Autunno delle Nazioni". Sebbene la protesta non abbia avuto un esito felice e le vittime fossero state innumerevoli (forse migliaia) i dimostranti e gli oppositori al regime cinese fecero conoscere la verità ai paesi esteri, mostrando quali siano veramente l'informazione e il governo cinesi.

Le dimostrazioni di Tienanmen infervorarono ancor di più gli animi dei protestanti europei (in particolare quelli dei cosiddetti "stati-satelliti", forzatamente inglobati nell'URSS), dando nuovo slancio alle rivolte contro i regimi socialisti e comunisti. In seguito le manifestazioni (in alcuni casi vere e proprie rivoluzioni) europee portarono alla distruzione del muro di Berlino (quindi anche del Blocco orientale) e alla dissoluzione dell'Unione Sovietica, evento che segna ufficialmente la fine della guerra fredda, avvenuta nel 1991.

L'evoluzione della protesta si può ripartire cronologicamente attraverso cinque episodi:
  1. il lutto (per la morte di Hu Yaobang, Segretario generale del Partito Comunista Cinese),
  2. la sfida,
  3. la tregua,
  4. il confronto,
  5. il massacro.
Il luttoIl 15 aprile 1989, Hu Yaobang, Segretario generale del Partito Comunista Cinese, morì per un arresto cardiaco. La protesta ebbe inizio in modo relativamente pacato, nascendo dal cordoglio nei confronti del politico, popolare tra i riformisti, e dalla richiesta al Partito di prendere una posizione ufficiale nei suoi confronti. La protesta divenne via via più intensa dopo le notizie dei primi scontri tra manifestanti e polizia. Gli studenti si convinsero allora che i mass media cinesi stessero distorcendo la natura delle loro azioni, che erano solamente volte a supportare la figura di Hu.

Il 22 aprile, giorno dei funerali, gli studenti scesero in piazza Tienanmen, nella città di Pechino, chiedendo di incontrare il Primo ministro Li Peng. La leadership comunista e i media ufficiali ignorarono la protesta e per questo gli studenti proclamarono uno sciopero generale all'Università di Pechino.

Piazza Tienanmen, maggio 1989
La sfidaIl 26 aprile fu pubblicato sul Quotidiano del Popolo un editoriale a firma di Deng Xiaoping che accusava gli studenti di complottare contro lo Stato e fomentare agitazioni di piazza. Questa dichiarazione fece infuriare gli studenti e il 27 aprile circa 50.000 studenti scesero nelle strade di Pechino, ignorando il pericolo di repressioni da parte delle autorità e richiedendo che si ritrattassero queste pesanti dichiarazioni. Inoltre, i manifestanti avevano paura di essere puniti nel caso in cui la situazione fosse tornata alla normalità.

Gli studenti in particolare elogiavano le idee di Hu per la libertà di parola e di stampa.

La tregua. A questo punto si instaurò una tregua, ma senza che gli studenti riuscissero a convincere la leadership del Partito a instaurare un dialogo realmente costruttivo. In un primo momento la protesta sembrò sul punto di finire.

In questo contesto si inserì la visita del Segretario del PCUS, il russo Michail Gorbačëv in Cina, prevista per la metà di maggio. Si trattava di un evento storico in quanto rappresentava la riconciliazione tra le due potenze dopo 19 anni di ostilità diplomatica. Il 13 maggio, duemila studenti decisero di insediarsi in piazza Tienanmen e le loro richieste si radicalizzarono ulteriormente, non solo chiedevano una legittimazione, ma accusavano di corruzione il Partito Comunista Cinese e il tentativo di ritornare al conservatorismo di Deng Xiaoping.

Si espressero apertamente affinché quello che stava avvenendo fuori dalla Cina, e in particolare in Unione Sovietica e nell'Europa dell'Est, potesse favorire anche in Cina l'attuazione di riforme democratiche. Gorbačëv in tale situazione rappresentò un simbolo del rinnovamento e delle riforme.

Alcuni studenti iniziarono uno sciopero della fame. In migliaia si unirono a questa protesta, supportata dagli abitanti di Pechino, e iniziò a nascere un profondo malcontento tra gli oppositori al regime cinese, in particolare tra i membri del Movimento democratico.

Il confrontoDi fronte all'immobilismo attendista della maggior parte dei dirigenti del Partito, fu Deng Xiaoping, probabilmente ancora uomo forte del regime, a prendere l'iniziativa, decidendo insieme agli anziani del Partito la repressione militare. La notte del 19 maggio, per porre fine alla protesta, fu promulgata la legge marziale. Nella storia della Repubblica popolare cinese la legge marziale era stata proclamata una sola volta a Lhasa, capitale del Tibet, e ora si trattava di dichiararla a Pechino, capitale dello Stato.

Zhao Ziyang fu l'unico dirigente del Partito Comunista Cinese a votare contro la promulgazione della legge marziale. Poche ore dopo, sfidò apertamente il Partito quando si presentò tra gli studenti di piazza Tienanmen, cercando di convincerli a terminare l'occupazione della piazza al più presto possibile (tale atto fu il motivo finale che portò Zhao a essere rimosso da qualsiasi carica politica. In seguito fu condannato agli arresti domiciliari a vita). L'esercito cinese il 20 maggio occupò Pechino, entrò in vigore la legge marziale

Di Zhao Ziyang, il suo segretario dell'epoca disse "Nel momento sbagliato, al posto sbagliato, fece la cosa giusta"

Il massacroAnche in questo caso fu Deng a prendere la decisione finale. In quanto presidente della Commissione militare centrale, fece pervenire alle truppe l'ordine di usare la forza. La notte del 3 giugno l'esercito iniziò quindi a muoversi dalla periferia verso Piazza Tienanmen. Di fronte alla resistenza che incontrarono, le truppe aprirono il fuoco e arrivarono in piazza. Nonostante non sia possibile una ricostruzione precisa dei fatti, fu un massacro.

La famosissima foto de "Il Rivoltoso Sconosciuto"
Il Rivoltoso Sconosciuto. Un coraggioso e anonimo ragazzo, chiamato Il "Rivoltoso Sconosciuto", è uno dei simboli più incisivi e importanti della protesta di Piazza Tienanmen, poiché si oppose al passaggio di un plotone di carri armati e salì su uno di essi per parlare con i militari. Le varie foto che lo ritraggono sono tra le più famose del mondo.

Il suo gesto eroico viene ancor oggi considerato l'emblema della libertà e dell'opposizione a ogni forma di dittatura. La versione più diffusa della famosa immagine è quella scattata dal fotografo Jeff Widener (Associated Press) dal sesto piano dell'hotel di Pechino, lontano all'incirca 1 km, con un obiettivo da 400 mm. Questa fotografia raggiunse tutto il mondo in brevissimo tempo. Divenne il titolo di testa dei principali giornali e riviste, divenendo il personaggio principale di innumerevoli articoli in tutto il globo. Nell'aprile del 1998, la rivista Time ha incluso "Il Rivoltoso Sconosciuto" nella sua lista de "Le persone che più hanno influenzato il XX secolo".

Le vittime. Ancora oggi le stime dei morti variano. Il governo cinese parlò inizialmente di 200 civili e 100 soldati morti, ma poi abbassò il numero di militari uccisi ad "alcune dozzine". La CIA stimò invece 400–800 vittime. La Croce Rossa riferì 2.600 morti e 30.000 feriti.

Le testimonianze di stranieri affermarono invece che furono uccise tremila persone. La stessa cifra fu data da un sito inglese di Pechino. Le stime più alte parlarono di 7.000 – 12.000 morti. Organizzazioni non governative come Amnesty International hanno denunciato che, ai morti per l'intervento, vanno aggiunti i giustiziati per "ribellione", "incendio di veicoli militari", ferimento o uccisione di soldati e reati simili. Amnesty International ha stimato che il loro numero è superiore a mille, forse 1.300 o anche più.

Il "Rivoltoso Sconosciuto" davanti ai blindati
Dopo la strage. Nei giorni seguenti si mise in atto una feroce caccia ai restanti contestatori, che furono imprigionati o esiliati. Il governo, inoltre, limitò l'accesso da parte dei media internazionali, dando la possibilità di coprire l'evento alla sola stampa cinese.

Il 9 giugno Deng si assunse la responsabilità dell'intervento e condannò il movimento studentesco come un tentativo controrivoluzionario di rovesciare la Repubblica popolare cinese. Per legittimare la repressione, la propaganda ufficiale sostenne che i manifestanti avevano attaccato l'esercito, il quale, a costo di pesanti sacrifici, era comunque riuscito a "salvare il socialismo".

A livello internazionale, la repressione di piazza Tienanmen provocò la ferma condanna da parte di numerosi Paesi occidentali, che portò anche all'imposizione di un embargo sulla vendita di armi alla Cina. Oggi il clima si è rappacificato e la Cina è stata riaccolta dagli altri paesi nella politica globale, ma gli eventi di piazza Tienanmen sono ancora un argomento sensibile per il governo comunista cinese, che non fornisce versioni ufficiali dell'accaduto ed esercita forme di censura riguardo agli avvenimenti.

In Occidente la protesta di piazza Tienanmen viene considerata un evento fondamentale e importantissimo del XX secolo, ma in Cina e in generale nell'Oriente le tracce di questo episodio sembrano essere state cancellate e il solo parlarne, specialmente in Cina, è un vero e proprio tabù. Questa forma di dittatura esercitata dal Partito Comunista Cinese, che si estende anche alla propaganda e al controllo pressoché totale dei mass media, diventa piuttosto evidente durante i vari 4 giugno (il giorno del massacro).

Durante questa giornata, i mezzi di comunicazione e le autorità militari cinesi tengono d'occhio sia internet (motori di ricerca, chat e social network compresi), sia i dissidenti relegati agli arresti domiciliari, sia le persone che decidono di scendere nelle strade per commemorare pubblicamente il giorno della protesta di piazza Tienanmen.

Il mondo del Rock and Roll e TienanmenNumerose canzoni sono ispirate a questi fatti, tra cui Uno come noi dei Nomadi, Davide e Golia del Gen Rosso, dedicate in particolare allo studente che fermò un'intera colonna di carri armati, Il vento dei Litfiba tratta dall'album "Pirata" del 1989, Città proibita dei Pooh, dall'album Uomini soli del 1990 e Tiananmen dei Kalashnikov.

Si dice anche che Blood Red degli Slayer (dal disco Seasons in the Abyss del 1990) racconti le vicende di questa tragedia. Tieniamente di Claudio Baglioni è una canzone che fa parte dell'album Oltre del 1990. Il testo è unicamente composto dalle parole Tienanmen e Tieni a mente.

Roger Waters (ex Pink Floyd) nel brano Watching tv incluso nell'album Amused to Death del 1992 racconta la storia di una studentessa uccisa nella strage di piazza Tienanmen. Il video del pezzo, inoltre, mostra le immagini reali della protesta e della repressione.

Il Video della canzone Tieniamente di Claudio Baglioni con immagini d'epoca


Ecco dove si sono svolti i fatti




Articolo scritto e curato da


In Nigeria non si può più essere cristiani

Bambini e neonati uccisi, donne e disabili massacrati, case incendiate. Racconto della strage di Natale per mano dei pastori...